sabato 24 aprile 2021

Pseudo-mappe e realtà contemporanea. Alla scoperta di "Nova Utopia" di Stephen Walter, artista visuale.








 Interessante contributo di Claudio Leone, che recentemente ci ha introdotti al mondo dantesco da una nuova visuale (i paesaggi danteschi). 

Oggi ci parla di UTOPIE e DISTOPIE in un mix artistico come quello delineato dall'artista britannico Stephen Walter

Un chiarimento (inutile per tanti).  

Come disegnare il mondo come si vorrebbe che fosse: UTOPIA.

Come disegnare il mondo come non si vorrebbe che fosse o diventasse: UTOPIA NEGATIVA o DISTOPIA (“Che cosa succederebbe se continuassimo a insultare la biosfera? per esempio). (la redazione)


Pseudo-mappe e realtà contemporanea. Alla scoperta di Nova Utopia di Stephen Walter, artista visuale.

L’artista inglese Stephen Walter “gioca” spesso con le mappe, creando pseudo-mappe che raccontano la contemporaneità attraverso l’allusione a fatti storici reali o verosimili, oppure con interventi artistici che applicano dati reali alla rappresentazione cartografica. (1)  L’artista inglese, nato nel 1975, laureatosi presso la Manchester Metropolitan University e il Royal College of art di Londra, è un incisore e artista visuale. La cifra caratteristica dei suoi lavori è una “investigazione nel disegno ossessivo, semiotica e fenomenologia dei luoghi” ed è particolarmente famoso per le sue mappe disegnate a mano, che mostrano una enorme quantità di particolari e la compresenza di informazioni visive e testuali. 

Nel 2013 pubblica “Nova Utopia”, la mappa di un’isola di fantasia, che presenta una maniacale e iper-dettagliata rappresentazione di icone, frasi e toponimi. Essa è ricalcata sulla mappa di Utopia di Abraham Ortellius, che, nel 1595-6, diede forma a Utopia di Tommaso Moro. In questa opera l’artista immagina Utopia al giorno d’oggi, a cinquecento anni dalla sua “fondazione”.

L’artista inglese allega alla sua mappa la Visitor’s guide to Nova Utopia, curata dallo stesso autore, e scritta alla maniera dei depliant per turisti, nel quale si ripercorre la storia dell’isola

In principio abitata da un’oscura cultura druidica (di cui non restano testimonianze scritte ma strade e monumenti con probabili connessioni astronomiche), l’isola è poi conquistata da nuovi coloni che la ribattezzano “Utopia”, sostituendo il vecchio nome di “Navel of the Earth” (ombelico del mondo). Seguono poi “anni di transizione” tra il ‘500 e l’800, inaugurati -storiograficamente - dall'opera di Raphael Nonsenso che per primo, nel 1516, descrive l’isola e i suoi costumi, incentrati sull’assenza di denaro per preservare la struttura della società. La descrizione operata dal famoso viaggiatore e poi continuata per il resto della sua vita permette all’Occidente la conoscenza dell’isola. Il riferimento è schiettamente diretto verso l’Utopia di Tommaso Moro, pubblicata appunto nel 1516, il cui protagonista si chiamava Raphael Hythlodeus (dal greco antico δαίων, distributore, e ύτλος, non-senso), reporter dell’isola di Utopia. 

Il racconto presente nella Visitor’s Guide prosegue con la menzione, a inizio Ottocento, di influssi provenienti dall’esterno, tra i quali il subentrare della tecnologia, che innescano un progressivo materialismo e voglia di imprenditorialità nella società: presupposti che lastricano la strada alla rivoluzione compiuta per mano dei “Capitalisti” nel 1900. Essi, con l’aiuto di mercenari, riescono a vincere gli Utopisti, arroccati nella regione settentrionale di Feo (tra l’altro, aggettivo spagnolo che significa “brutto”). L’isola si trasforma, quindi, in una società capitalista attraverso l’introduzione del denaro e della proprietà privata fino a diventare, ai giorni d’oggi, l’isola del “tempo libero”, che trae profitto dalla varietà di attività di svago e di turismo per qualsiasi target. 

La Visitor’s guide permette un raffinato gioco “letterario” tra il testo e la mappa: questo pseudo-documento, scritto come una brochure per turisti, è l’unica “fonte” per la conoscenza dell’isola e quindi è da considerarsi come un’espressione del potere vigente, che proietta l’immagine che vuol dare di sé e come tale, seppur in un continuo gioco allusivo, va considerata. Mutatis mutandis, valgono le parole del filologo Luciano Canfora a proposito della ricerca storiografica, che deve essere attenta a scorgere le motivazioni che hanno spinto qualcuno a scrivere qualcosa: «La ricerca storica si frantuma invece in una infinita serie di ricostruzioni di fonti (documentarie e storiografiche), le quali ci danno alla fine l’idea che qualcuno ha voluto che ci facessimo di un determinato evento. Basta saperlo».


L’isola è divisa in sei regioni, ognuna con una propria particolarità e storia. 



Prora, che rievoca Seebad Prora, nome della località turistica ideata dai nazisti, è un inno al turismo balneare massificato e capitalizzato. Lungo la costa spicca El Dorado, città dal nome parlante, che rievoca la mitica città dell’oro ma anche una omonima e fallimentare soap opera prodotta dalla BBC nei primi anni novanta, ambientata in una località pseudo tropicale e incentrata sulle sorti di espatriati europei e britannici

. La regione offre, come si legge dalle scritte che riempiono tutto lo spazio della rappresentazione cartografica, attività commerciali di ogni tipo. Via via che lo sguardo vaga attraverso questa porzione di mappa si presenta agli occhi tutto il campionario umano-commerciale che popola il nostro immaginario di vacanze balneari: centri commerciali (mall), turisti che non si avventurano (tourist that don’t venture), famiglie obese (obese family), l’immancabile look di calzini e sandali (socks and sandals), locali d’ogni tipo, ristoranti, vizi più o meno proibiti e corruzione delle forze dell’ordine (Condoms and wankers, Police Bribery) in un generale clima di lascivia e divertimento alcolico.  La Visitor’s guide non manca, però, di ricordare il disastro ambientale in corso, col pericolo di frana in vari punti della costa e una sconosciuta malattia che ha intaccato gli alberi della foresta di Prora fino a causarne l’estinzione. 

Vi è poi Activa, dedicata allo sport e ai giovani, in cui è possibile noleggiare tour e attrezzi per ogni tipo di sport (Hike, Bike and Kayak, Canoe Club, Bungee Jump,), divertirsi nei locali a luci rosse (Red Light District) e trovare pub costretti a fare i conti con i costi delle zone più in voga.

La regione di Sapientia è descritta come luogo di villeggiatura adatto agli anziani per via della sua atmosfera silenziosa, lontana dagli eccessi di Prora. Nella regione si può apprezzare qualche traccia dell’antica civiltà di Utopia. Tale “confinamento” sembra dirci qualcosa, nella grande rappresentazione allegorica della mappa, delle sorti della cultura e della sapienza ai giorni nostri. 

La regione di Feo, ultima roccaforte degli Utopisti, preserva qualche monumento del “tempo che fu” ma versa in condizioni disagiate. Lo scenario post-industriale fa da sfondo a una realtà sociale complessa, fatta di disoccupazione e salari troppo bassi. Nel gioco letterario-pseudo cartografico dell’opera in questione, tale stato di rovina della regione ci induce indirettamente a pensare a una certa programmaticità di tale disastro sociale e urbano, quasi una ripicca del nuovo potere capitalista verso la sede dell’antica capitale e ultimo baluardo degli Utopisti. I pochi monumenti rimasti sono, nell’ottica del depliant, una meta interessante per i turisti, quindi null’altro che attrazione mercificata, spoglia della dimensione di messaggio “politico”. Tuttavia, la regione, negli ultimi tempi, sembra attrarre artisti da ogni dove e lascia presagire un futuro processo di  gentrificazione, cioè sociologicamente la “riqualificazione e rinnovamento di zone o quartieri cittadini, con conseguente aumento del prezzo degli affitti e degli immobili e migrazione degli abitanti originari verso altre zone urbane” (da Treccani). 

La regione di Munus (dal latino “dono”) è nota, turisticamente, per l’antica capitale di Aircastle: oggi un distretto finanziario con un'interessante scena artistica, ma con periferie malconce. Mosris è invece una regione che offre un turismo più rurale, fatto di paesini sulla costa e ristoranti di pesce (anche se infiacchiti dalla pesca eccessiva: come si può notare, il riferimento a problematiche ambientali derivate dall’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali fa spesso capolino). L’interno, invece, offre cottage immersi nella campagna e nei giardini. Ciò che si richiede, quindi, è di prenotare con largo anticipo sia le strutture ricettive che i trasporti.


 La descrizione geografica non è che marketing turistico. 


Seguono le regioni di Temor, note per i parchi e per il porto, e di Flosris, dedicata esclusivamente ai più ricchi con alberghi a cinque stelle e ristoranti di lusso.

 

La Nova Utopia non può che essere una distopia. E viceversa.


La regione di Cosmo, infatti, oltre a essere un importante distretto scientifico, è meta di turismo per l’eutanasia. Anche il riconoscimento di un diritto, quale l’eutanasia, è parimenti sfruttabile a livello economico e, mutatis mutandis, sembra ricordarci una dinamica in corso come il turismo odontoiatrico dei paesi industrializzati verso l’Europa dell’est: ma, d’altro canto, la distopia, per Orwell, non è che prendere gli elementi del presente e amplificarli.

La baia di Venalia (dal nome delle truppe mercenarie assoldate dai vittoriosi capitalisti ed evidente nome parlante) è nota per il turismo omosessuale, mentre, in generale, la regione è nota per il suo tasso culturale (teatri e musei). Nella regione sono diffusi e, si legge, in espansione dei “micro-stati”, dotati anche di una propria polizia, di proprietà di ricchi “Elitari”, al cui interno è proibito circolare.

In ultimo, la regione di Mirus (in latino “meraviglioso”, “strano”, “singolare”) risulta essere una sorta di sacca di resistenza, una casa della controcultura, in cui artisti e intellettuali sperimentano un modo di vivere più sostenibile, più attento alla comunità e in linea con l’ecosofia. Sono presenti percorsi nella natura percorribili gratuitamente e, sebbene si legga che il paesaggio sia scarso di risorse naturali a seguito di un loro utilizzo intensivo, la regione si è imposta come l’alternativa per eccellenza al turismo mainstream dell’isola. 

Non mancano informazioni generali sull’isola che ricordano insistentemente di prenotare in anticipo qualsiasi struttura o trasporto e di tenere a mente il traffico e il costo dell’isola (quasi tutto è a pagamento). L’identità dell’isola va perdendosi, il governo centrale favorisce sempre più la vendita alle multinazionali per accrescere il turismo, anche se questo sta portando alla nascita di microstati privati e a una crescente rabbia, soprattutto nella regione di Feo. Lì si è creato un movimento separatista, che chiede un ritorno all’antica organizzazione dell’isola attraverso manifestazioni che spesso sfociano nella violenza. Benché descritti nel depliant come caldi e genuini, gli abitanti di Feo potrebbero rivelarsi, si legge poco dopo, piuttosto freddi verso i turisti. Nella regione di Sacrum si sono sviluppati diversi movimenti di opposizione e alternativa, tra i quali spicca il “Picnic Movement”, che, connesso da sentieri nella natura, lega diversi luoghi e invita a mangiare insieme, a parlare di più, a sviluppare una coscienza comunitaria e tenta il ritorno all’antica assenza di moneta. Si avverte, quindi, che potrebbero essere in corso futuri cambiamenti per l’isola. Come ricorda l’antropologo Alberto Salza, ai margini, tra gli esclusi e alternativi, si possono trovare le forme future e possibili della società: “a evolversi sono solo gli anormali, i normali possono solo estinguersi”

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La Visitor’s Guide termina con delle note a cura dell’artista, il quale ritiene  ed  esplicita che oggi non sia più incisiva l’idea di un’utopia globale, poiché si assiste alla presenza e allo sviluppo di piccoli luoghi di utopia, i quali hanno il compito di negoziare la propria visione con la società capitalistica odierna.


Ecco che l’opera di Walter immagina l’isola di Utopia cinquecento anni dopo, ai giorni nostri, dichiarando esplicitamente il riferimento alla sua natia Inghilterra. L’artista si dice preoccupato per le sorti della cultura e per le ricadute di mercato sulla società, ma tendenzialmente ottimista. 

Un invito, quindi, a diventare noi stessi con le reti che creiamo, dei piccoli luoghi d’utopia. 


Claudio Leone



NOTE


1 Come London Subterranea (2012), una mappa disegnata a mano che mostra i sotterranei della metropoli, dalle prime tracce preistoriche al Novecento (https://stephenwalter.org/london-subterranea-2012) o la recente (2019) Brexitland, nella quale i distretti elettorali che hanno espresso la maggioranza per il “Remain” sono rappresentati come sprofondati nel mare, causando significative rimodellazioni della morfologia dell’isola: una su tutti, l’area metropolitana di Londra, che ha espresso con forte maggioranza l’intenzione di rimanere nell’Unione Europea, è adesso “London basin”, ossia di “il bacino di Londra”.


2 http://www.artnet.com/artists/stephen-walter/


3 L’opera si può visionare sul sito dell’artista. La Visitor’s Guide to Nova Utopia si può leggere e scaricare dal sito dell’artista (http://www.tagfinearts.com/media/The_Visitors_Guide_To_Nova_Utopia.pdf) Un inquadramento generale di “Nova Utopia” si può trovare in J. Brotton, Le grandi mappe, Gribaudo, pp. 240-243.


NOVA UTOPIA | Stephen Walter | Artist video 



4 Abraham Ortelius, Utopia Typus, ex narratione Raphaelis Hythlodæi, Descriptione D. Thomas Mori, 1595-1596


5 E. NELSON, Greek nonsense in More’s Utopia, «The Historical Journal», 44, 4 (2001), pp. 889-917, Cambridge University Press.


6 L. Canfora, Storia e biografia, in Id. Noi e gli Antichi. Perché lo studio dei Greci e dei Romani giova all’intelligenza dei moderni, Rizzoli, Milano 2002, p.55.


7 https://en.wikipedia.org/wiki/Eldorado_(TV_series)


8 C. di Giambattista, “1984”: l’universo distopico di George Orwell è più che mai reale, Artspecialday: «L’universo distopico di Orwell nasce da un parossismo del reale, l’estremizzazione in negativo della civiltà negli anni ’40. Il titolo è l’anno in cui la vicenda è ambientata, ottenuto invertendo le due cifre finali l’anno di composizione dell’opera (1984), ed indirettamente evidenzia due fattori: il mondo narrato è “l’altra faccia” dell’epoca contemporanea portata ai massimi termini e introduce il tema del ribaltamento (dei numeri, così come di ciò che è bene è ciò che male)». Url http://www.artspecialday.com/9art/2020/04/04/1984-universo-distopico-orwell/ .

9 https://www.youtube.com/watch?v=q18peHxtyKw 

lunedì 5 aprile 2021

#Dantedi - I PAESAGGI DELL' INFERNO DANTESCO Riflessioni e ricerche di Claudio Leone



 

I PAESAGGI DELL' INFERNO DANTESCO
Riflessioni e ricerche di Claudio Leone



La Divina Commedia è tra le opere più note e studiate di tutti i tempi, che vanta una bibliografia sterminata, al cui interno -con metodi e approcci differenti- trovano posto i più svariati aspetti del Poema. Un aspetto meno studiato della Commedia, tuttavia, riguarda i paesaggi oltremondani che sono lì costruiti e, più in generale, l’aspetto visivo del Poema, che riguarda i luoghi, le modalità di esplorazione e i movimenti nello spazio. Di tale aspetto ci si è occupati in altri lavori  (tesi magistrale in “Filologia e critica dantesca” e altrove). Durante le ricerche, ci si è focalizzati su tali aspetti e si sono sondate le fonti utilizzate - che in Dante sono sempre plurime, stratificate e condensate - per la costruzione di tutti i paesaggi della prima cantica. 

Nel presente articolo si fornisce un breve e parziale riassunto che parte, metodologicamente, dalla voce “paesaggio” dell' Enciclopedia Dantesca, nella quale si sottolinea come sotto questo nome si trovano sia i paesaggi che forniscono la struttura e gli scenari del Poema sia i tanti ricordi geografici rammentati nell’opera: benché i due aspetti siano estremamente legati tra di loro, si è deciso di occuparsi solo dei primi, nominandoli “paesaggi strutturali”. La definizione di paesaggio utilizzata, quale «insieme organizzato di tutte le fattezze sensibili di una località, nel loro aspetto statico e nel loro dinamismo», è evidentemente una nozione moderna, sconosciuta al Medioevo, ma che fornisce una specola critica ulteriore, che include aspetti sensoriali oltre alla vista, ossia l’olfatto e l'udito, che pur sono presenti nell’opera dantesca. 

Il concetto di paesaggio, che nasce nel Quattrocento, è quindi ignoto a Dante, il quale però intuisce perlopiù un “sentimento di paesaggio” e crea una geografia letteraria oltremondana in cui l’aspetto “geomorfologico” (afferente al “senso letterale”) dei paesaggi ben si concilia con gli aspetti allegorici, tipici della sensibilità del tempo. La geografia medievale, inoltre, non va considerata negli aspetti epistemologici a noi noti, dacché essa si struttura come tale nell’Ottocento in pieno clima positivista, ma nel suo essere da un lato disciplina non strutturata, spesso ancillare alla storiografia, e non “canonizzata” nelle “arti liberali” e, dall’altro, composta di fonti scritte e orali (racconti di mercanti, pellegrini e viaggiatori) di cui poco ci è giunto, che presentano una forte presenza di elementi fantasiosi. Inoltre, l’uomo del Medioevo guarda al mondo e alla natura con occhi cristiani, gli è aliena la contemplazione degli elementi sensibili in sé, ma li percepisce come figura di Dio, tracce moriture della Creazione e, pertanto, foriere di messaggi da decriptare. La cultura del Poeta ci impone anche la ricognizione delle fonti libresche utilizzate per la creazione dei paesaggi, quindi- in primis- i classici latini e la Bibbia, ma anche la presenza di fonti “geografiche” (scritte oppure orali e, pertanto, frutto di congettura); è necessario perlustrare anche l'azione del ricordo di luoghi visitati (Firenze e le varie sedi dell’esilio) fino ad allargare il campo all’immaginario legato ai luoghi, ai simboli e alle percezioni coeve. L’intento principale della ricerca, dunque, mira a sondare con particolare attenzione l'influsso di ciò che Dante ha effettivamente visto e non solo di ciò che ha letto.

Sulla base di tali premesse si rende evidente come la selva oscura con cui si apre il poema sia figlia dell'immaginario del tempo, di un’Europa ben più ricca di foreste, spesso relegate al di fuori dalle mura: come la selva oscura, quale periferia dell'inferno vero e proprio. 

Il pellegrino, dopo l'ostile incontro con le tre fiere, scorge un'ombra, che si scoprirà essere Virgilio, e scrive «vidi costui nel gran diserto». L'affermazione stupisce, dal momento che l'incontro avviene nella selva, ma, probabilmente, non stupiva i contemporanei di Dante. Era infatti consueta ai tempi la sovrapposizione tra selva/ foresta e il deserto. Come ricorda lo storico medievista Jacques Le Goff, tale sovrapposizione si produce per ragioni storiche, quando il fenomeno del monachesimo, inizialmente orientale, dalle distese desertiche muove verso l’Occidente, sicché i monaci occidentali trovano la necessaria lontananza dal mondo - paradossalmente - nel suo opposto geografico: in mancanza di deserti, la foresta diventa essa stessa il deserto. 


If. I, 1-6; 58-66


Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai per una selva oscura,

ché la diritta via era smarrita.                                           


Ahi quanto a dir qual era è cosa dura

esta selva selvaggia e aspra e forte

che nel pensier rinova la paura!    


[…]    


tal mi fece la bestia sanza pace [la lupa],

che venendomi ’ncontro a poco a poco

mi ripigneva là dove ’l sol tace.                                      


Mentre ch’i’ rovinava in basso loco,

dinanzi agli occhi mi si fu offerto

chi per lungo silenzio parea fioco.                                  


Quando vidi costui nel gran diserto,

«Miserere di me,» gridai a lui,

«qual che tu sii, od ombra od omo certo!» 




 

 FIG. 1. Gustave Doré, "Dante nella Selva Oscura", 1861 - Illustrazione per la Divina Commedia di Dante Alighieri.


L'itinerario prosegue varcando la porta infernale e i due pellegrini sono subito colpiti dalle grida di dolore dei dannati: «Quivi sospiri, pianti e alti guai». Si badi che questa è la prima percezione dell’inferno, tutta uditiva. Attraverso il ricorso a un’altra nozione moderna, quella di “paesaggio sonoro”, con cui si intende  «l’ambiente dei suoni. Tecnicamente, qualsiasi parte dell’ambiente dei suoni considerata come campo di studio e di ricerca [e che] può applicarsi tanto ad ambienti reali, quanto a costruzioni astratte», è possibile tracciare, già dai prodromi del vestibolo, il “paesaggio sonoro” dell'inferno, che presenta solo il rumore, il pianto, l’urlo di disperazione e la bestemmia, squalificando ogni possibilità di musica, a differenza delle altre due cantiche.


If. III, 22-30


Quivi sospiri, pianti e alti guai 

risonavan per l’aere sanza stelle, 

per ch’io al cominciar ne lagrimai.                                 


Diverse lingue, orribili favelle, 

parole di dolore, accenti d’ira, 

voci alte e fioche, e suon di man con elle                     


facevano un tumulto, il qual s’aggira 

sempre in quell’aura sanza tempo tinta, 

come la rena quando turbo spira.             


Il viaggio prosegue con l’approdo al primo cerchio, il limbo, che - paesaggisticamente- presenta una divisione in due regioni, che rispecchia la differenza morale dei suoi  abitatori. Una prima sezione indistinta, priva di descrizioni, percorsa solo da lamentazioni e una seconda, invece, ben particolareggiata, nella quale meglio si evidenzia la cifra allegorica che pervade tutti i paesaggi della Commedia. Un'evidenza già notata dai primi e più antichi commentatori dell’opera, che ci ricorda la già citata sovrapposizione tra piano letterale e piano simbolico, costitutiva di tutti i paesaggi dell’opera. In questa seconda regione del Limbo, Dante e Virgilio sono accolti e scortati dai più grandi poeti dell'Antichità: Omero, Orazio, Ovidio e Lucano. La “sesta compagnia” oltrepassa un fiumicello senza difficoltà («come terra battuta») per poi passare attraverso sette porte di altrettante mura concentriche. La cifra allegorica, celata dietro i vari elementi del paesaggio, è tuttora oggetto di dibattito: a titolo di esempio, il fiumicello come  dote dell' eloquenza, perché oltrepassata senza alcun problema dei Poeti, le sette mura come le sette parti della filosofia o le sette virtù morali.  La compagnia, quindi, s'inerpica verso una collinetta, che ospita, alla sua sommità, un «nobile castello» dimora degli “Spiriti Magni”, i magnanimi di tutti i tempi, pagani o non cristiani. L’intento allegorico del castello, dai più inteso come monumento all’intelligenza umana, poggia su un immaginario visivo schiettamente medievale, che prevede la presenza di elementi difesa (naturali come il fiume e la collina, artificiali come le mura) a protezione del castello, pur in totale assenza di nemici da cui difendersi: l’apparato di conoscenza visive rende impossibile al Poeta di “costruire” diversamente un castello. 







IG. 2 Il nobile castello. Miniatura del ms. Egerton 943 (f. 9v), conservato presso la British Library.

Infine, si fornisce un ultimo esempio di paesaggio, la città di Dite, che costituisce l’ottavo cerchio, dimora ultraterrena degli eretici.  La presenza di una città nell’inferno è una evidente spia di un immaginario cittadino (come quello di Dante), che opera anche attraverso gli occhi nella costruzione letteraria di scenari e che, nella più vasta panoramica della storia delle rappresentazioni infernali, segna una frattura importante, che si può qualificare, con la felice espressione di Camporesi, come una «urbanizzazione dell’inferno».


If. VIII, 67-78



Lo buon maestro disse: «Omai, figliuolo, 

s’appressa la città c’ha nome Dite, 

coi gravi cittadin, col grande stuolo».                             


E io: «Maestro, già le sue meschite 

là entro certe ne la valle cerno, 

vermiglie come se di foco uscite                                    


fossero». Ed ei mi disse: «Il foco etterno 

ch’entro l’affoca le dimostra rosse, 

come tu vedi in questo basso inferno».                        


Noi pur giugnemmo dentro a l’alte fosse 

che vallan quella terra sconsolata: 

le mura mi parean che ferro fosse.                                



Anche in questo caso la rappresentazione dell’esterno della città risente delle conoscenze visive del Poeta, dal momento che essa è costruita secondo i modelli coevi: un ostacolo naturale (la palude Stigia), un vallo, mura, torri di guardia (con l’intromissione di «meschite», elementi architettonici islamici) e una grande porta sbarrata da un cancello. Insomma, tutto lascia presagire l’ingresso in una città, ma, una volta sbarrate le porte della città- ad accogliere i cittadini non vi è una via principalis, ma uno stretto sentiero che costeggia le mura. I due pellegrini si muovono «a man destra»- fatto di per sé significativo, perché il movimento nell’inferno è sempre verso sinistra- attraverso il sentiero e guardano non una varia umanità (tipica delle città medievali) ma una distesa di bare: la città di Dite è un cimitero, è una città di morti. Le bare infuocate -  gli «avelli»- ospitano gli eretici, quanti non hanno creduto nella vita eterna, tra i quali si ricordano Farinata degli Uberti e Cavalcante dei Cavalcanti, padre di Guido, poeta e (un tempo) amico di Dante. 

Nel canto X dell’Inferno si legge che le tombe non sono dissimili da quelle di Arles e Pola, due antiche necropoli molto famose ai tempi. Da un lato, la cittadina provenzale di Arles, antica Arli, era nota attraverso leggende per l’antico cimitero romano di Alyscamps, tuttora esistente, dall’altro Pola, in Istria, nella quale era presente una necropoli forse visitata da Dante: la presenza del Poeta in questi due luoghi sembra più frutto di leggenda, tuttavia il loro impiego in similitudine, toccava le corde dell’orrore, il sentimento suscitato da queste favoleggiate località. Nel testo si legge che le tombe rendono «tutto ‘l loco varo», interpretato dalla maggior parte dei commentatori (antichi e moderni) come “vario”, sicché le tombe avrebbero disposizione irregolare. A tale interpretazione si sottrae il Boccaccio, che interpreta l’aggettivo come “incamerellato”, ossia “diviso in vani”, e adduce la similitudine con la pelliccia di vaio, che presenta- grossomodo- una divisione geometrica in chiazze bianche e nere. Se così fosse, applicando questa immagine alla città di Dite- risulterebbe un disegno geometrico simile alla cosiddetta “pianta ippodamea”, che presenta la disposizione geometrica, ad angoli retti, degli edifici di una città. Un particolare interessante, giacché la pianta ippodamea era la pianta urbanistica di Firenze ai tempi di Dante, che si unisce al clima fiorentino già introdotto dagli eminenti abitatori della città (i già citati Farinata e Cavalcante), e che ci induce a scorgere, tra gli angoli retti delle tombe infuocate- l’amara città che ha cacciato il poeta. 





FIG. 3 “cartolina” di Corinto Corinti (anni Venti del Novecento): ricostruzione delle 36 chiese fiorentine nell’anno 1000, in cui si apprezza la pianta ippodamica (“a scacchiera”).












FIG. 4 Cimitero di Alyscamps ad Arles in Provenz





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FIG.5 Pelliccia di vaio



1 C. LEONE, «Per conoscer lo loco dov’ io fossi». Paesaggi dell’Inferno, in press.

2 C. LEONE, Note sui paesaggi danteschi. l’Inferno, in press.

3 Cfr. G. DI PINO, s.v. paesaggio, in Enciclopedia Dantesca, Istituto dell’Enciclopedia Italiana,

vol. IV, Roma 1970, pp. 248-251.

4 P. ROSSI, Lineamenti geomorfologici dei paesaggi italiani, Cacucci, Bari 2012, pp. 11-12.

5 Per le conoscenze geografiche di Dante e lo statuto della geografia ai suoi tempi: Cfr.

M. AZZARI, Natura e paesaggio nella Divina Commedia, Phasar, Firenze 2012, pp.7-13.

6 If. I, 64.

7 J. LE GOFF, Il deserto-foresta nell’Occidente medievale in ID., Il meraviglioso e il quotidiano

nell’Occidente medievale, a cura di F. Maiello, Laterza, Bari 1983, pp. 27-44.n

8 If. III, 22.

9 R. MURRAY SCHAFER, Il paesaggio sonoro, traduzione di N. Ala, Ricordi-Lim, Milano-Lucca 1985, p. 372.

10 P. CAMPORESI, La casa dell’eternità, Garzanti, Milano 1987, p. 24.

11 If. IX, 132.

12 If. IX, 115.

13 La pianta ippodamica o ippodamea, risalente all’urbanista greco Ippodamo di Mileto, vissuto ad Atene nel V secolo a.C, era applicata alle città in pianura. Tale pianta fu poi utilizzata anche dai Romani ed «era impostata su due assi principali: il cardo maximus e il decumanus maximus. Il primo si identificava come via principalis, l’altro come via praetoria»: P. ROSSI, Lineamenti geomorfologici dei paesaggi italiani, Cacucci, Bari 2012, p. 16.

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