mercoledì 13 agosto 2014

La scomparsa prematura di Robin Williams




Non è bello commentare la morte di nessuno, va solo accettata. 
Un grandissimo tra i grandi attori, non c'è dubbio e non è solo la emozione a far parlare. 
Quanti suoi film hanno lasciato il segno nelle nostre vite... 
Al SIEB sono anni che sviluppiamo workshop a partenza di film che hanno per protagonista Robin Williams. Ultimamente, per parlare di aspetti psicopatologici, abbiamo visionato con i trainees "La Leggenda del Re Pescatore", diretto da Terry Gillian del 1991. Il film è una ottima rappresentazione della genesi di un delirio allucinatorio, ne rispecchia aspetti jaspersiani. Poi si interseca la vicenda del professore con la mitica ricerca del Santo Graal in chiave moderna, come è moderna New York. La ricerca del Santo Graal stimola la onnipotenza che ci porta come in una montagna russa da sù a giù e dopo il sù vi è inevitabilmente il giù, come in una condanna ciclotimica. Così deve essere stata la vita, apparentemente equilibrata, di Robin Williams: sempre sospesa tra melanconia clownesca e iperattività mai appagante e appagata. Morire è un dramma, ma togliersi la vita (se l'attore se l'è tolta, come sembra) è un dramma autoinferto, un duplice dramma che ricade anche sui sopravvissuti al suicida.
Il caso ha fatto parlare della sofferenza depressiva. Psichiatricamente la depressione in tutte le sue forme è sottovalutata in quanto ci contamina e contagia, fanno bene a parlarne i media. Non va comunque sottovalutato l'abuso di sostanze psicoattive (alcole e droghe spesso in mix) nella slatentizzazione e peggioramento nei Disturbi dell'Umore in genere, dalla Depressione Maggiore alle forme Bipolari. Troppe volte il successo di artisti si incrocia con vere e proprie tossicodipendenze. La pressione dello spettacolo (anche sportivo) e dello "showbiz" certamente pesa ed ha sempre pesato. Ma c'è troppa "roba" in giro che altera l'hardware encefalico, fatemelo dire. A tutti i livelli. Anche dove lo spettacolo non c'è e non vi sono spettatori. (a.m.)

domenica 10 agosto 2014

La NEW ORLEANS RED DRESS RUN: fiumi di colore rosso, di musica e (s)ballo


New Orleans (Louisiana, USA), 10 Agosto 2014. La città di cui Renzo Arbore è cittadino onorario e che ha visto nascere mostri della musica come Louis Armstrong, nel caldo afoso di ieri si è immensamente colorata di rosso per la tradizionale ed ormai datata (dal 1988)  edizione della corsa che vede migliaia di adesioni. Vista dall'alto la città sembrava una rete di vasi sanguigni con globuli rossi danzanti. Tutti i concorrenti sono infatti rigorosamente vestiti di rosso e spesso gli uomini in modalità trans: assai evidente l'impronta trasgressiva e irridente che caratterizza la sfilata nelle strade del suggestivo French Quarter, il quartiere francese della Crescent City. 


La corsa, che qualcuno del luogo, ha detto essere originaria della California e legata alle ciliegie (non abbiamo visto confermata la notizia), parte da Armstrong Park e si allunga per tre-quattro miglia. Si comprende subito che in realtà lo sport c'entra poco e la festa è dedicata a bere alcolici: bisogna avere più di 21 anni per iscriversi. Ci si aggrega per lo start, ci si registra pagando una quota che andrà devoluta anche in beneficenza,  e si beve da subito. La festa, sponsorizzata dalla NOH3 (the New Orleans Hash House Harriers') si autodefinisce sinceramente come "a New Orleans Drinking Club with a Running Problem" . Di giorno le strade del French Quarter (ma qui nessuno più parla francese e pochi lo spagnolo) si sono accese di colore e musica. Un anziano che avevamo visto salire con noi sulla navetta proveniente dall'aeroporto e che per scherzo avevamo pensato che fosse un bluesman lo era davvero e ce lo siamo ritrovati a suonare alla grande in un locale: ci ha salutati dal palco mentre suonava avendoci riconosciuti (in USA troppe persone hanno un dire e fare arrogante e poco cordiale, qui al Sud meno). Di giorno la festa è andata avanti coinvolgente e simpatica: poi gli ettolitri di alcole ingurgitato hanno finito per rovinare il clima empatico favorendo malori, deambulazioni incerte, schiamazzi, provocazioni...Di sera sulla Canal Street abbiamo fatto ampi tratti in apnea e comunque attenti a fare slalom tra le vomitate abbondanti: peccato. Un poco di alcole rende socievoli, troppo fa tornare tristemente soli, come tanti figuri incontrati per strada spesso indifesi, talora minacciosi. Al mattino, malgrado la pioggia tropicale, il puzzo era ancora devastante (la pulizia ci è sembrata un optional) e circolavano auto della polizia e autoambulanze in quantità. Abbiamo incontrato anche una crime scene delimitata con triste nastro giallo e nero, ad un angolo della Canal, ai margini del French Quarter. Eppure una festa dovrebbe rimanere tale anche al termine. (a.m.)    





foto a.m.



martedì 5 agosto 2014

Visiting the National September 11 Memorial






N.Y.C. 4 Agosto 2014. Un giorno del 200o ebbi a sorvolare le Torri Gemelle con un elicottero di quelli che partono da Battery Park. Lo pilotava un reduce del Vietnam di mezza età che inavvertitamente delocalizzò il capello fulvo tradendo la presenza di un parrucchino. Nel mentre ci si destreggiava al cospetto delle Torri Gemelle all'improvviso si accesero nel tramonto le luci di Manhattan e fu magia che zittì anche il pilota. Un anno dopo le Torri  e circa tremila cittadini del mondo furono combusti e/o polverizzati in diretta televisiva dalla furia omicida dell'uomo. Come dimenticare? "Noo...Non vado a rattristarmi lì...", mi ha detto qualcuno. Eppure visitare un lager nazista è una istruzione, una esperienza incommensurabile (ogni studente di scuola media superiore dovrebbe vivere il tanfo di morte che emanano quei sepolcri collettivi). Così, tornato a NYC, sono andato a maggior ragione lì, dove al posto delle fondamenta delle Torri vuoti e pieni disegnano un sepolcro a cielo aperto e l'acqua sembra percolare al centro della Terra.  Reflecting Absence è il titolo del progetto architettonico che vinse la gara.

Nell'agosto 2006, la World Trade Center Memorial Foundation e la Port Authority di New York e New Jersey iniziarono la costruzione del National September 11 Memorial & Museum, terminando il memoriale cinque anni dopo. Il Memoriale si situa presso il New World Trade Center, dove un tempo sorgevano le Torri Gemelle distrutte durante gli attentati dell' 11 settembre 2001. Il vincitore del concorso per costruire il World Trade Center Memorial fu l’architetto israeliano-americano Michael Arad di Handel Architects, uno studio di New York e San Francisco. Il progetto era coerente con l'originale progetto di Daniel Libeskind.

L'impatto emotivo è intenso anche se certi luoghi famosi si conoscono anche senza esservi stati.  Reflecting Absence. Tanta absence. Quanto Reflecting? (achille miglionico)

sabato 2 agosto 2014

Guggenheim NYC: "Italian Futurism 1909-1944", una mostra di cui essere fieri




Il FUTURISMO è stato un originale movimento italiano nato nel XX secolo e denominato tale dal poeta Filippo Tommaso Marinetti, il quale lo lanciò a livello internazionale pubblicandone il manifesto su Le Figaro il lontano 20 Febbraio 1909. Fernando Pessoa lo divulgò nel 1915 attraverso la Rivista Orpheu. Vi aderirono in tanti, in Italia e all'estero ma una vera eco e riconoscimento internazionale del movimento artistico non vi è mai stata così come ora: complice forse  di questo tardivo riconoscimento è stata una certa impronta anarcoide ed apolitica che fece tollerare al fascismo quegli artisti che nella Germania nazista non furono tollerati perché troppo discosti dal regime (la Bauhaus fu chiusa).
La rassegna, che fa inorgoglire la cultura italiana, è presente con il titolo di Italian Futurism: Reconstructing The Universe, all'arcifamosa spirale architettonica del Salomon R. Guggenheim di NYC, che ospita tradizionalmente una mostra temporanea (il Futurismo in questi mesi) ed una mostra permanente (la Tannhauser Collection) con Van Gogh, Picasso, Monet, Renoir ecc sino a un Kandinsky pre-astrattismo (1901-1911).


La spirale ascensionale della mostra - sponsorizzata dalla Lavazza (si sente l'odore del caffè e si può apprezzare un espresso in loco!) - ci conduce dagli albori del movimento al coinvolgimento di sempre più arti: si ammirano di Umberto Boccioni scultura e pittura; esempi di grafica pubblicitaria, disegni architettonici, fotografia, teatro, poesia, musica; il fotodinamismo di A.C. Bragaglia, la fotografia di Guglielmo Sansoni "Tatò". Ma di certo la aeropittura ispirata negli anni trenta dai successi delle trasvolate atlantiche di Balbo non poteva non esprimere quella meccanofilìa, quella demiurgica adorazione della tecnologia che pervade il Futurismo in ogni ricerca: lavori di Gerardo Dottori, Tullio Crali e ancora Tatò (bellissimo "Volando sul Colosseo a spirale", 1930). Una mostra da non perdere. (tina ardito e achille miglionico)


Da Broadway: "Jersey Boys", la storia de The Four Seasons


(da New York). Stiamo scrivendo l'articolo da una postazione del magico negozio Apple sulla 5th Avenue. Solo il negozio della Apple varrebbe un articolo: un centro di cultura digitale più che uno store. 
Jersey Boys è già un film del 2014 diretto da Clint Eastwood, ma basato sull'omonimo musical del 2006 di Marshall Brickman e Rick Elice e su una sceneggiatura di John Logan. I protagonisti della pellicola sono John Lloyd Young, Erich Bergen, Vincent Piazza e Michael Lomenda, rispettivamente nei panni di Frankie Valli, Bob Gaudio, Tommy DeVito e Nick Massi. Il film ed il musical narrano la storia del gruppo musicale The Four Seasons, esploso negli anni Sessanta.
Siamo andati allo spettacolo Jersey Boys il 31 luglio sera, all'August Wilson Theatre, un Jujamcyn Theatre, al 245 di W. 52nd St. Le musiche sono tutte di Bob Gaudio, uno dei mitici de The Four Seasons: i Quattro sono recitati da Richard H. Blake, Matt Bogart, Drew Gehling e Ryan Molloy, i quali si muovono e cantano benissimo. Bellissima e semplice la scenografia cinetica e metallica di Klara Zieglerova; la coreografia è di Sergio Trujillo, la direzione musicale di Ron Melrose; regia di Des McAnuff. Lo spettacolo fluisce godibile dall'inizio alla fine anche per chi non è abituato all' american english; le canzoni sono tante e coinvolgenti.  Gli applausi - ogni sera - sono tanti e di lunga durata. Impossibile non ballare dalla poltrona sulle note di Can't Take My Eyes Off You , il celebre singolo del 1967 di Frankie Valli... Quante covers del singolo! Ricordate? Gloria Gaynor, Diana Ross e Mina...  (achille miglionico e tina ardito)

R. Magritte - Le Savoir La porta Socchiudo la porta: s'intravede la luce La via non è fuori  È nel buio più intenso  nella parte più osc...