Il saggio di Emanuele Trevi, Il Viaggio
iniziatico, edito da Laterza è uno di quei libri che un sincero
ricercatore della verità dovrebbe tenere sempre sul proprio comodino o, se si
preferisce, è il classico libro da portarsi dietro durante un viaggio, per il
semplice motivo che di viaggi tratta.
Presentato al festival della Mente 2013, Il viaggio iniziatico è un
itinerario dello spirito attraverso mondi sciamanici, terre vergini d’un
candore ancestrale, primigenio; ma è anche un documento che
parla di tradizione, termine quanto mai vituperato e vilipeso dal linguaggio e
dal sentire moderni; ma modernità e tradizione, si sa, più che mere categorie
temporali, sono stati d’essere, così Trevi ci parla dell’etnologo francese
Marcel Griaule – un occidentale (aggettivo da intendersi, anche in questo caso,
più come état d’esprit che come categoria spaziale), con tutto
ciò che questo comporta in termini di secolarizzazione – disposto a ricevere
dal sapiente cacciatore dogon Ogotemmeli “le parole viventi che permetteranno
agli altri di riannodare il filo delle tradizioni” ed entrare così in contatto
con quell’universo di “simboli” – “parole di questo basso mondo”, sempre
insufficienti ad esprimere il mondo invisibile, come rammenta Ogotemmeli – che
compongono la mitologia viva e vitale del cacciatore e del suo popolo
costituendone la “sostanza stessa della vita”.
Griaule non è di certo il primo
occidentale che si avventura in terre esotiche ed entra in contatto con le
culture indigene, uno dei molteplici precedenti è quello dello statunitense
John Neihardt introdottosi negli anni ‘20 del secolo scorso fra gli omaha, e
che ebbe a trascrivere le memorie del medicine
man Alce Nero. Ma come
ricorda Trevi: “non tutti i viaggi sono viaggi iniziatici”. Il libro di Griaule
è un “libro il cui argomento non è stato solo pensato o immaginato, ma è
accaduto al suo autore, segnando una specie di pietra miliare sul cammino della
sua esistenza”; come ogni genuina esperienza iniziatica, infatti, il percorso
dell’autore presuppone un prima e un dopo, un processo di morte e rinascita.
È questo, del resto, che insegna lo sciamano Juan Matus al suo (discusso) discepolo Carlos Castaneda, ossia che: “Un uomo si avvia verso il sapere come
se andasse in guerra”, come ricorda nel corso del saggio lo stesso Trevi,
parlando di quello che a detta di molti è il testo "iniziatico" più famoso del
Novecento, ossia Gli insegnamenti di don Juan.
Il saggio poi, ricco di pathos ma godibile come un racconto, fa
tappa fra i ghiacci artici con Rasmussen e i suoi Inuit, quel Rasmussen che –
come racconta Trevi – al pari di Griaule e di Castaneda intuisce che “ la
storia di cui era stato protagonista, sotto le vesti di un’esplorazione, era in
realtà un’iniziazione, una nuova percezione della vita raggiunta attraverso
prove eccezionali e l’incontro con una visione del mondo ancestrale e
inaudita”.
È lo stupore dinanzi ad un nuovo modo di
vedere le cose che contraddistingue e accomuna questi uomini, questi
viaggiatori; “stupor mundi” insomma, heideggeriana meraviglia dinanzi ad un
nuovo mondo, o forse, meglio, dinanzi ad un nuovo modo di vedere il mondo.
“Gioioso stupore” scrive Trevi, riferendosi a ciò che traspare dai racconti di
Rasmussen, il quale nell’introduzione al Grande viaggio scrive: “La slitta è
stato il mio primo vero giocattolo e con quello ho portato a termine il grande
compito della mia vita”. Ciò non stupisce se pensiamo che stupore e meraviglia
sono le prime sensazioni dei bimbi dinanzi alla vita…e non fu proprio uno
‘sciamano’ di nome Gesù (anche nella sua storia ricorre il mito di morte e rinascita,
N.d.A.) a dire: “se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non
entrerete nel regno dei cieli”?
Quello di Emanuele Trevi è un saggio
profondo, sottile, che va alle radici dell’esperienza del sacro, quel sacro
dinanzi al quale si prova meraviglia o si sta kierkegaardianamente con timore e tremore, proprio come per
Heidegger meraviglia ed angoscia sono i due stati d’animo che si provano
dinanzi al disvelamento dell’Essere, quel sacro che – stando all’antropologia
religiosa di Mircea Eliade (uno fra i tanti “maestri del sacro” citati da
Trevi) – è tremendum, poiché la sua esperienza comporta una rottura di
livello, “un radicale sconvolgimento delle abitudini di pensiero”, insomma una conversione.
Dunque, esplorazioni, geografiche ed
iniziatico-metaforiche, morti e rinascite, ma soprattutto sacro, questi i temi
di cui si discetta in questo interessante e quanto mai provvidenziale pamphlet, che si presenta come
un vero e proprio invito al Viaggio, a lasciare i porti sicuri e a spiegare le
vele verso nuove ed inaspettate mete, per cambiar pelle, o forse qualcosa di
molto più profondo: poiché da ogni vero viaggio si torna cambiati, e non si è
mai più gli stessi.
*Il Viaggio iniziatico, di Emanuele
Trevi (pp. 115, euro 8,50, Laterza)
Giovanni Balducci
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