martedì 19 aprile 2011

TEATRO - Il fu Mattia Pascal

di Michele Miglionico

Ci sarà un motivo se Luigi Pirandello non ha operato una riduzione teatrale del suo romanzo - e non scommettiamo sulla mancanza di tempo. L'intreccio - ben noto, e qualora non lo sia, godetevi il vantaggio della sorpresa - si snoda in più tempi e in più spazi, e di questa mancanza di unità ne soffre l'adattamento. E' ingombrante la voce fuori campo, per di più registrata, che racconta gli stacchi di scena e mina la scorrevolezza di tutto lo spettacolo.

Eppure, è chiaro perché Tato Russo abbia voluto ritentare - dopo altri recenti esempi - l'operazione: l'innesco narrativo di Il fu Mattia Pascal è degno del teatro, il gioco delle maschere (usate, non a caso, anche in alcuni frangenti, con "licenza poetica") si trova a suo agio sul palco. Il capolavoro alle sue spalle conserva il nocciolo della sua forza e i temi che vengono affrontati, quali la perdita dell'identità o il rapporto ambivalente con la famiglia, non possono lasciare indifferenti.

Nessuno può osar dire nulla contro un'istituzione come Russo, tantopiù che con quella voce, di un genere purtroppo in estinzione, può dire quello che vuole. Un'istituzione, sì, che ha scelto e diretto il suo cast alla vecchia scuola; può essere una questione di gusti l'apprezzamento delle interpretazioni dei comprimari, soprattutto le donne, strabordanti per il canone post-contemporaneo, di "una certa colta spettacolarità" per il regista. Ciò nulla toglie alla loro professionalità e alla loro credibilità. Grazie alla buona alchimia tra gli elementi, si riesce a ridere nel dramma, come vuole la tradizione pirandelliana.

Agli ostacoli della trasposizione si sono frapposti Tony Di Ronza, lo scenografo, e Roger La Fontaine, il direttore della fotografia, che hanno escogitato un ingegnoso palco senza soluzioni di continuità, dove sono già presenti tutti gli ambienti previsti, sapientemente coperti da teli bianchi e ombre fino al momento opportuno.

martedì 12 aprile 2011

FUMETTI - Reportage da Torino Comics 2011

di Michele Miglionico


Tra venerdì 8 e domenica 10 aprile al Lingotto si è tenuta Torino Comics, una delle ormai numerose manifestazioni dedicate al fumetto disseminate per il Paese. All'uscita dell'ultimo giorno in biglietteria si vocifera di "17000 presenze", un numero importante per una convention in ombra rispetto a lidi più vivi e tradizionali come Lucca, Milano o Napoli e che può far leva sul solo, pur spazioso, Padiglione 1 di Lingotto Fiere. Non c'era bisogno di cifre, perché già ad occhio la lunga fila per entrare al sabato ne suggeriva il successo. Il merito non si può attribuire tutto agli amanti della letteratura disegnata, anzi: a dispetto del titolo, la consuetidine riunisce nello stesso posto gli appassionati di animazione, di videogiochi, di giochi di ruolo, di travestimenti (tecnicamente: cosplaying) e, in questo caso, di fantascienza, ospitando anche lo Star Wars Fest. Tutto l'immaginario che ruota intorno alla figura del nerd.

Cosplaying e dintorni

E così, girovagare per la fiera può essere un'esperienza antropologica solo soffermandosi sui cosplayers, ammirando la perizia dei loro costumi, preoccupandosi per eventuali colpi di calore (gli allarmisti telegiornali parlano di "caldo record" in città), sorridendo per un certo esibizionismo. La densità di popolazione di appassionati mascherati è degna di un carnevale e rende più accesa la competizione per i premi assegnati a fine fiera ai migliori cosplayer.

Non c'è da spaventarsi se gli appassionati della saga videoludica Resident Evil inscenano la cattura di uno zombie, portato in trionfo in una gabbia, mentre urla come un dissennato; o se ci si imbatte in duelli di spade, che siano classiche per cavalieri medievali o laser per cavalieri Jedi. La concentrazione aumenta proprio nel reparto Star Wars, dove si fronteggiano i fan di saghe rivali come Guerre Stellari, Star Trek o Battlestar Galactica.
In giro si possono anche ammirare storiche
automobili come la protagonista del telefilm Supercar.

I fumetti e i loro autori

Ci si può perdere anche nell'ampia mostra mercato, croce e delizia per i collezionisti. Torino Comics non dev'essere solo questo, per quanto il traino economico di quella fetta di appassionati, che non vede l'ora che arrivi la prossima convention per estraniarsi dalla realtà quotidiana o per accaparrarsi albi particolari, condizioni tutta la logistica e sacrifichi lo spazio per il cuore dell'evento.
L'organizzazione deve trovare il difficile punto di equilibrio tra la passione per il fumetto e la domanda; arduo compito per la sua mente, al secolo Vittorio Pavesio, storico editore, affabile presenza del padiglione, eccentrico con la sua collezione di cravatte a tema Disney ("No, non so dirti dove comprarle, sono tutte dei regali!").


E così, le conferenze possono raccogliere un pubblico elitario, la mostra di disegni originali è fagocitata dal mercato e gli autori sono sacrificati in un solo stand.
L'Area Autori rischia di diventare un suq: un lungo tavolo che schiera artisti più o meno noti, l'uno accanto all'altro, con file confuse per tornare a casa con un autografo o, ciò su cui si conta di più, un disegno originale realizzato sul momento. Qui si potrebbe far molto per migliorare la qualità dell'incontro: p.e. una coda numerata come in banca! Gli elenchi sono un buon strumento, ma costringono a tour de force che spesso si concludono con buchi nell'acqua.
Tra i nomi che spiccano: Silver, il creatore di Lupo Alberto e Cattivik, che si è concesso quanto ha potuto nella mattina del sabato; Paolo Mottura, disegnatore Disney, apprezzato in altri generi anche in Francia, che ha realizzato piccoli gioielli con cartoncino nero e matite colorate, assecondando le richieste dei fortunati; Luca Enoch, uno dei più importanti autori completi italiani, in questi mesi in edicola nel reparto Bonelli con la serie fantastica Lilith; Giacomo Bevilacqua, giovane creatore del comico marchio di A Panda piace, che ha attirato l'attenzione di La7 abbastanza da essere assoldato; e molti altri validi disegnatori e fumettisti che solo in un contesto simile trovano la giusta visibilità.

Don Rosa


L'ospite d'onore è stato Don Rosa, il più famoso e controverso autore Disney vivente. Per lui si è rivelato da subito insufficiente il banchetto dell'Area Autori ed è stato trasferito in un'altra zona, abbastanza spaziosa per accogliere torme di curiosi e di estimatori affamati di un suo disegno. Per averne uno, l'iscrizione all'elenco era chiusa già entro le 11 di ogni giornata, arrestandosi a oltre ottanta disegni da realizzare entro la chiusura. Un lungo lavoro a cui il cartoonist del Kentucky non si è sottratto, anzi, ci si è tuffato oltre ciò che gli era stato richiesto da chi l'ha invitato, disegnando e autografando non-stop con un paio di pause solo per un panino o un altro genere di bisogno. Ha confermato la sua mentalità nella conferenza della domenica pomeriggio: ciò che gli preme è accontentare il più ampio numero possibile di fan, per questo non si permette deroghe fintanto che la fiera gli concede il suo spazio. Nella stessa occasione ha avuto modo di rispondere, ora mestamente ora comicamente, alle domande del pubblico. Per chi non lo sapesse, è stato ribadito che ha appeso la matita al chiodo per due motivi - un distacco di retina mal corretto, che ne ha compromesso una buona visione, e l'annoso conflittuale rapporto con la Disney. Da sempre la multinazionale riserva un trattamento non abbastanza equo per i suoi artisti, che vengono sì pagati alla consegna del lavoro, ma rinunciano a ogni diritto su di esso, si tratti delle tavole originali o di percentuali sulle ristampe. In un caso come questo, Don Rosa ha visto fare affari con le monografie dei suoi lavori, realizzate senza interpellarlo, e ha approfittato dei problemi di salute per dire basta a un sistema che sentiva di non poter cambiare. Al di là delle questioni legali, si è parlato delle sue ispirazioni - su tutte il cinema, di cui è grande appassionato: quando scriveva e disegnava, il suo approccio "...non era come imposterebbero la tavola Jack Kirby o Carl Barks, ma che regia avrebbero usato John Ford o Alfred Hitchcock"; si è parlato del divario culturale tra Stati Uniti ed Europa, arrivando al paradosso per cui "gli italiani conoscono la cultura [pop] americana più di quanto facciano gli americani stessi". Dopo queste e altre riflessioni, subito si è tornati al tavolo da disegni, per il rush finale.

Collegamenti esterni:
- una galleria di nostre immagini.

martedì 5 aprile 2011

Una semplice domanda. Elogio della Follia 2

L'intervistatore della Bbc, Jeremy Paxman, ha chiesto, con immensa facciatosta, al ministro degli Esteri Franco Frattini: «Le è d'aiuto nel suo lavoro il fatto d'avere un primo ministro considerato uno zimbello internazionale?». C'è un limite alla Follia? e alla salute? Quousque tandem abuteris, Berlusca, patientia nostra?

Noi lo abbiamo scritto spontaneamente. Ma essendo onesti abbiamo fatto una ricerca in internet, trovando che altri, ad onor del vero, lo hanno scritto prima di noi. Meglio così. Dare più forza alle nostre voci è l'unico intendimento.
“Quousque tandem abuteris, Catilina, patientia nostra? Quam diu etiam furor iste tuus nos eludet? quem ad finem sese effrenata iactabit audacia?(…)Patere tua consilia non sentis? constrictam iam horum omnium scientia teneri coniurationem tuam non vides?”
Fino a quando abuserai, Catilina, della nostra pazienza? Per quanto tempo ancora codesta tua condotta temeraria riuscirà a sfuggirci? A quali estremi oserà spingersi il tuo sfrenato ardire?(…) Le tue trame sono scoperte, non te ne accorgi? Non vedi che il tuo complotto è noto a tutti?”

lunedì 4 aprile 2011

I PORCI ITALIANI IN CRISI? Elogio della Follia 1

Era ora che i Porci italici fossero in crisi, avevamo pensato visionando in tv  REPORTER  di ieri sera. Invece no. Avevamo capito male, anzi malissimo. Non si trattava dei Porci italiani in attesa di giudizio né della Baia dei Porci nè dei "maiali" esplosivi dei conflitti bellici. Si trattava dei prosciutti che vengono fatti dalla coscia del Sus scrofa domesticus, più noto come maiale o porco. Mi si sono strabuzzati gli occhi durante il servizio quando ho appreso che nove coscioni su dieci del suino non provengono dagli allevamenti controllati (anzi arcicontrollati tanto da non coprire le spese!) bensì da allevamenti tedeschi a rischio di mangime contaminato da diossina o da chissà quale altro paese extracomunitario o extragalattico per nulla controllato. Ecco che arriva a noi nelle grandi distribuzioni in offerta speciale il prosciutto con un timbro diverso ma con la pubblicità di una prelibatezza. E, si sa, in periodi di crisi, si cerca di spendere di meno... Ma la mia meraviglia non è ancora finita che scopro da dove viene questo prosciutto-non prosciutto. Da Langhirano!
Il comune di Langhirano, a pochi chilometri da Parma, è noto come la patria dell'ottimo prosciutto DOP. Un signore dei luioghi citati intervistato dice che lo chiamano nostrano ma in senso lato (ah, ah), loro intendono fatto con pratiche nostrane, non proprio nostrano... Dio come siamo caduti in basso. Sto quasi per riprendermi dallo shock anafilattico da notizia (uno dei più mortali) che mi ributtano nel profondo del delirio confuso  parlandomi dei pomodori che importiamo dalla Cina (!) per farne famose passate di pomodori che della Campania hanno visto solo la etichetta tricolore. E gli oli? Basta. Tu Reporter uccidi un uomo morto. Seppellitemi all'isola dei Famosi o assieme a Bear, quello che mangia rospi e larve succulenti in ogni parte del globo. (erasmo da rotterdam)

sabato 2 aprile 2011

FUMETTI - L'audace Bonelli

In questi giorni a Milano si è inaugurato un prototipo per un Museo del Fumetto, il WOW!. E' uno dei segnali di un positivo andazzo per un medium da sempre sottovalutato nel nostro Paese, così come lo è L'Audace Bonelli, mostra che aveva vissuto una prima vita a Napoli, promossa dall'omonimo Comicon, e che da gennaio è tornata aggiornata presso il fortino di Brindisi, uscendo così dal ristretto circuito delle fiere del fumetto e tenta l'assalto al grande pubblico, o perlomeno degli habituée delle mostre d'arte. Perché, si continua a ripeterlo con poco successo, il fumetto è un arte - la nona, secondo la più nota classificazione - e merita il trattamento riservato a tutte le altre. Per questo ben vengano iniziative di questo genere, che non devono essere scoraggiate dal timido afflusso di utenti.

L'esposizione ripercorre la storia della Sergio Bonelli Editore, la più importante casa editrice di fumetti in Italia, attraverso tavole e cimeli dei personaggi, a partire da quelli ormai caduti nel dimenticatoio come Akim e il Piccolo Ranger, una sorpresa per le ultime generazioni; viceversa, chi pensa che il fumetto italiano non abbia avuto più niente da dire dopo le avventure dei classici Tex, Zagor o Mister No, si renderà conto che la tradizione è ancora viva e attuale, al passo con i tempi in quanto a tematiche e formati - la maggior parte dei nuovi personaggi (Brad Barron, Gea, Lilith, Cassidy) è protagonista di miniseri, con un numero prestabilito di albi in cui concludere la storia, in modo da non sovraccaricare il mercato e incoraggiare la lettura con il suo senso di completezza.

Solo sbattendo il naso contro le tavole originali ci si rende conto della difficolt
à che c'è dietro il lavoro del disegnatore: le tracce del correttore bianco, i particolari ridisegnati e incollati sugli errori, il lettering delle nuvolette sono i dettagli più eccentrici, ma la suggestione deriva dai tratti e dagli inchiostri dei vari Galep, Corrado Roi, Claudio Villa e dozzine di altri artisti. Nella galleria spiccano anche alcune pagine in anteprima, su tutte un paio di Angelo Stano tratte dall'imminente numero 300 di Dylan Dog.

A corredare il tutto ci sono chicche come la macchina da scrivere di Gianluigi Bonelli, il patriarca della scuola e co-creatore di Tex, albi e gadgets da collezione, sceneggiature originali, ricostruzioni di elementi caratteristici dei personaggi, come la scrivania di Dylan Dog (con annesso galeone), l'ascia di Zagor o la sella di Tex.

La mostra è a ingresso gratuito, aperta dal martedì alla domenica dalle ore 9.00 alle ore 13.00 e dalle 17.00 alle 20.00, fino al 17 aprile 2011.

Palazzo Granafei-Nervegna, via Duomo 16-20, Brindisi

venerdì 1 aprile 2011

Angeli e Demoni di Roma: yperpartisanship? iperpartigianeria?


Angeli e Demoni di Dan Brown
 Mi vergogno. Come ogni italiano. Come il mio (lo dico con orgoglio) Presidente.





La Camera dei Deputati vuota: l'unico modo per governare senza risse?

Si vergogna anche il primo cittadino dello Stato che cerca disperatamente di mediare tra le parti irriducibili. Stiamo finendo sulla bocca di ogni rete informatica e umana con le scene di risse, offese tra deputati e senatori eletti dal popolo e superpagati rispetto alla media internazionale dei rappresentanti di parlamenti. "A sharply polarized situation in which political parties are in fierce disagreement with each other" è la definizione di hyperpartisanship, termine che gli studiosi di politologia riservano a quel clima di guerriglia tra parti politiche avverse che mira solo all'annientamento altrui: l' iperpartigianeria, l'essere un ultra che si agita ignobilmente dagli scranni di un Parlamento, rimanda alla stessa disinvolta aggressività verbale ed extraverbale che è divenuto un ingrediente fisso della programmazuione televisiva. Noi vediamo risse  perché la rissa è stata legittimata dai media e dai politici. Dappertutto: set televisivi, sportivi, lavorativi ecc. Non se ne può più.   Non si intravvede che di rado sugli schermi una risoluzione mediata dei conflitti o delle opinioni diverse ma si assiste solo alla rissa che fa audience (che si legge odiens: da odio?!). E'  la lotta all'ultimo sangue televisivo dei neogladiatori della parola e dei gesti blasfemi che mutuano stile ed argomenti (!) ai Grandi Fratelli, agli Isolani Famosi e no. Questi format ci stanno formattando la mente? Nella politica in particolare si è assistito nel corso degli anni alla spettacolarizzazione crescente, sino a giungere alla lotta aspra che non prevede mai un dialogo costruttivo, neanche sui grandi temi nazionali. Individui faziosi, spesso "più monarchici del re", più berlusconiani di Berlusconi, più maoisti di Mao, più islamici di Maometto, più cattolici del Papa, ecc. si affannano alla ricerca dello scontro e della  escalation simmetrica (come si chiama in psicologia interpersonale), quella relazione che dovrebbe durare poco per ricomporsi nella complementarietà e che invece incalza sino alla intenzione di eliminazione dell'Altro. Non per niente si parla di vietnamizzazione della politica: fu in Vietnam che si parlò di escalation la prima volta.
Parlo a voi politici da umile cittadino. Siete spesso falsamente democratici, sia quando siete al governo, sia quando siete alla opposizione. e la gente si è stancata di voi e di essere commiserata all'estero. Un esempio per tutti? leggetevi il Blog di El Paìs e gli articoli dei corrispondenti spagnoli che risiedono a Roma. Così Miguel Mora spiega il perché del blog dedicato a Vaticalia (fusione di Vaticano e Italia !):

"Como dijo un alemán, Italia es como una diva de Hollywood: “Todos la miran admirados pero nadie la comprende”. Este año, el país festejará el 150 aniversario de la unidad y los 82 años de su divorcio del Vaticano. Pero ¿estamos seguros de que Italia y el Vaticano son dos Estados distintos? Uno vive subsumido en el otro, aunque no resulta fácil decir quién subsume más a quién. Lo único claro es que Vaticalia es una mina informativa: pecados y delitos, mafias y masonerías, santos y 'velinas', vida interior y noches locas, Ratzinger y Berlusconi... ¡Viva Vaticalia!" ("Come disse un tedesco, 'l'Italia è come una diva di Hollywood: Tutti la guardano ammirati ma nessuno la comprende' . Quest'anno il Paese festeggia i 150 anni di unità e gli 82 anni dal divorzio dal Vaticano. Ma siamo sicuri che Italia e Vaticano siano due stati distinti? Uno vive sottomesso all'altro, anche se non si capisce chi sottometta più chi. L'unica cosa evidente è che Vaticalia è una miniera di informazioni: peccati e delitti, mafie e massonerie, santi e veline, vita privata e notti folli, Ratzinger e Berlusconi...Viva Vaticalia!"). 

Ci piacerebbe rispondere al corrispondente che anche la Spagna ha i suoi guai: che lo scandalo di Intervida per esempio è stato eclatante (si rubavano i soldi che noi inviavamo mensilmente credendo di adottare a distanza bambini africani e centroamericani); che la masoneria esiste anche da loro ed è federata al Gran Oriente di Francia; che l' Opus Dei  è stata fondata nel 1928 dal sacerdote spagnolo Josemaria Escrivà de Balguer ecc. Potremmo ricordargli che le mafie non sono solo italiane (russa, albanese, serba, giapponese ecc.); che lo scandalo  "Profumo" colpì la Gran Bretagna degli anni Sessanta (uno scandalo politico a sfondo sessuale che prese il nome da John Profumo, Segretario di Stato per la Guerra e prevedeva una spy-escort di nome Christine Keeler). A che pro tanta cultura storica che non coltivano in primis proprio i politici - che dalla storia dovrebbero trarre profitto - e tanti giornalisti? Viene il dubbio che anche il corrispondente spagnolo sia  iperschierato. Noi dissentiamo dal tono sprezzante e poco rispettoso di troppi. Ma come rispondergli dopo gli ulteriori incresciosi eventi che minano la nostra credibilità all'estero? la credibilità dell'Italia tutta? Forse ci dobbiamo appellare al Presidente della Repubblica affinché sciolga di imperio le Camere. (achille m.)



bibliografia di riferimento (per chi crede poco credibile solo l'Italia)
http://blogs.elpais.com/vaticalia/
http://www.masoneria.es/


A proposito di spese e lauti stipendi: stralcio da  la Stampa del 20-6-2006
 


R. Magritte - Le Savoir La porta Socchiudo la porta: s'intravede la luce La via non è fuori  È nel buio più intenso  nella parte più osc...