La Storia si incarna in un suo piccolo protagonista: sono sempre affascinanti questi film che - come il recente italiano L'ultima ruota del carro (da noi recensito) - narrano piccoli e grandi eventi sociali attraverso gli occhi della gente semplice e del cittadino qualunque, quel civis che la Storia stessa sembra ignorare, quasi non fosse il fondamento di sé. Probabilmente The Butler è la continuazione ideale di un altro film, Lincoln, ove il diritto americano comincia a farsi faticosamente strada tra i pregiudizi razziali dell'epoca grazie all'illuminato Presidente. Una continuazione tormentata. Lincoln (2012), pellicola assolutamente non snella ma densa, racconta come, nelle fasi conclusive della guerra di secessione americana, lo spilungone e saggio Abraham Lincoln abbia da affrontare il problema della abolizione della schiavitù negli USA, riuscendo in extremis a far approvare il XII emendamento della Costituzione. L'idea del progetto Lincoln ha preso vita quando Steven Spielberg, dall'incontro con la scrittrice Doris Kearns Goodwin ed il suo libro Team of Rivals: The Political Genius of Abraham Lincoln (pubblicato nel 2005), decide di girare un film sulla vita di Lincoln. E Lincoln prolunga la linea che diparte dall'altra pellicola di Spielberg, Amistad (1997), la goletta negriera simbolo dello schiavismo.
The Butler origina - come si apprende dalla prefazione dello stesso regista e produttore Lee Daniels nel libro omonimo di Wil Haygood - da un articolo-inchiesta di Haygood comparso sul Washington Post per la elezione del Presidente Barak Obama. Il giornalista cercò alacremente il maggiordomo afroamericano che aveva servito la Casa Bianca dal 1952 al 1986, da Henry Truman a Ronald Reagan. Lo trovò novantenne il Sig. Eugene Allen e lo intervistò a lungo: costui aveva "toccato con mano il movimento dei diritti civili, dall'interno e dall'esterno della Casa Bianca." Bussando a quella porta il giornalista ed il regista ripensarono alla magia di Via col vento ed intuirono che quella biografia andava narrata e diffusa. E dalla piantagione di cotone del Sud trae origine la storia del futuro butler. Una storia drammatica che è un racconto di "riconciliazione", per la nazione americana ma soprattutto per quel padre (Eugen) e quel figlio, giacché ciascuno dei due, solo dopo insanabili divergenze, arriva a comprendere e giustificare il ruolo opposto svolto dall'altro nel cambiare la Storia: le vicende arrivano sino ad Obama, passando dalla uccisione dei Kennedy e di Martin Luther King alla crudezza della posizione di Malcom X e delle Pantere Nere. Non erano bastate due guerre mondiali ed altri conflitti come quello coreano e vietnamita per suggellare la fratellanza tra cittadini della nazione più multietnica al mondo. Forrest Whitaker, che interpreta il maggiordomo della Casa Bianca, silenziosa presenza delle case altrui, paradossalmente riesce con una titanica interpretazione a dare il massimo della visibilità a chi doveva essere invisibile: l'attore campeggia anche quando entra da un lato dello schermo affollato, come quando il capocomico scivola sul palcoscenico proveniente da dietro le quinte. Alcune vicende sono romanzate ma vera è per esempio la scena di Jaqueline Kennedy che consegna affranta al maggiordomo una cravatta del marito appena assassinato; reale è l'invito al ricevimento di Stato da parte di Nancy Reagan. Più di cinquanta anni di storia americana e non americana sfilano davanti allo spettatore. Senza affanno e con sublime leggerezza. Da non perdere, checché ne dica la critica che non concede che poche stelle. (achille miglionico)
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