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martedì 10 settembre 2024

Incontro con Alessandro Preziosi IL TALK dell'8 Settembre a Trani

 

 

 


 

Incontro con Alessandro Preziosi
IL TALK
Tuffarsi come metafora del vivere

A destra e sinistra Alessandro Preziosi tra il pubblico, al centro Alessandro Preziosi è con Francesco Donato

Corte Davide Santorsola, Palazzo delle Arti Beltrani, perno del polo culturale tranese, ha ospitato per la serata dell’8 settembre il talk-intervista dedicato all’attore Alessandro Preziosi.
L’attore volto di spicco del cinema, del teatro e della tv italiani ha all’attivo 25 anni di carriera che racconta non lesinando tra i ricordi, le preferenze e le motivazioni che lo hanno introdotto e spronato nel corso della sua affermazione professionale.

L’attore pluripremiato ha all’attivo diversi Telegatto, il Premio Gassman, il Premio Alberto Sordi e il Premio Giffoni Festival Award, e sono alcuni tra i tanti premi e riconoscimenti ottenuti; Alessandro Preziosi vanta infatti una carriera di tutto rispetto: versatile, curioso e convincente in moltissimi dei ruoli affidati nella molte fiction e miniserie televisive di successo (Elisa di Rivombrosa, Il Capitano, La Bella e la bestia, I Medici) nelle interpretazioni cinematografiche (I Vicerè, Mine vaganti, Mio fratello mia sorella, Sant’Agostino) e sui palcoscenici dei teatri (Cyrano di Bergerac, Amleto, Re Lear, Vincent Van Gogh) solo per citarne alcuni

Intervistatore a sorpresa, Francesco Donato, volto già noto di TeleSveva, ha sostituito in extremis con grande professionalità l’atteso e amato regista Fabrizio Corallo - autore di docufilm e intervistatore raffinato, di cui il Giornale si è interessato in tanti successi di carriera - assente quest’ultimo e suo malgrado per un ritardo dei voli da Venezia.
Per molti di noi il Talk con Alessandro Preziosi ha ricalcato aspetti della vita personale dell’attore già noti ma anche tanti altri insospettabili retroscena.


Eccellente studente, burlone e napoletano – qualità che ama sottolineare – giovanissimo lascia la promettente carriera di avvocato e si cimenta nella recitazione entrando nell’Accademia dei Filodrammatici di Milano.
Prima ancora di terminare l’Accademia viene scritturato per il ruolo di Laerte nell’Amleto con Kim Rossi Stuart, per la regia di Antonio Calenda e da lì a seguire una carriera in ascesa tra ruoli impegnativi e altri più leggeri.
Sempre favorito dalla critica ama il cinema che vive come luogo in cui potersi meglio “psicoanalizzare”.
Col palco ha un legame che ritiene sacro poiché in scena sa di poter realizzare sempre il meglio e il peggio di se stesso e la finzione che è nel copione recitato rappresenta la possibilità di accogliere sempre nuovi stimoli.
Si occupa anche di regia teatrale, ha inciso un disco di musica sudamericana e uno di musica house, sta attualmente preparando il testo dell’incontro tra Eleonora Duse e Gabriele D’Annunzio al Vittoriale.

La recitazione, con le diverse regole, nei differenti modi e tempi comunicativi che tv, cinema e palco richiedono, lo ha messo di fronte a quella che ritiene la più grande possibilità per un essere umano: usare pienamente e totalmente tutte le potenzialità del proprio corpo e della propria voce.

Ama cogliere del suo vissuto quella serie di coincidenze che lo hanno indotto a compiere scelte e realizzare incontri determinanti.

Coerente col proprio sentire, ritiene che il suo desiderio nel cassetto che immagina aperto sia proprio quello di continuare ad imparare a sentire.
In questo racconto a cuore aperto torna costantemente sul valore comunicativo della recitazione, sulla paternità e su di una metafora che ama particolarmente:

TUFFARSI COME METAFORA DEL VIVERE


Quando ci si tuffa da uno scoglio così come nelle proprie scelte non vi è alcuna possibilità di ripensamento e nessun passo indietro è possibile, l’azione non può in alcun modo essere interrotta.

Padre di Andrea Eduardo (nato nel 1995 dalla relazione con Rossella Zito) ed Elena (nata nel 2006 dalla storia d’amore con Vittoria Puccini) confessa di essere messo male con l’uso dei social – potremmo definirlo un po' boomer – a metà tra l’incapacità e la volontà di comprendere pienamente l’uso e abuso dei social e la necessità attivare la limitazione dell’uso dei social proprio come faremmo con i nostri figli più piccoli attraverso il parent control.

A tratti il talk ha rivelato un Alessandro Preziosi del tutto inedito e inaspettato, giocoso e timido insieme, esempio costante di attenzione per l’ascoltatore. Serata piacevole e colta.







Lidia M. Ratti, UX writing





martedì 27 agosto 2024

Lettera alla Redazione di una Lettrice di Trani che ci parla di emozioni sul set.




LETTERA ALLA REDAZIONE


HO 36 ANNI E VIVO A TRANI, HO DECISO DI SCRIVERE QUESTA LETTERA PER CONDIVIDERE E TRASMETTERE EMOZIONI VISSUTE QUESTA ESTATE 2024. HO PARTECIPATO VIVAMENTE COME ATTRICE AD UNO SPETTACOLO TEATRALE DI MARCO PILONE IL 7 MAGGIO INTITOLATO “E’ STATA UNA BELLA SERATA” (MARCO PILONE E' ATTORE, REGISTA E AUTORE LEGATO ALLA ASSOCIAZIONE TEATRO MIMESIS DI TRANI).  E HO PARTECIPATO AD UN MUSICAL SU SAN FRANCESCO CON DON MICHELE INTITOLATO: “FORZA VENITE GENTE” IL 24 E IL 25 MAGGIO u.s. INOLTRE POICHE’ SUONO DA ANNI IL CLARINETTO, HO PARTECIPATO AD UN SAGGIO DI MUSICA IL 4 LUGLIO CON LA MIA ASSOCIAZIONE DI MUSICA IL PRELUDIO INTERPRETANDO IL BRANO SU SAN FRANCESCO “FRATELLO SOLE SORELLA LUNA”. IN QUESTE MERAVIGLIOSE ESIBIZIONI HO PROVATO INIZIALMENTE TANTA PAURA, ANSIA MA POI CREDENDO IN ME, NELLE MIE CAPACITA’, CONOSCENZE MI SONO LASCIATA ANDARE E HO TRASMESSO AL PUBBLICO TANTA ENERGIA E PARTECIPAZIONE HO COSI PROVATO UNA GIOIA IMMENSA PERCHE’ TUTTI MI APPLAUDIVANO E ADDIRITTURA CHIEDEVANO IL BIS. IO NON CI CREDEVO, NON PENSAVO DI POTER COSI SMUOVERE GLI ANIMI DELLA GENTE, SUSCITARE TANTE BELLE EMOZIONI MI SENTO VIVA E SPERO DI POTER AVERE SEMPRE AUTOSTIMA. E’ BELLO AVERE L’APPROVAZIONE DEGLI ALTRI E SOPRATTUTTO VEDERE LE PERSONE A ME PIU’ CARE, I GENITORI E AMICI APPLAUDIRE ALL’INFINITO CON GLI OCCHI COLMI DI LACRIME. UN ESTATE INDIMENTICABILE E SPERO SIA L’INIZIO DI UNA NUOVA VITA. RINGRAZIO TUTTI COLORO CHE CREDONO IN ME: I MIEI GENITORI LE FIGURE MEDICHE, GLI AMICI E QUELLA PARTE DI ME CHE MI INCITA A NON MOLLARE MAI E A METTERSI IN GIOCO SEMPRE.

ALESSANDRA ALBANESE



Grazie alla Lettrice per la genuina e sincera lettera che ci ha inviato e che attesta come passione e competenze vanno a braccetto e richiedano tenacia e coraggio per superare le nostre piccole o grandi ansie a livello psicosociale. 
Conosciamo personalmente Marco Pilone, un agente culturale di grande rilievo, non solo a Trani, uno che sa come coinvolgere e attirare nei suoi lavori teatrali sia a livello di pubblico sia a livello di attori (professionisti o dilettanti che siano).
La Compagnia Teatrale della parrocchia San Magno  (Trani) organizza da tempo eventi aggreganti.  "Forza venite gente!" parla di Francesco d'Assisi, della sua vita, attraverso uno spettacolo che prevede parti recitate, cantate e ballate. Sono ben quarant'anni che il musical ha successo. La parrocchia dedicata al martire  Vescovo tranese, si avvale di  un gruppo teatrale entusiasta di bambini, giovani, giovanissimi e adulti. Riproporre la vita del Poverello d'Assisi è sempre attuale e vincente in una società che appare centrata sulla cupidigia e visibilità mediatica. Con la direzione e regia di Don Michele Caporusso tutto appare spontaneo e attuale.
Continua così Alessandra a percorrere la strada che senti tua e continua a circondarti di persone attive e positive. Ad Maiora 👏

domenica 19 febbraio 2023

ENNIO FLAIANO straniero in patria. Docufilm di Fabrizio Corallo e Valeria Parisi

 






"Scrittore satirico minore dell'Italia del benessere", così si era proposto Ennio Flaiano per un'ipotetica enciclopedia del 2050. Ma che non fosse per nulla "un minore" lo testimoniano il successo editoriale postumo - 6 libri pubblicati in vita, più di 30 dopo la morte - e "l'estrema attualità e il perdurante successo della sua opera".  
In realtà Ennio Flaviano, nato a Pescara nel 1910 ma romano di adozione, da intellettuale fecondo e indipendente qual era, ha scritto di tutto come giornalista, critico cinematografico e teatrale, come umorista, e drammaturgo incompreso.Vittorio Gassman nel docufilm narra il fiasco colossale della commedia Un Marziano a Roma.
Il film Ultimatum alla Terra di Robert Wise (1951) aveva ispirato Un Marziano a Roma, un racconto comparso su Il Mondo nel 1954? Non sappiamo e non ci crediamo. Se è per questo anche il film con David Bowie-alieno L'uomo che cadde sulla Terra (1976) parla di un extraterrestre che suscita all'inizio tanto interesse terrestre mediatico ed alla fine dimenticato tracanna alcolici. Personalmente, visionando il bellissimo docufilm scritto e diretto da Fabrizio Corallo e Valeria Parisi (per 3D Produzioni e Rai Documentari), si può supporre che la vita colma di abbandoni del piccolo Ennio ed il suo "atterrare" a Roma abbia fatto di lui un vero "Kunt", il marziano a Roma. Lo stesso Eric Berne, fondatore dell'approccio analiticotransazionale, parla di "posizione marziana", vedere le cose con occhio nuovo. Ennio Flaiano vedeva le cose come nessuno e disse dopo l'insuccesso clamoroso della commedia tratta dal racconto: "L'insuccesso mi da alla testa". 
Lo animava un umorismo britannico, spiazzante che ricorda la regina Elisabetta II che volò con il suo 007 alle Olimpiadi di Londra. Lui tante volte "spiazzato" nella vita (da piccolo era diventato "un pacco postale" per le tante destinazioni affettive) usava spiazzare con le sue freddure, la sua ironia che risaliva ai latini Giovenale e Marziale: e un giornalista anglosassone tradusse il nome e cognome in "Ennius Flavianus" pensando fosse un autore antico. Ma chi era il Marziano della commedia? Kunt, un alieno proveniente dal pianeta Marte, atterra con la sua astronave a Roma, nei pressi di Villa Borghese. Lo accolgono stupore e scalpore mediatico. Tutti desiderano incontrarlo, parlargli, intervistarlo. Kunt arriva alla udienza dal Papa in Vaticano. Esauritosi l'effetto-notizia e l'effetto della novità, i romani si abituano e iniziano a snobbarlo. Alla fine il marziano si aggira solitario e malinconico per le vie della città e qualcuno lo invita a tornare a casa. Forse questo è il senso colto dal docufilm, al tempo stesso amaro e affascinante.  
Domenica 15 gennaio scorso, alle 23,30 Rai 1 ha mandato in onda nell'ambito di Speciale Tg1 in prima tv il docufilm, una sorpresa per molti. Sono trascorsi cinquant'anni dalla prematura scomparsa (20 novembre 1972) di Ennio Flaiano, stroncato dal secondo infarto miocardico. 

    "Come in un viaggio - suggeriscono Fabrizio Corallo e Valeria Parisi  - entriamo nella vita di un profetico osservatore della società italiana della quale ha raccontato vizi e difetti. Nella scrittura di Flaiano una vitale gioiosità comica e una satira amara e corrosiva si alternano a una vena di profonda malinconia e a un senso di inappagamento che probabilmente derivano da una vita complicata fin dall'inizio". 



    Il docufilm recupera preziosi materiali di repertorio, interviste con personaggi come Federico Fellini, Vittorio Gassman, Suso Cecchi D'Amico, Ugo Gregoretti, interviste radiofoniche come quelle alla moglie Rosetta Rota, fisica e matematica legata al gruppo di via Panisperna, e con la quale Ennio condivise l'affetto dolente per la figlia disabile Luisa. 
    Ennio Flaiano come sceneggiatore è stato lo storico collaboratore di Federico Fellini, fino a quando non ci fu uno screzio relazionale che li allontanò. Tra le interviste ci ha colpito quella del quasi centenario fotografo Paolo di Paolo. Fino ad arrivare a Maurizio Mastino di cui Flaiano frequentava il ristorante a Fregene, vicino al litorale di Maccarese dove lo scrittore è sepolto con la moglie e la figlia. 

Proprio oggi Fabrizio Corallo ci ha confessato al telefono di essere andato lì a mangiare, riassaporando la magia del passato. Ad maiora, Fabrizio. Te lo meriti. (Achille Miglionico e Tina Ardito).
   

Come ebbe a scrivere


mercoledì 29 settembre 2021

HAI MAI MANGIATO UNA POESIA? LA CAMERIERA DI POESIA È A SERVIZIO IN CITTÀ #poesia#performance#claudiafabris#versosud#parolesottosale#lacamerieradipoesia#corato

 

HAI MAI MANGIATO UNA POESIA?
LA CAMERIERA DI POESIA È A SERVIZIO IN CITTÀ


A Corato, dal 17 settembre al 17 ottobre, in Piazza di Vagno è possibile prenotare gratuitamente il proprio posto per assistere alla performance “La cameriera di poesia” di Claudia Fabris, organizzata nel contesto del festival “Verso Sud”. Ho provato in prima persona la performance e di seguito le mie impressioni su questa esperienza.

CORATO, 23 SETTEMBRE- Avevo prenotato il mio posto per il turno delle 18. Arrivato in piazza, dopo qualche minuto di attesa, compare, dal buio delle scale fino ad affacciarsi in piazza, Claudia Fabris, che ci accoglie, ci saluta e ci porge subito i menù. La performance funziona così: dapprima, si prendono le ordinazioni “poetiche”. Sul pieghevole che ci è stato offerto si possono trovare antipasti, primi piatti, piatti unici, dolci e “parole sotto sale”, il vocabolario che l’artista sta scrivendo dal 2013. La “cameriera” ci spiega che gli antipasti sono poesie molto brevi, i primi piatti sono poesie di media lunghezza, mentre i piatti unici sono poesie più lunghe e se ne ordina una per tutti i partecipanti. I dolci, invece, sono poesie accompagnate da musica, cantate o con doppia voce. Ogni sezione del menù si divide in piatti “della casa”, cioè scritti originali di Claudia Fabris, “classici” e “contemporanei”. «È un pasto comunitario» avverte, quindi ciò che ciascuno ordina sarà “mangiato” anche dall’altro.

Una volta prese le ordinazioni si scende in questo locale sotterraneo tutto di pietra. Decorato e accogliente, pieno di lucine che offrono punti di luce ambrata e calda, libri, piccole candele, lettini e sedie a sdraio. Al centro vi è una grande libreria che fa il paio con quelle poste alle pareti laterali, mentre a un lato c’è un piccolo banco, con mixer e microfono, che è la postazione della “cameriera”.


Ci porge delle cuffie: ecco spiegato come avverrà la performance. Claudia Fabris ci leggerà le poesie da noi ordinate, mentre noi staremo tutto il tempo accomodati sul letto o sulla sdraio, liberi di goderci il momento come preferiamo.

L’atmosfera è molto rilassata, è evidente la cura, materiale e immateriale, dell’artista nel metterci a nostro agio, così mi siedo sul letto. Accendo la cuffia e la performance comincia. La voce calda e ammaliante di Claudia ci introduce al servizio con “pane” e “coperto”. La voce si accompagna a dei suoni naturali e registrazioni di voci di altri poeti.

Poco dopo prendo coraggio e sprofondo nel letto, ho gli occhi chiusi ma forzatamente, il corpo è rigido, mentre nelle mie orecchie le parole incalzano.


Poi, pian piano qualcosa succede: il corpo è morbido, gli occhi- che prima serravo e poi riaprivo- si chiudono spontaneamente, con grazia e dolcezza.

Le immagini della poesia iniziano a crearsi dentro di me, le vedo. Senza che io lo voglia, visualizzo le immagini suggerite dai vari componimenti. Tutto accade in modo immediato e senza il coinvolgimento della mia coscienza. Lo sciabordio dell'acqua che sento in cuffia crea l’acqua: vedo l'acqua, sono nell'acqua, e la sento. Sento la freschezza delle onde marine sul corpo e poi vedo il blu delle profondità nelle quali sono immerso.

Poi vedo un pesce. Poi una frattura nella terra e poi una donna. Le parole che ascolto, man mano che le poesie si avvicendano, generano immagini. Se si parla di acqua vedo acqua e così via. 


Sento di sprofondare in uno stato di coscienza alterato, come se stessi scavando più in profondità, perché ora inizio a vedere soltanto colori e forme che si muovono e si intersecano tra di loro e quando si uniscono mutano ancora forma e colore

È ormai solo pura forma e puro colore e questi cambiano di continuo. Solo verde, giallo, rosso, blu in cerchi, quadrati e cascate di forme geometriche. Sono come le immagini che vedi quando stai per addormentarti: le illusioni ipnagogiche.


Mi ero quindi addormentato? Non lo so. Non so davvero dire cosa sia successo, l'unica cosa sicura è che ero in uno stato di coscienza alterato, diverso, non nella veglia. Se torno indietro con la memoria non ho neanche coscienza precisa di cosa sia successo e cosa io abbia fatto in quei momenti (quanto lunghi, non so). Ho fatto esperienza di cose che non sapevo, ho visto cose che non immaginavo. Ero io e non ero io allo stesso tempo. Claudia ha toccato forse parti più profonde e sepolte della mia psiche


A proposito di Claudia Fabris. Mi chiedo quale sia il suo ruolo nella performance, a che archetipo ricondurla. 

Questo pensiero mi si presenta di tanto in tanto mentre, steso, ascolto la sua voce meravigliosa. Sì è presentata come una cameriera di poesia, poi ho iniziato a vederla come una psicoterapeuta che innesca e partecipa a un processo col suo gruppo di terapia, sempre mantenendo però il suo ruolo. Pian piano, però, inizio a vederla come una maga: le sue parole sembrano incantarmi. Lei sta creando dei mondi con la parola, il suo abracadabra poetico forgia e nel frattempo ammalia, ci fa sprofondare in un sopore magico, profondo e innaturale. Qualcosa di ricco e strano, mi vien da dire. 


Mi ridesto un poco, Claudia parla di Pino Sciola1, artista sardo che faceva “cantare” le pietre. Il suo proposito artistico era di dimostrare che la pietra era cosa viva, perché capace di cantare. 

Quindi, applicava dei tagli alle pietre che, una volta sfiorate, emettevano dei suoni simili a un canto. Ascoltiamo questo canto. Sento il bisogno di allungare la mano e toccare la parete di pietra che è accanto a me. La sento bagnata, morbida. Come se fosse viva e mi stesse sorridendo divertita. Claudia ci anticipa che il prossimo suono ha provato anche lei a produrlo da quella stessa pietra e non poteva collegare il suono che sentiva a quello che vedeva, non riusciva proprio a crederci. Sembra una sinfonia, un qualcosa di corale. E qui accade che il mio sguardo è come se acquisisse una seconda vista. Stavo guardando già da molti minuti la volta di pietra sopra di me, ma sembra che solo ora la stia guardando per davvero. Così con lo sguardo e la testa comincio a muovermi continuamente da destra a sinistra e poi ancora e di nuovo, a coprire interamente l’arco. È come se vedessi la pietra illuminarsi e viva risuonare e cantare come in una sinfonia.


Ho riacquisito un po' di lucidità, cerco di seguire il testo, di visualizzarlo ma ben presto sprofondo di nuovo in questo strano stato della coscienza.

La mia intelligenza fatica, si aggrappa ma non ci sta dietro. Prima di abbandonarmi realizzo che la poesia è primariamente voce, mentre noi ci fermiamo solo al testo, nelle analisi linguistiche e nelle strutture metriche. La natura sacra della poesia, il rapimento estatico che comporta, non sono solo cose scritte sui libri o anticaglie del passato. Sento come di aver sbagliato tutto nell’interpretare la poesia, ma non ho tempo per giudicarmi: sono già nuovamente ammaliato.

È arrivato il momento dei dolci, recitati ritmati, cantati o con doppia voce, accompagnati dalla musica. Claudia Fabris sta eseguendo Nature Boy di David Bowie, la mia scelta. Canta un verso in inglese e poi si ascolta la sua traduzione in italiano e così via ancora. L'effetto è quello di una magia ritardata o di una magia cosciente. La parte inglese incanta, quella in italiano si offre alla coscienza.

Poi, «come in ogni ristorante che si rispetti», caffè amaro, macchiato, brandy, vodka, sake, liquore africano e mille erbe. La nazionalità di ogni autore e l’effetto della sua poesia generano questa ripartizione alcolica. Un colpo poetico dietro l'altro, poesie brevissime che mirano al centro e fanno colpo. Sono emozionato. Risorge in me l'idea che l'uomo è una cosa piccola, che deve prendersi cura di sé e dell'altro e che deve vedere il bello anche nelle difficoltà.

Siamo giunti al termine, forse l'ho capito con un po' di ritardo. Non si sente più nulla nella mia cuffia. Claudia è andata via. Penso che sia un qualcosa di maieutico o una ritirata della maga, quand’ecco che ritorna con una grande borsa stretta a due mani e la porge davanti a ciascuno di noi, invitandoci a pescare qualcosa da dentro. Sono le sue “parole sotto sale”, titolo anche del suo libro, un “piccolo dizionario poetico” in cui ciascun componimento offre l’etimologia poetica di una parola2.

Pesco la mia, è “Formazione”. Per una serie di motivi personali (e quasi tutti relativi alla sola giornata di oggi) sembra la parola giusta per me. Sembra, ancora una volta, un’incursione magica e profonda nei miei pensieri più celati. 

Mi guardo intorno e sollevo il busto. Sono, siamo tutti intontiti. Ma paghi, soddisfatti. Io mi sento sazio, nutrito, ristorato. Dentro di me ribolle la voglia di dire “grazie”.

E qui ho un'illuminazione. Mi sento esattamente come dopo una bella mangiata. Ed ecco che trova soluzione e compimento un rovello, uno dei tanti fili che ha attraversato la mia mente in quella che mi è sembrata una vita a parte più che un'esperienza. Lei non è stata né la maga, né la cuoca, né la psicoterapeuta.

È stata esattamente quello che ci ha detto essere sin dal principio: una cameriera di poesia che ci ha servito e ristorato, attenta ai nostri bisogni e premurosa di farci tornare a casa più che sazi e accuditi. Abbiamo timidamente ripreso a parlare, a mezza voce le dico "grazie", ma non credo mi abbia sentito.

Non fa niente, basta così. Il conto, grazie.

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martedì 19 marzo 2019

“OPEN BOOK” @coratopenspace: menti al lavoro



CORATO OPEN SPACE: cinque le associazioni coinvolte, tanti i giovani chiamati a partecipare. Un esempio di aggregazione da imitare attraverso  spazi culturali vissuti dai cittadini. 

CORATO OPEN SPACE  è  una realtà viva a Corato, una città di cinquantamila abitanti che pure afferendo alla provincia di Bari, è contornata dalla affine provincia di BAT (Barletta-Andria-Trani).
Nella sede di viale Ettore Fieramosca, si assiste ad un lavoro comune per la comunità.  laboratori urbani nascono da un’idea semplice e geniale, riqualificare i tanti posti abbandonati che abbiamo nei nostri comuni e renderli punti di aggregazione per i giovani. 





Ogni mercoledì sera presso il Corato Open Space ci si incontra per condividere letture e parlare di libri. L’evento si chiama “Open Book” e prevede la lettura, da parte di ciascun partecipante, di un passo tratto da un libro a sua scelta. Tuttavia, l’originalità di tale incontro risiede nella “Costellazione di libri”, uno strumento di riflessione e critica letteraria ideato da Claudio Leone, specializzando in Filologia Moderna, e mediatore dell’incontro. Su una parete nera si disegnano, dapprima, delle stelle, ognuna delle quali rappresenta un libro. Mentre si avvicendano le varie letture, si cominciano a delineare congiunzioni fra i vari libri, basate su uno stesso motivo letterario o sull’utilizzo di uno stesso espediente narrativo, che vengono rese graficamente con dei segmenti colorati. Al termine di ogni incontro si sarà creata, così, una costellazione, che individua collegamenti fra autori e testi, lontani nel tempo e nello spazio. L’individuazione di analogie e differenze permette, inoltre, la creazione di un dibattito, il cui succo è spesso tracciato coi gessetti in frasi iconiche.

Al termine di ogni incontro avviene la votazione del libro ritenuto più interessante, che sarà acquistato dal laboratorio urbano per arricchire la propria biblioteca.

L’Open Book è un’occasione di incontro e di dialogo per dedicarsi al piacere della lettura, alla scoperta di nuovi testi e di nuove prospettive. L’appuntamento è aperto a tutti, anche a semplici ascoltatori, e prevede il contributo simbolico di un euro, volto all’acquisto del libro più votato.

L’incontro è previsto ogni mercoledì sera alle 20.30 a Corato presso la sede del Corato Open Space in Viale Ettore Fieramosca 169. (claudio leone)

sabato 10 novembre 2018

INTERVISTA AL REGISTA FABRIZIO CORALLO



Fabrizio Corallo a Napoli con Riccardo Scamarcio

Abbiamo visto il film. Un fluido e gradevole affresco su di un artista sicuramente sublime e irripetibile. Il film è inevitabilmente un affresco su di un arco temporale di grande rilievo storico ed etnografico, come a dire “così eravamo”. Ci ha ricordato d’impatto un lavoro antropologico, Naven, di Gregory Bateson il quale con la sua tesi di laurea sconvolse la ricerca e la descrizione etnografica classica alla Malinowski: anche lui non tentò di descrivere il rituale con osservazione estranea (impossibile) ma partì dal rituale Iatmul e si mosse a spirale sulla società in cui quel rituale si inscriveva. 
Con Vittorio Gassman hai saputo passare l’uomo, l’artista e il contenitore-tempo. 
Ora passiamo alle domande.  

   Quando e come hai conosciuto Vittorio Gassman? 

Sono consapevole del privilegio di aver seguito da vicino il suo lavoro e di aver frequentato lui e la sua famiglia per oltre 20 anni.
E' impossibile raccontare in dettaglio tutto quello che un artista indimenticabile come Vittorio Gassman ha lasciato sulla sua scia nel  suo formidabile percorso lungo quasi 60 anni nel teatro, nel cinema, e nella letteratura e la miniera di sapere e di luccicante energia di cui è stato "portatore sano".

    Chi ti ha contattato per il lavoro?  E come è nato ? 

Quando i produttori Adriano De Micheli e Massimo Vigliar mi hanno chiesto di realizzare un ritratto filmato di Vittorio consapevoli  della mia duratura conoscenza dell’Artista, sono stato ovviamente lusingato ma mi è stato subito chiaro che avrei dovuto raccontarlo non solo con la sconfinata ammirazione di spettatore incantato ma anche senza eccessive seriosità, con la discrezione e il disincanto che lui avrebbe desiderato. Con il supporto decisivo della produttrice associata Didi Gnocchi e dello staff della sua 3D Produzioniho tentato così di privilegiare tra le tante ipotesi di racconto soprattutto quella di una doppia metamorfosi di cui Gassman è stato protagonista nel tempo.  La prima è quella che lo ha trasformato a partire dal film di Monicelli "I soliti ignoti" da acclamato protagonista della scena teatrale del secondo dopoguerra - e di film drammatici da lui giudicati quasi sempre "dimenticabili" - in uno dei più amati interpreti brillanti della straordinaria stagione della "commedia all'italiana" nata alla fine degli anni '50. 
La seconda trasformazione è stata quella che lo ha portato a rivelare negli ultimi anni la sua vera natura di persona introversa e ipersensibile,  spesso preda di impensabili vulnerabilità. 

   Colpiscela grande delicatezza e rispetto con cui hai trattato la sofferenza psichica di Gassman. La instabilità umorale, le fasi di profonda depressione ed altri elementi lasciano pensare che l’Artista soffrisse come Virginia Wolf di un pesante disturbo bipolare.  Non doveva essere un paziente facile...

Il tentativo è stato quello di mostrare Vittorio Gassman non solo come un vitalissimo ed esplosivo "mattatore" nella scena e nella vita ma anche come un uomo mite  toccato da una grazia speciale e, come ha detto una volta l'editore di una sua raccolta di poesie, Luca Sossella, "abitato da un angelo che aveva in odio la volgarità".

   Hai mantenuto il focus sempre centrato su Vittorio ed i suoi tempi. Come hai fatto a non farti sommergere dalla mole di dati, spezzoni filmici, personaggi tutti molto ingombranti? 

Ho potuto contare fin da subito sulla fiducia di sua moglie Diletta D'Andrea e sulla disponibilità a portare le loro preziose testimonianze dei figli Alessandro, Paola, Vittoria, Jacopo e di Emanauele Salce, cresciuto  con sua madre Diletta e con Vittorio e da lui considerato un figlio a tutti gli effetti.  Accanto a brani di film celebri e di filmati tratti dagli archivi dell'Istiituto Luce e delle Teche Rai - in cui accanto a Gassman che si racconta in prima persona parlano di lui i  tre maestri della commedia Dino Risi, Mario Monicelli ed Ettore Scola - altrettanto decisivi sono stati i contributi inediti offerti da colleghi amici come Stefania Sandrelli, Gigi Proietti, Giancarlo Giannini e Giovanna Ralli e quelli di esponenti di punta della commedia italiana più recente come Carlo Verdone, Paolo Virzì, Paola Cortellesi, Diego Abatantuono e Massimo Ghini, di registi figli d'arte come Marco Risi e Ricky Tognazzi nonché di giornalisti attenti osservatori del costume nazionale come Valerio Caprara e Maurizio Costanzo.

-      Hai citato tante persone  che hanno reso possibile il film. Ora la domanda più scomoda all’uomo di cultura di cui la Puglia dovrebbe andare fiera. Perché - questa domanda è per Te, Fabrizio Corallo -   sei cosi discreto e modesto? 



Ma mi ci vuole un bel tot per risponderti, cercherò di farlo...Perché credo nella misura e nella discrezione e detesto quelli che si autoelogiano e/o sgomitano. Forse mi sono sempre illuso che chi fosse nella condizione di farlo, avrebbe potuto apprezzare e valorizzare questo tentativo di non-omologazione.  Probabilmente sta succedendo  in piccola parte solo ora. Il punto è che chi potrebbe mettermi in condizione di agire ed essere creativo e concreto e dice di apprezzarmi nel lavoro e nella vita poi si defila… Questioni economiche? Chissà. Vedremo, ci sono e ci spero. 

-      E’ il problema della visibilità mediatica di oggi che magari premia chi non vale. 


Ti ho mai detto che Dino Risi (che come sai ho frequentato tanto e bene) sentendomi raccontare quello che mi capitava diceva di me: "un uomo rovinato dalle buone maniere"?

(tina ardito e achille miglionico)


mercoledì 27 dicembre 2017

Concerto GOSPEL: il coro Roderick Giles & Grace






Corato, Teatro Comunale, 26 Dicembre 2017. Un nuovo appuntamento con la grande musica: li avevamo apprezzati anni fa a Roma e li abbiamo molto apprezzati qui in Puglia. La maggiore intimità di un teatro non mastodontico, ha consentito al leader dei Grace, il tenore Roderick Giles, di coinvolgere il pubblico e persino di esibirsi tra le poltrone contagiando tutti nella interattiva performance. 
Roderick Giles è nato a Washington DC ove ha cominciato a cantare a soli cinque anni ed ivi ha studiato canto e musica con il Dr. Joyce Garrett. All'età di 13 anni viaggia in Europa come uno dei solisti con il Children's Gospel Choir of America. Preso dai cori Gospel arriva, a 22 anni, alla fondazione di proprio gruppo con gli EXTOL e poi i Grace. Si esibiranno anche alla Casa Bianca, al Kennedy Center, parteciperanno all'evento della grande cantante Gospel Dorothy Norwood (n. 1935) componente originale del leggendario gruppo gospel The Caravans. 
E' membro attivo della Southern Baptist Church Praise. 
Il gruppo Roderick Giles & Grace può contare su validissimi cantanti come April Archer (soprano), Crystal Brooks (soprano), David Hammett (tenore), Jacqueline Tillery Williams (alto), accompagnati dal  simpatico e bravo tastierista Marcus James (al Kurzweil SP 88). 
Dopo il repertorio consueto, il gruppo ha riproposto canti prettamente natalizi in superbi arrangiamenti: nel finale, "Oh Happy Day" avrebbe scomposto ed "eccitato" anche il pubblico più riservato. Il gruppo ha anche atteso all'uscita del teatro, salutando e facendosi salutare fuori di ogni formalismo. Una lezione di modestia, senza divismi. L'avevamo notato anche in quel di Roma. (am)   



 





mercoledì 9 marzo 2016

TRANI RIAVRA’ MAI UN SUO TEATRO? Riflessioni di Mario Schiralli




"Carissimo Achille, eccoti di seguito alcune mie riflessioni sul "fu" teatro di Trani. Mi auguro sia di tuo gradimento per la rivista. Un caro saluto. Mario"
Il dr. Mario Schiralli , già Direttore della Biblioteca di Trani ha aderito alla nostra cordata ideale inviandoci Sue riflessioni sull'argomento. Grazie.



Ogni epoca deve essere gestita  e vissuta nel segno della realtà che la caratterizza. Nell’attuale, da  una ventina di anni,  aleggia una sorta di oscurantismo quasi totale che investe la città su molti fronti: cultura, vita politica, senso civico della gente, memoria di chi ha fatto grande la città e  rispetto delle istituzioni e delle opere d’arte.
Un tempo, quando Trani era sede della Sacra regia Udienza, le frequenti rappresentazioni teatrali fecero avvertire la necessità di un teatro stabile. Sorse, così, per iniziativa di privati il Real Teatro  S.Ferdinando, eretto nel 1793, soltanto un anno dopo l’inizio dei lavori di costruzione, ed intitolato a Re Ferdinando I che aveva dato il suo assenso con molta sollecitudine. Ma il teatro, dopo intense stagioni di spettacoli e varie vicissitudini, talvolta anche tragiche (incendio ad opera dei francesi nel 1799, terremoto del 1851 e crollo del 1856 durante i lavori di consolidamento) vide la propria fine con la demolizione totale del 1958, a causa dei danneggiamenti riportati  durante il bombardamento  della fatidica Pasquetta del ’43. Il governo cittadino del tempo aveva agevolato la demolizione dell’immbobile convinto  di poterlo poi ricostruire con i soldi che lo Stato  avrebbe fatto arrivare a Trani per i danni bellici. Ma non se ne fece nulla.
Certo è che solo negli anni ‘80 fu avvertita nuovamente  l’impellente necessità di dotare la città di un nuovo teatro. Si convenne di ricostruirlo nello stesso luogo ove sorgeva l’antico Real Teatro  S.Ferdinando.
Ma anche questa “volontà” fu una flebile fiammella che si spense quasi subito. Fu approvato il nuovo progetto, fu effettuato lo scavo per le nuove fondamenta e poi niente più. Motivo: si…scoprì che sotto il vecchio stabile scorreva  dell’acqua e che, pertanto, la nuova costruzione per essere innalzata doveva poggiare su micropali piantati nel terreno a mo’ di  moderne palafitte che costarono diverse centinaia di milioni di lire, ma che nel 1993 furono sotterrate per riempire lo scavo diventato una cloaca a cielo aperto con grave disappunto degli abitanti dei palazzi circostanti.Nel frattempo città viciniori hanno ristrutturato e aperto i loro teatri, come Bitonto, Altamura, Bisceglie e altri.
Oggi, a distanza di quasi 60 anni da quel fatidico 1958 si vive ancora con l’interrogativo: riavrà mai Trani un suo teatro?
Qualche anno fa in piena campagna elettorale, ci fu chi fece circolare la voce, rivelatasi ben presto una “bufala”, che era già pronto un nuovo progetto per  la costruzione imminente di un nuovo teatro, questa volta nell’area dell’attuale Azienda Elettrica (idea già ventilata anni prima e bocciata a priori) e che a firmare l’elaborato sarebbe  stata, per dirla con un’espressione alla  “Pappagone”, "niente popo’ di meno", che Gae Aulenti, architetta di fama mondiale, alla quale era stata pure attribuito un “amore sviscerato” per la città d’origine (che non era Trani). Come detto, si rivelò  una bufala di natura elettoralistica.
Citato dallo storico ed artista A.L. Castellan, membro onorario dell’Accademia delle Belle Arti di Parigi nel 1819 (rimase favorevolmente impressionato dall’eleganza dell’architettura esterna), da Benedetto Croce, oltre che  da uno stuolo di storici  e critici teatrali, il S.Ferdinando poteva vantare un arredamento interno curato dal monopolitano Ignazio Perricci (1834-1907) uno dei maggiori artisti, decoratori e scultori del tempo che, nel 1856, insieme al collega tranese Biagio Molinaro, autore del sipario, tra i più grandi d’Italia, aveva vinto  il concorso per la decorazione della gran sala destinata alla Corte Suprema di Giustizia di Castel Capuano. Sempre con Biagio Molinaro decorò poi  la Cattedrale di Troia e in seguito  il Teatro Comunale di Trani.
La storia del S. Ferdinando non è costellata solo di rose e fiori. Gli anni dal 1794 al 1900 furono i più prolifici per gli spettacoli e  per i tanti artisti di fama che ne calcarono  il palcoscenico. Ma anche di sconvolgimenti.
Non c’è alcun dubbio che i fatti del 1799 segnarono l’inizio della decadenza sociale e culturale della città, anche se nel secolo successivo, dopo la restaurazione borbonica, nel 1817, in seguito al trasferimento da Altamura a Trani della Gran Corte Civile e Criminale, la città ebbe l’occasione di rinverdire le sue tradizioni forensi che risalivano agli inizi del XIII secolo. Grandi uomini, poi,  come il sen. Antonacci, Ferdinando Lambert, Arcangelo Prologo, Giovanni Beltrani e sindaci lungimiranti portarono una ventata di idee e di cultura che rifecero grande Trani, che Francesco De Sanctis, nel suo memorabile discorso di Trani del 1883, definì “l’Atene delle Puglie”.
Dal 1993, data del primo scioglimento del consiglio comunale (vent’anni dopo è seguito il secondo) in poi Trani è sprofondata  sempre più in basso, anche di quella pietra che negli anni 50-60 ne celebrò i fasti.
Oggi si continua a vivere di turismo "mordi e fuggi", di quello "struscio" al porto nei sabati e nelle domeniche d'estate;  che chi pensa (stultum est dicere: putabam, locuzione latina per indicare  l'inutilità di ipotesi errate e soprattutto di allegare come giustificazione supposizioni erronee) che la nostra città attragga tutti, pecca di quella Illusione che  ha reso cieca tanta gente di fronte all'assenza di qualsivoglia politica di sviluppo.
Una classe politica che da più di 20 anni a questa parte tiene in ostaggio la città! Che si ricicla, che passa da uno “credo”  all'altro, ma che al suo attivo ha ben poco!
Oggi si continua a vivere, ma solo di ricordi. Come quello legato al  glorioso Teatro S. Ferdinando. Il che porta alla mente la strofa di un motivetto in voga nella prima guerra mondiale:  “Il general Cadorna / ha scritto alla regina / se vuoi vedere Trieste/ te la mando in  cartolina”. Come dire, se vuoi  il teatro di Trani, guarda qualche (vecchia) cartolina.
(Mario Schiralli)

sabato 5 marzo 2016

SE L'ATTORE RAPPRESENTA IL ''SUO'' COPIONE

L'Amico Italo Zagaria, attore per diletto e non professionista che abita a Matera, ha frequentato corsi sulla comunicazione del SIEB anni fa. Oggi propone una coraggiosa riflessione tra Luigi Pirandello ed Eric Berne che trae spunto dalle proprie esperienze di teatro, condotte tutte con bravura ed umiltà, mai smettendo di interrogarsi sul proprio copione e sul copione proposto dal regista. Le sue riflessioni sul Teatro coincidono casualmente con la problematica, da noi sollevata,  del teatro di Trani (che non c'è e ci dovrebbe essere).








L'ipotesi attoriale posta in questi termini sembra retorica, se pensiamo che l'attore rappresenta comunque buona parte di se' nel personaggio. Possiamo affermare anzi che sarà sempre la persona/attore a ''salire sul palcoscenico'' insieme con lui. Prova ne è che la medesima scena raffigurata da attori diversi, venga rappresentata in tanti modi quanti sono gli interpreti chiamati a recitarla -
Nella ricerca teatrale, in verità, capita che la persona-attore ''sbandi'' per essere sospeso (o tirato?) fra il copione di vita (Berne) ''che resiste ma che comunque protegge, e la ricerca medesima. Ma, fino a che punto è possibile ''tirare la corda berniana''? Forse la messa in scena, in  quanto suggestiva ed inconsueta, lancia l’attore inconsapevolmente, verso un narcisismo teatrale rischioso, esagerato, 'oltre' (trans)? Oppure esiste anche quella dimensione che possiamo definire benefica, rigenerante, se l'uomo-attore si disistima o ristagna nella passività?


Certamente, in questa contingenza, pur con le luci della ribalta e quant'altro arricchisce il contesto scenico, la persona-attorefragile” è portata alla riconsiderazione e rivalutazione di se', e alla riappropriazione delle proprie qualità nascoste e migliori. Il ''lavoro dell'attore su se stesso'' (come dice Stanislavskij) gli consente, anche e soprattutto, di riscoprire dimensioni inconsce. Egli è capace finalmente di non temere l’inconscio, di fidarsi di lui, poiché non più misterioso, semmai... fecondo. Con queste premesse, possiamo affermare che quel ''lavoro'' è capace di corroborare l'intrapsichico, oltre che l'interpersonale, e, di seguito, ''completare'' il personaggio? Oppure quel medesimo ''lavoro'' è naturale, spontaneo, non costruito, se pensiamo che lui, l'attore, è abile nel piacere ed ''entrare'' nello spettatore, anche agli inizi delle sue messe in scena, quando ancora tremava al cospetto del pubblico? In un caso o nell'altro, egli si è risanato e la vita, che gli sembrava ostile, è ripartita. Pensiamo tuttavia che le ritrosie del copione di vita ci possano indurre a credere in un ''teatro conservatore'', in quanto capace di preservare e comunque contenere le ''trame'' berniane della vita, che restano essenziali per la sopravvivenza dell'individuo. 
Per queste ragioni si pone il rischio della ''scissione attoriale'', e quanto di se stesso la persona-attore può offrire nella spettacolarizzazione, o quanto questa sia utile e riuscita, per lui e per lo spettatore. Perciò egli preferisce un ''lavoro su se stesso e sul personaggio''' meno assillante, si da preferire addirittura di ritornare a memorizzare soltanto i copioni di scena, senza neanche impossessarsi del sottotesto registico. O addirittura praticando un teatro che non faccia pensare...perché poi anche tormentoso. Or dunque, se l'attore, per ''inseguire'' il copione di scena, se ne infischiasse inavvertitamente del proprio, chi strepiterebbe per primo, oltre che se stesso? Forse Eric Berne, lo psichiatra che, guarda caso ha definito la personalità dell'individuo un ''copione'' da rappresentare, per l'appunto, nell'arco della propria vita? O Konstantin Stanislavskij, l'attore- commediografo che, a ridosso della scoperta freudiana dell'inconscio, tracciava le linee giuda di una scuola attoriale fondamentale, nella realizzazione del personaggio?


Certo
 prima di quest'ultimo, dall'Ottocento a ritroso sino all'antichità, il teatro ha sempre ''accompagnato'' l'uomo nella storia, ma Stanislavskij ha rivisto e suggerito in modo composito e distinto, comunque senz'altro più pregnante, le mosse dell'attore, nella trasmutazione verso il personaggio. (Sperimentando su se stesso fra l'altro, in quanto anche attore oltre che teorico, le sue medesime elaborazioni) -

Sta di fatto che la persona-attore intanto, in un eccesso di analisi, può abbattersi, reprimendo le novità, apparse a volte più irritanti che proficue. L'autonomia che ha ricercato come persona, spesso a fatica, la stessa che gli ha dato la possibilità di divenire soggetto e non oggetto della vita, potrà perdere qualche colpo e le regressioni teatrali con le quali interagisce, potrebbero nuocergli, piuttosto che rivitalizzarlo.

Allora se un personaggio con un copione scenico ingombrante soffocasse il copione personale, come si riprodurrebbe in tal modo la tanto ricercata autostima? Il conflitto fra i due copioni si risolve a condizione che si proceda con cautela, senza eccessi analitici. Ancor più se il mattatore-persona sia nell'età della maturità, ormai nella fase della sintesi e non più della analisi, quando il ''suo'' copione è ben definito, assunto e consapevolizzato. Le correzioni da apportare al dipinto della sua vita, per quanto sollecitate dalle vibrazioni del ''mettersi in gioco teatrale, resteranno circoscritte solo ad alcuni semplici ritocchi di contorno. Chi sa che egli non si defili, senza essere protagonista della scena, ma di se stesso, nelle retrovie, senza attirare più l'attenzione. Così intende vivere, come persona e come personaggio: è l'unico modo per non mollare, in ambedue gli ambiti. Questo è il ''canovaccio'' tracciato sin dai primi anni della sua vita: e quando il narcisismo ridondante si allenta, l'uomo ritrova se stesso, rinfrancato nell'affrontare una nuova disillusione della vita.

Il dado è ormai tratto, le provocazioni sono state tante, e alternate, sul filo di un  ''sì, ma...''  berniano, poiché come ha detto Tirelli, giovane critico teatrale di ''Repubblica'' quest'autunno, ''il teatro non risposte, pone domande''.
E le risposte, attraverso questo mondo affascinante che ''scatena le relazioni, non è praticabile senza lo sguardo dell'altro, propone le grandi questioni dell'esistenza cercando un senso comune e rendendo una storia, per quanto personale, universale'', le troviamo magari dentro di noi quando, nel rispecchiamento degli anzidetti sguardi, seduciamo lo spettatore e noi medesimi.


Italo Zagaria
(tecnico comun. interpers. A.T.)
(apprendista teatrale)