giovedì 26 giugno 2014

"Il Novellino": un classico della letteratura italiana tutto da riscoprire




Anonima opera, composta tra il 1281 e il 1300 circa, questa raccolta di novelle (ultima ristampa BUR Rizzoli, 2014) includeva alcuni pettegolezzi sui personaggi condannati all’Inferno nella Divina Commedia e per questo era divenuta molto famosa all’epoca di Dante, per poi cadere nell’oblio.
Nel 1523 Pietro Bembo se ne procurò una copia manoscritta e incaricò il suo segretario Carlo Gualteruzzi di curarne la pubblicazione. Il libro uscì col titolo Le cento novelle antiche. Nel 1572 monsignor Vincenzo Borghini, curatore di una nuova edizione ricorretta, cioè espurgata da ogni accenno di anticlericalismo e da ogni sospetto di licenziosità, lo cambiava in Libro di novelle et di bel parlar gentile.
Soltanto in un’edizione milanese del 1836 compare per la prima volta il titolo Novellino. Con tale denominazione, tuttavia, la raccolta era già stata designata da Giovanni della Casa in una lettera indirizzata nel 1525 proprio a Carlo Gualteruzzi, il segretario di Bembo.

A lungo si è disputato sull’identità dell’autore del Novellino, ravvisato, di volta in volta, in Brunetto Latini, Dino Compagni, Andrea Lancia, Dante da Maiano. Inutile dire che, nel silenzio dei documenti, tutte queste sono rimaste ipotesi non verificabili. Considerata la varietà della raccolta, non si è escluso neppure che vi abbia posto mano più di un compilatore.
La materia del Novellino può essere sinteticamente riassunta con le parole stesse del Prologo: vi si tratta di “alquanti fiori di parlare, di belle cortesie e di belli amori, secondo che, per lo tempo passato, hanno fatto già molti” desunti dal mondo antico e da quello contemporaneo, ovvero dalla mitologia greco-romana, dal ciclo bretone e dalla tradizione biblica.
Le cento novelle che compongono l’opera raccontano episodi rapidi e divertenti ( frasi argute, trovate ingegnose, beffe), e hanno come protagonisti personaggi della più varia origine: eroi del mito o della storia antica, cavalieri delle saghe medievali, re biblici, uomini di tutti i giorni. Sfilano tra gli altri Alessandro Magno, Ercole, Narciso, Lancillotto, Artù, Davide, Salomone, l’imperatore Federico II (al centro di parecchie novelle). Una perla della letteratura da riscoprire fuori dei banchi di scuola e delle aule delle Università. (Giovanni Balducci)




venerdì 20 giugno 2014

Più buio di mezzanotte - recensione












"Aveva i capelli castani, riccioluti e leggeri, gli occhi color nocciola
(come quelli di certi cani barboni); camminava alquanto dinoccolato, con la
grazia della adolescenza che si crede sgraziata, e si teme ridicola."
Così come Ernesto prende vita attraverso il morbido tratto della penna di
Umberto Saba, Sebastiano Riso nella sua opera prima, con la stessa
delicatezza pone lo sguardo su Davide. I suoi capelli hanno il rosso del
sole che sta per spegnersi, ed il bianco della pelle gli donano una bellezza
efebica che si pone in contrasto col buio della sua soffitta dove, al riparo
da tutto, è libero di cantare ed esprimersi in un mondo che gli somiglia.
Ma per suo padre quella soffitta è la conferma di una malattia che va
curata con siringhe di virilità e con la violenza capace di correggere una
natura sbagliata. La violenza di suo padre si scaglia nella distruzione di
quel mondo che Davide stava definendo piano ed in cui si riconosceva, e non
bastano i baci amorevoli di sua madre sui segni di tale violenza a
proteggerlo e trattenerlo. Davide scappa lontano da lui, in una Catania
immersa nel buio, alla ricerca di anime simili che troverà a Villa Bellini,
un grande parco popolato da occhi tristi quanto i suoi. In una Catania degli
anni ottanta Davide e i suoi amici trovano posto solo di notte, perchè di
giorno una società ipocrita finge di non vedere, di non sentire il
disperato grido di dolore che nasce dal bisogno di uscire dagli schemi di
omologazione per poter definire liberamente il percorso che conduce a
riconoscere ed affermare un'identità sessuale. Sorretti dalle semplici note
di "Amore stella" sono uniti nelle loro solitudini, nella necessità di una
protezione che abbia un colore diverso dal bianco, il colore dell'abito del
padre di Davide terribilmente uguale a quello del saccente e cinico
sfruttatore delle loro giovinezze. E' una pellicola non perfetta per quel
che riguarda la collocazione temporale ed anche povera nei dialoghi, ma ci regala
un forte chiaroscuro grazie anche all'interpretazione del giovane Davide
Capone e Micaela Ramazzotti nel ruolo della madre di Davide da un lato, e
dall'altro l'ostile Vincenzo Amato, nel ruolo del padre che anche
nell'ultima scena, con l'abito bianco macchiato dal sangue di Davide, si
preoccupa ancora del giudizio della gente. Una verità che sembra quasi ci
possa scorrere di fianco, e che la società chiede di non vedere, fa sentire
colpevoli. Ci si sente smarriti quando, poi, le luci del cinema si accendono
e ad aver vissuto la tristezza ed il forte senso di impotenza eravamo solo
in tre, tutti gli assenti non hanno sentito, non hanno visto. (Antonietta D'Ambrosio)

lunedì 16 giugno 2014

Alabama Monroe - recensione





Un vuoto raggiunge le pareti dell'animo dello spettatore e sulla scia delle
note disperate del bluegrass, ci si perde in una dimensione che possa
elevare da tanto dolore, e chiamando in aiuto le parole si prova un senso di
abbandono perché nessuna potrebbe dar forma a tale dolore e all'amore
narrato, tutte ne profanerebbero l'entità. Siamo trascinati sin dalla prima
scena nella disperazione di una madre e di un padre di fronte alla crudeltà
della malattia che sta portando via piano la loro bambina di sei anni. È
Maybelle che lotta contro il cancro nel letto di un ospedale ed Elise
(Veerle Baetens) e Didier (Johan Heldenbergh) sono di fianco, alternando
momenti in cui si lasciano sopraffare dalla rabbia, a momenti di amore puro
che riesce a liberarli per regalare sorrisi e gioia a Maybelle nei suoi
ultimi giorni di vita. Felix van Groeningen alimenta la sua pellicola
strutturandola attraverso salti nel tempo, come fossero puri richiami della
memoria, e dal percorso della malattia di Maybelle ci si trova a vivere
l'emozione dell'amore che nasce tra Didier ed Elise. Siamo nei primi anni
del duemila in una città del Belgio dove Elise è una tatuatrice di
professione e per passione tanto da disegnare ogni emozione sulla sua pelle,
Didier è un suonatore di banjo che rincorre da sempre il sogno americano,
amando il bluegrass che definisce il lato più puro del country, un genere di
musica che nasce dal suo mito Bill Monroe, di cui è interprete, e che
diventa il ritmo della loro vita. Ed è il bluegrass che intreccia le loro
semplici anime ed ogni performance è il suono limpido del loro amore, che fa
vibrare anche le corde dell'anima di chi guarda ed ascolta, gli sguardi e lo
scambio di sorrisi scolpiscono nell'eternità la loro unione. Un'unione in
cui Elise continua a credere anche dopo la morte di Maybelle, nonostante il
dolore dal suono stridente e metallico la conduca in una dimensione
spirituale in cui rifiuta la sua identità, tanto da cambiare legalmente il
suo nome in Alabama e separarsi fisicamente da Didier che invece vive la
perdita con un approccio razionale, urlando l'odio per l'oscurantismo
religioso degli Stati Uniti che rallenta la ricerca sulle cellule staminali
facendo crollare anche il suo sogno americano. L'ultimo tatuaggio sulla
pelle di Elise è segno indelebile di un'amore che va oltre la sofferenza e
la morte e le note che precedono i titoli di coda sono l'unica forma che si
possa dare alla tristezza che rimane anche sotto la pelle. È una pellicola
che prende vita dall'opera teatrale di Johan Heldenbergh, nonché attore
protagonista ed amico di Felix van Groeningen, ed è il film che è stato
sconfitto agli Oscar come miglior film straniero da "La grande bellezza",
mentre Veerle Baetens ha vinto l'European Film Awards 2013 come migliore
attrice grazie alla sua magnetica interpretazione.(Antonietta D'Ambrosio)

martedì 3 giugno 2014

Le meraviglie - film raffinato




Gelsomina è il suo nome, e come da un fiore appena dischiuso, le api vengono fuori dalla sua bocca, camminano lentamente seguendo il profilo del suo viso, e su quella pelle sentono la cura, la pazienza e l'amore. In un casolare in stato di abbandono immerso nell'atmosfera rurale delle brulle e fangose campagne umbre, si muovono le figure che animano la pellicola di Alice Rohrwacher ambientata negli anni novanta, e Gelsomina è la primogenita delle quatto figlie di Wolfgang e Angelica (Alba Rohrwacher). La famiglia, in compagnia dell'ospite Cocò (Sabine Timoteo), conduce una vita quasi arcaica legata all'apicoltura e al lavoro della terra, scandita da notti passate su una brandina all'aria aperta, sveglia all'alba, piedi nudi nel fango, bagno nel lago dopo ore di duro lavoro a smielare favi, secchi da cambiare per la raccolta del miele, ed in "questo mondo che sta per finire" irrompe prima Martin, un ragazzo inserito nella famiglia allo scopo di rispettare un programma di rieducazione, e poi la fata Milly Catena (Monica Bellucci) che arriva con il suo concorso televisivo "Le meraviglie". Wolfgang, fedele alla rigidità voluta dalle sue origini tedesche, è un padre burbero e irascibile, ma è un uomo che a suo modo ama sua moglie e le sue figlie, e a Gelsomina (Maria Alexandra Lungu) trasmette i segreti e l'arte dell'apicoltura, vedendo in lei il maschio mancato a cui affidare l'eredità del suo mondo, ed è a lei che regala il cammello che desiderava da bambina. Le lacrime di Gelsomina, alla vista del cammello, sono il segno del suo passaggio nell'età adulta, o sono il passo verso il luccichio di un mondo diverso che intravede oltre il casolare. Sentiamo con lei il peso e l'orgoglio delle responsabilità, la malinconia nella voce che chiede ancora ordini a suo padre dopo averlo deluso, l'entusiasmo che batte al ritmo delle semplici note di "Ti appartengo", la poesia delle api sul suo volto mente si muovono al suono del dolce fischio di Martin. E nella durezza di Wolfgang c'è l'amore, nelle pieghe dei suoi sguardi e dei suoi ordini c'è il disperato bisogno di proteggere un mondo incontaminato, dove sua figlia non può andare oltre il suo essere bambina e non può desiderare altro che il cammello che aveva sognato. È un mondo dove si parla italiano e il tedesco, ma dove Angelica parla anche francese quando le sue figlie non devono capire. Si respira un'atmosfera fatta di protezione e amore mascherata da rigide regole senza cuore e l'abbraccio finale  che unisce tutti ne è il quadro più bello. Alice Rohrwacher con la sua pellicola dai forti caratteri autobiografici vince il Gran Prix a Cannes regalandoci un affresco dai colori tenui, a tratti surreale e che ricorda per certi versi le atmosfere felliniane. ( Antonietta D'Ambrosio )

domenica 1 giugno 2014

Dieci regole “del Cuore Sano". E qualcosa in più.


  • Non fumare. 
  • Praticare regolarmente esercizio fisico (almeno 180 minuti a settimana).
  • Mangiare ogni giorno almeno 2-3 porzioni di verdura (almeno 200 grammi). 
  • Mangiare ogni giorno almeno 2-3 porzioni di frutta (circa 200-500 grammi). 
  • Portare in tavola pesce due volte a settimana (150 grammi a porzione). 
  • Consumare formaggi (75 grammi a porzione) non più di tre volte a settimana. 
  • Consumare salumi e insaccati (circa 50 grammi per porzione) per non più di due volte a settimana. Mangiare dolci non oltre due volte a settimana (circa 100 grammi per porzione). 
  • Non bere più di una lattina di bibite zuccherate a settimana. 
  • Consumare ogni giorno non oltre 20 grammi di alcol (uomini) o 10 grammi (donne), sommando quello introdotto con vino, birra e superalcolici. 


Sono queste le dieci regole “del Cuore Sano" presentato in questi giorni a Firenze dall'Osservatorio Epidemiologico Cardiovascolare, frutto della collaborazione fra l'Istituto Superiore di Sanità, l’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) e la Fondazione per il Tuo Cuore.
Condividiamo come medici e quindi diffondiamo gli utili consigli. 

Stranamente (?) non ci sono indicazioni per l'equilibrio della mente, per cui ci permettiamo di aggiungere qualche riflessione e spunto:


  • dedicatevi ad un hobby; sceglietene uno personale ed uno di coppia (da condividere con il partner, p.e. danza); imparate cose nuove ("fino alla bara si impara" mi diceva un longevo e coltissimo vecchietto);
  • non vi isolate: abbiate relazioni sociali;
  • leggete leggete leggete perché  la lettura "nutre" la mente (la lettura da materiale cartaceo coinvolge più intensamente le aree cerebrali di quanto consenta un formato elettronico);
  • portate avanti un compito mentale alla volta, perché la mente - è dimostrato - non è multitasking; ciò rinforza le capacità attentive ma anche la efficienza; 
  • sul lavoro non fate l'impossibile perché logora; dite con calma e con un sorriso a chi vi pressa "so fare una cosa alla volta";
  • svolgete esercizi di enigmistica e/o scrivete anche manualmente; 
  • disegnate e /o fotografate; suonate o imparate uno strumento musicale; fate bricolage o quanto permetta di liberarsi creativamente;
  • esercitate la memoria, memorizzando trame di film o libri, numeri telefonici importanti, liste della spesa ecc. (portarsi un biglietto per verifica e completezza non è peccato),
  • come diceva il saggio (Confucio): se avete un problema che dipende da voi non preoccupatevi (è possibile risolverlo per definizione); se avete un problema che non dipende da voi, non preoccupatevene due volte;
  • non sottolineate gli aspetti nonOK di persone e cose ed evitate di frequentare chi lo fa continuamente; l'ottimista non è colui il quale dice che è sempre tutto ok ma colui il quale non dice che tutto è sempre non ok;
  • la bugìa può salvare la vita ma la la falsità non la protegge;
  • la "malignità" sembra premiare subito e per questo dilaga; essere non malevoli premia a distanza in serenità personale ed interpersonale;
  • contabilizzate quante risate fate in un giorno: se non sorridete neanche una volta al giorno quel giorno è "da buttare via" (come diceva un filosofo) ed è meglio che consultiate uno psicoterapeuta o un counsellor per un confronto e per un inventario non contaminato della vostra situazione generale;
  • non prendetevi troppo sul "serio": fatevi uno sberleffo o sorriso clownesco allo specchio dell'ascensore quando rientrate a casa e quando non c'è nessuno che vi vede (altrimenti vi portano al DSM più vicino...);
  • esprimete le emozioni in modalità  naturale (collegandole al presente, al qui-ed-ora) e non in maniera parassitaria (collegandole al passato, al lì-ed-allora);
  • non trattenete le emozioni e non le falsate, appena possibile;
  • esprimete la rabbia un "ettogrammo" alla volta e di volta in volta che qualcosa/qualcuno vi irrita (se la esprimete in "quintali", quella rabbia è accumulata e spesso proiettiva: la scaricate sui malcapitati come una pentola a pressione);
  • scaricate rabbia e "negatività" con esercizio fisico; passeggiate almeno 30 minuti al giorno, con buon ritmo; praticate uno sport o trekking, se vi piace;
  • se impossibilitati a far il consueto esercizio fisico, isolatevi appena possibile in stanza e, tolti orologi e braccialetti e quant'altro possa ferirvi, colpite con energia un cuscino posto sul materasso, ripetutamente, nel mentre mentalizzate quanto vi ha ferito: la rabbia "scaricata" cagionerà solo sollevamento di polvere e non danneggerà nessuno;
  • se malgrado tutto la rabbia vi viene a fiotti incontenibili ed a "tonnellate" con rischio di aggressività, non esitate a consultare uno psichiatra e/o almeno uno psicoterapeuta
  • non usate apparecchiature elettroniche troppo a lungo e fuori del necessario lavoro;
  • frequentate persone "vere"; non dedicate troppo tempo a videogiochi ed alle relazioni "virtuali": (dis)social network  ecc : parlate con amici, frequentateli direttamente, non accontentatevi di surrogati di relazioni; parlate con fratelli ed il vostro vicino, spegnendo cellulari e smartphone quando siete in compagnia reale;
  • non cadete nella trappola delle sostanze psicoattive: alcole e droghe; anche i cannabinoidi di oggi sono pericolosamente "psicotizzanti";
  • evitate compagnie troppo rischiose nel senso di abuso (qualunque abuso);
  • dedicatevi al "sociale" se ne sentite la spinta e motivazione (di "motivi" ce ne sono tanti);
  • se avete figli e/o nipoti (se non ne avete vi auguriamo di averne in quanto sono il futuro-nel-presente), non li delegate, non li relegate, non legateli: siatene custodi presenti (quando occorre); non siate presenti quando non occorre; hanno bisogno di voi anche quando non ve lo chiedono; vigilate con discrezione, non lesinando i NO che occorrono alla educazione ed autoprotezione; e soprattutto - se siete madre e padre - non inviate loro messaggi discordanti (se occorre "fingete" di essere d'accordo e comunque stabilite assieme le regole da far osservare, senza contraddizioni);
  • se avete figli e/o nipoti, trattateli nel rispetto dei reciproci ruoli generazionali e comunque sempre con rispetto: i "piccoli" non devono essere la fotocopia di nessuno (Einstein e Giotto non erano la fotocopia di nessun antecedente); aiutate a scegliere ma non scegliete voi per loro;
  • se avete figli e/o nipoti, ed anche se non ne avete, amate i "cuccioli" di uomo senza riserve affettive e culturali: non c'è bisogno della scienza per dimostrare che l'amore non ha mai ucciso nessuno; l'odio sì.

Avrò dimenticato un sacco di cose e sicuramente avrò enfatizzato solo alcuni aspetti con deformazione professionale e personale. Aiutatemi a riflettere su quanto sia difficile essere un educatore oggi. In realtà come tanti, io so più quello che non va fatto che quello che va fatto per essere un "buon adulto".  (a.m.)

foto a.m.

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