sabato 5 maggio 2018

Che cosa è un CPIA -PES per la cultura italiana? STORIE DI TRASFORMAZIONE E MIGRAZIONI. (2)


Narrarsi e narrare. All'articolo (1) fa seguito il concreto: narrare esempi di vita che sono romanzi o potenziali script per un film. 

   

La storia di R.è quella di un giovane uomo di 28 anni, nato in Togo. 

Il Togo è un piccolo stato affacciato sul Golfo di Guinea, stretto tra il Ghana ed il Benin; ha una fascia costiera pianeggiante, famosa per le sue spiagge orlate di palme e per i villaggi collinari; è popolato da vari gruppi etnici (una quarantina); tra la popolazione è fortemente radicata la pratica di riti animisti tradizionali (più della metà dei suoi abitanti), mentre il resto dei togolesi si dividono tra il cristianesimo e l’islamismo.
R. nasce in una bella famiglia: mamma, papà ed una sorella minore; poi ci sono i nonni, gli zii, i cugini: vivono tutti vicini, all’interno di casette adiacenti, in un piccolo villaggio. Purtroppo, quando R. è ancora un ragazzino e sua sorella una bambina, la sua mamma muore per una grave malattia. Da quel momento suo padre comincia ad occuparsi più da vicino dei propri figli che ama incondizionatamente: ogni giorno va a lavorare ma, non appena, a sera, è di ritorno a casa, stringe a sé i due ragazzini bisognosi delle cure e delle attenzioni del genitore. Suo padre è davvero in gamba: in poco tempo riesce ad organizzare le sue giornate in modo che i suoi figli stiano insieme a lui il più possibile - è una bella persona, è davvero generoso ed i suoi figli lo sanno, lo sentono, lo vedono.
Da quando la mamma è morta, però, anche il resto della famiglia s’è stretta ancor più intorno a questo vedovo con due ragazzini al seguito: oltre ai nonni che, come possono, offrono il loro aiuto a tutti, c’è uno zio, sposato e con tre figli, che vive nella casa a fianco a quella di R. Ogni giorno fa visita al padre di R., si dichiara disponibile ad aiutarlo col sorriso sulle labbra, carezza le guance di R. e della sua sorellina e li consola, ricorda loro di non piangere mai perché lo spirito della mamma li protegge. Il padre di R. e la sua defunta moglie sono gli unici nella loro famiglia allargata ad essere musulmani: il resto dei familiari sono animisti, in modo particolare lo zio che tutti i giorni fa visita ai due ragazzini ed al loro papà. Passano i giorni, passano due anni… 
Lo zio di R. è sempre più presente nella loro famiglia, tanto che una mattina, un giorno di festa, invita il padre di R. a bere qualcosa al bar: insolita, eccessiva, morbosa la sua attenzione per quell’uomo quella maledetta mattina. Il padre di R. accoglie il suo invito, fiducioso, come sempre, col sorriso sulle labbra. Dopo un paio d’ore torna a casa dai suoi figli: comincia a star male. Ha forti crampi all’addome: urla, si contorce. Viene portato all’ospedale: non c’è più nulla da fare. Avvelenato. E’ stato ucciso da suo cognato quella mattina, nel bar, con la complicità di altre persone. A sera muore in ospedale. R. e sua sorella sono disperati.
Dopo i funerali e la sua sepoltura, a casa dei due fratelli si presenta lo zio – R. è ancora minorenne. Con disprezzo, con orribile arroganza pretende che i due ragazzi si convertano immediatamente al culto voodoo. R. si oppone fieramente, ricordando a suo zio di essere musulmano come suo padre, sua madre e sua sorella. Lo zio allora lo afferra per un braccio e dà inizio ad una serie di violenze e di soprusi ai suoi danni e ai danni di sua sorella. Lo rinchiude in una stanza e lo lascia per una settimana senza cibo né acqua, tanto che R. è costretto, per sopravvivere, a bere la sua stessa urina. R. non riesce in alcun modo a scappare da quella prigione che avverte ancor più greve ed angosciante a causa del vincolo di parentela tra lui e suo zio (il fratello della sua dolcissima madre) ed anche a causa del vuoto che sente intorno a sé: quando suo padre è morto, in ospedale, con un filo di voce gli ha fatto giurare che avrebbe avuto per sempre cura di sua sorella minore. R. è una persona seria, come suo padre: mai verrebbe meno ad un giuramento, a maggior ragione di suo padre, ucciso da suo zio, e in punto di morte.
La sorella di R. viene nel frattempo “coccolata” dallo zio: costui le promette la realizzazione di ogni suo desiderio, comprese le bambole che ha sempre immaginato di possedere ma che non è riuscita mai neanche a vedere da vicino. Lei non ne sostiene mai lo sguardo: è terrorizzata. Intanto, però, la sfrutta: lei deve svolgere tutte le faccende di casa, in modo che sua moglie possa riposare e lei possa riflettere bene sull’urgenza di convertirsi ai riti voodoo. Un pomeriggio, mentre la ragazzina stava stirando degli abiti non suoi, avendo appoggiato il ferro rovente sul tavolo da stiro, improvvisamente, alle sue spalle lo zio afferra il ferro e lo avvicina alla sua spalla nuda. La giovane urla disperata: nessuno la soccorre, eccetto suo fratello R. che accorre da casa sua, invano: la furia di suo zio si scatena su di lui che viene violentemente pestato di botte. Nella confusione la ragazza riesce a fuggire. 
R. sta male: ha tre costole fratturate, una spalla slogata, ha delle ustioni a causa dello stesso ferro da stiro che suo zio ha usato anche contro di lui. Nonostante tutto riesce ad uscire di casa alla ricerca della sorella: corre al centro del villaggio, al mercato, a casa di alcuni amici: niente. Nessuno l’ha vista, nessuno sa dove sia. Resiste: ha imparato da suo padre che, anche quando credi di non farcela più non devi mollare, devi andare avanti. Lui ha giurato a suo padre di starle sempre vicino e non verrà mai meno a questo giuramento. I giorni passano uno dietro l’altro, uno più disperato dell’altro: nulla, più nulla, di sua sorella neanche l’ombra. Intanto viene a sapere da alcuni amici che suo zio gli ha messo alle calcagna qualcuno che lo sta seguendo e che vuol farlo fuori.
Nella piazza del mercato del suo villaggio, una sera, disperato, R. decide di partire: davanti a sé ha la morte; dietro di sé l’immagine di sogno dei suoi genitori e di sua sorella che non sa più se è ancora viva o se è morta. Non ha soldi con sé, non ha nulla. Sale su un autobus. Si imbarcherà molti mesi dopo, attraversando la Libia, e, superando mille altri pericoli, giungerà a Lampedusa senza neanche rendersene conto. R. sta cercando ancora sua sorella.




La storia di S.comincia in Costa d’Avorio, Paese nel quale nasce 32 anni fa. 


L’Africa è quella occidentale; lo stato è affiancato dal Ghana e dalla Liberia ed è bagnato dall’Oceano Atlantico, affacciandosi sul Golfo di Guinea; ex colonia francese, acquisisce l’indipendenza dalla Francia nel 1960. Vi sono presenti decine di etnie diverse; il clima è tipicamente equatoriale nella fascia costiera e consente la presenza di una fitta foresta pluviale litoranea. S. nasce proprio qui. L’infanzia trascorsa a correre tra gli alberi, insieme a tanti amici. 
Nel 2002 scoppia la guerra civile tra Nord e Sud: la maggior parte dei francesi residenti scappa, chiudendo improvvisamente svariate attività commerciali e finanziarie e provocando così una grave crisi ed una forte disoccupazione. Fuggono anche gli immigrati dai Paesi saheliani, i ghanesi, i maliani: d’un tratto il Paese si ritrova poverissimo, in guerra e con milioni di abitanti in meno. Se S. fosse nato almeno vent’anni prima, avrebbe vissuto in una nazione caratterizzata da notevole stabilità economico-politica, ma ciò non gli è stato dato. Ha soltanto assistito al culmine della crescita esponenziale della popolazione della capitale storica e culturale del Paese, Abidjan, che dal 1934 al 2003 è passata da 34 mila a più di 3,5 milioni di abitanti. Ricorda ancora quando suo padre, suo nonno gli raccontavano com’erano le cose prima che lui nascesse: tutto funzionava diversamente, soprattutto quando c’erano i francesi.
S. trascorre la sua adolescenza e la sua giovinezza nel pieno della guerra interetnica. Le piantagioni rappresentano ancora la maggiore risorsa del Paese ed S. comincia a lavorare in una piantagione di cacao (la Costa d’Avorio è il primo produttore al mondo di cacao), ma la liberalizzazione del commercio, che ha tolto ai produttori la garanzia di prezzi remunerativi, e la comparsa delle multinazionali che si impossessano della produzione, hanno comportato un drastico abbassamento dei prezzi ai produttori. 
S. sogna di farsi una sua famiglia: nonostante tutto, a dispetto della povertà, degli odi, delle rivalse, degli scontri, delle bombe, delle armi, dei morti, delle macerie, un giorno, al mattino presto, ha visto una ragazza bellissima che si reca al lavoro. I capelli nerissimi divisi in tante treccine, legati dietro il capo, un semplice abito a fiori dai colori della gioia; alta, slanciata, un portamento elegantissimo. Sarà lei la sua compagna di vita, sarà con lei che condividerà ogni cosa; non importa se ci saranno delle difficoltà – S. sa bene quanto la vita possa essere dura: insieme supereranno qualsiasi cosa.
E’ un amore folle, uno di quegli amori che toglie il respiro ma che al contempo dona energia nuova, nuova vita. E’ un amore che non sa attendere, che ti chiama ogni giorno ad essere completamente presente a te stesso per trarre sempre il meglio di te, perché è solo questo che si può fare in questi casi. I suoi frutti sono sogni e desideri che vanno alimentati e mai spenti.
La compagna di S. genererà una nuova vita. Come sarà? A chi sarà simile? Il loro legame è così forte e saldo che entrambi sono certi che la loro figlia assomiglierà ad entrambi: non può essere diversamente, quando due si amano così. La piccola nasce tra le braccia del papà. E’ deliziosa: ha gli occhioni neri, la boccuccia color miele, le manine paffute, i capelli inanellati, le gambette agili. Tanta bellezza si scontra con la distruzione tutto intorno. Loro tre insieme rasentano la perfezione ma la realtà è la morte: nessuna prospettiva di cambiamento a voler restare lì in quella terra che tanto i due giovani genitori hanno amato ma che non offre più nulla a quella piccola, graziosa creatura.
Dopo sei mesi decidono di partire: il loro amore, la loro promessa reciproca e, soprattutto, la loro piccola bambina non possono, non devono più un solo istante restare lì a soffrire e poi a morire. Una mattina, dopo aver messo insieme tutto il pochissimo denaro che avevano, grazie all’aiuto di alcuni cugini, lasciano il Paese.
Su un camion, poi su un altro, poi su un altro ancora. Quante volte sono saliti e scesi? Quante volte avranno mangiato S. e sua moglie? L’importante è dare da mangiare alla piccola. Per mesi soffrono la fame, la sete, il caldo, il freddo, mesi di viaggio per riuscire a giungere alla tappa che li condurrà sul mare, il Mediterraneo, che bagna la libertà, la vita nuova, il futuro.
Viaggiano su un camion stipati come gli animali: più di cento persone su un camion di quelli della frutta. Durante il giorno, ogni volta che l’autista fa la sosta per mangiare, tutti e cento restano chiusi sotto il sole, compresa la piccola che resta incollata alla mamma. Dorme. Chissà cosa sogna… S. guarda sua figlia e continua a sperare anche quando è impossibile, anche quando è così debole da non riuscire neanche a tenere gli occhi aperti un solo istante.
Giungono in Libia allo stremo delle forze. Quando le porte del camion si aprono, l’aria che improvvisamente entra nel veicolo sembra essere profumata di fiori. Ad attenderli trovano dei libici armati. Chi saranno? Indossano delle tute mimetiche, imbracciano mitragliette cariche, hanno cinturoni pieni di munizioni. Cominciano a strattonare tutti coloro che, con grandi difficoltà perché le gambe non li reggono più, cercano di scendere dal camion. Vengono contati e ricontati e divisi a quattro a quattro.
La moglie di S. impallidisce. Si piega sulle ginocchia come a volersi inchinare davanti al mare che si intravede in lontananza, il mare che porta al futuro, cade su se stessa curvandosi come una bambina. S. riesce ad afferrare la sua piccola che sta dormendo. La sua compagna muore così, come una piccola creatura tra le braccia di sua madre, la Terra. Un istante. Non una parola, non uno sguardo: non è riuscita a ripetere all’infinito quanto amasse S. e la loro tenera bambina. E’ finita.
S. soffoca un lungourlo, disperato, tragico, profondo. In quell’attimo sua figlia apre gli occhi e fissa suo padre. Due braccia gli strappano la piccina dal cuore. Non è possibile… Un uomo con la mimetica corre a più non posso con la bimba tra le braccia. La sua bambina non c’è più. S. non si regge in piedi, non ha la forza di correre, non ha la forza di urlare. Un uomo gli punta un mitra sulla testa e lo spinge ad entrare in un capannone. Quanto tempo è passato? Secondi, giorni, mesi, anni?
S. attraversa quel mare che conduce alla nuova vita, non sa con chi né come. Sa solo che adesso è morto dentro ma gli viene chiesto di vivere ancora, di vivere per quella figlia che non sa dove sia, se è viva o morta, per la sua compagna che nutriva le stesse sue speranze di cambiamento, per tanti altri uomini, donne e bambini che ogni giorno, nel mondo, sono alla ricerca di una vita migliore. 

(prof.ssa Rosa Maria Ciritella, docente di Lettere e di Italiano L2 presso il CPIA BAT - PES di Trani)

Che cosa è un CPIA -PES per la cultura italiana? STORIE DI TRASFORMAZIONE E MIGRAZIONI. (1)



   La Storia è storia di migrazioni e di lingue, di incontri e talora scontri. Raccontare di CPIA BAT (Centro Provinciale Istruzione Adulti), sarebbe stato impensabile pochi decenni fa: parlare di queste nuove realtà, equivale a parlare di trasformazioni, del divenire, e di migrazioni. 

Il CPIA (Centro Provinciale Istruzione Adulti). Il Centro  nasce ufficialmente, nella provincia  BAT,  così come è strutturato oggi, il 1° settembre 2015; precedentemente esistevano i CTP (Centri Territoriali Permanenti), che facevano capo alle scuole secondarie di I grado, oltre ai corsi serali, organizzati dagli istituti tecnici e professionali. Le sedi operative sono i PES, ovvero Punti di Erogazione del Servizio, esistenti presso i comuni di Andria, Barletta, Bisceglie, Canosa, Trani (Trani prevede anche la sede carceraria maschile e femminile) e, dal prossimo anno scolastico, anche presso le sedi di Trinitapoli e Spinazzola. Abbiamo mosso i primi passi nella nuova istituzione autonoma tutti insieme, dal dirigente scolastico ai docenti ed ai collaboratori, anche se molti di noi avevano già molta esperienza nel campo dell’insegnamento agli adulti, quindi conoscevano bene questa realtà fatta di storie di vita, di cambiamenti improvvisi, di nuove speranze, di sogni e di progetti per il futuro. 

   La azione dei PES si svolge a vantaggio di coloro che, una volta compiuto il sedicesimo anno d’età, non avendo avuto la possibilità di portare a termine il corso di studi che consente di assolvere all’obbligo scolastico, non sono riusciti a conseguire la Licenza Media, non hanno frequentato il biennio della scuola secondaria di II grado o, provenendo da altri Paesi, necessitano di conseguire almeno il livello A2 di conoscenza della lingua italiana. Qui si offre la nostra cultura quale premessa di integrazione. 


Si offre a tutti costoro un’altra possibilità, un mutamento di prospettiva. Così le nostre sedi sono colme di giovani italiani e migranti che anelano un’altra vita: costoro giungono da noi conseguentemente ad un’interruzione, ad uno stop, ad un no, ad un trauma, ad un blocco, ad una scelta errata; insieme a loro ci sono gli adulti, anch’essi resi inermi dagli eventi della vita che sa certo essere sorprendente, tante volte, ma che non manca di dispensare brutte incursioni, alle volte. 

"Siamo uno spaccato del nostro mondo variegato, fatto di bellezza ed insieme di storture, di ingiustizia sociale e di volontariato, di cura e di indifferenza. Abbiamo il compito di trarre nuova energia da ciascuno, soprattutto da chi ha completamente perso la fiducia più importante, quella nell’uomo, quella in se stessi".

   L’elemento che caratterizza ed accomuna tutti gli studenti è il grande coraggio e l’intensa passione che li contraddistingue dagli altri che frequentano i restanti ordini e gradi di scuola: quando non sei riuscito ad andare a scuola perché la tua famiglia era troppo povera per potersi permettere un figlio impegnato a istruirsi o quando il tuo percorso di vita è stato deviato da qualche evento accidentale che ha distrutto i tuoi sogni, fosse anche per una tua scelta sbagliata, oppure quando vivi in un Paese in guerra e sei solo e disperato e davanti a te vedi solo la morte nel tuo futuro o sei vittima di tratta e di violenze, venire a scuola tutti i pomeriggi dal lunedì al venerdì, farsi carico del lavoro scolastico è connotato da una forte motivazione e da grande amore per il sapere, da un’estrema curiosità e dalla voglia di approfondire tutte le proposte didattiche fatte dai docenti. 
   E’ ben noto che ogni azione pedagogica prende le mosse da una relazione affettiva tra docente e discente e che quindi i valori vengono riconosciuti come tali solo qualora si riconosce autorevolezza, calibro, spessore alla figura di chi quei valori vuole trasmettere: ebbene tra  docenti del CPIA e studenti si crea gradualmente una alleanza didattica, una relazione positiva di cui non sono soltanto i corsisti ad avvantaggiarsi ma anche i docenti e collaboratori: ogni singolo individuo apporta nuova linfa alle nostre vite con la sua storia di vita, con le sue esperienze, con la sua peculiare ed unica personalità. Ogni anno si avvicendano nuovi volti, nuove storie, si fanno nuovi incontri, ci si rimette in gioco con forza, con vigore, con determinazione e umiltà. 

"Siamo una piccola comunità multietnica - ci dice la docente - 

da noi avviene un incontro costante, una conoscenza senza la quale si ingenera la paura che fa da muro, che serra le porte all’altro. Chi non vede questo nostro incontro, chi si rifiuta di accettare che la storia dell’umanità intera è storia di migrazioni non è in grado di penetrare la nostra realtà, fatta di accoglienza, di confronto, di condivisione, di collaborazione. Così accade anche che diventiamo bersaglio di costoro che guardano, miopi, la realtà distorta, credendo che innalzare barriere possa proteggere da attacchi che, ad osservar bene, provengono soprattutto dalle viscere della nostra società, dalla “pancia” che tutto ingurgita e ogni cosa divora, senza chiedersi nulla. Solo la conoscenza ci salva dall’ignoranza, ossia dalla paura: tutte le nostre angosce più profonde prendono forma se non razionalizzate". 
   Ogni PES del CPIA BAT collabora con varie case d’accoglienza, enti ed associazioni che si occupano di migranti, adulti o minori, e che gestiscono progetti nazionali di inclusione sociale ed inserimento lavorativo, rivolti a richiedenti asilo, rifugiati politici o minori non accompagnati. Giorno dopo giorno entriamo in contatto e facciamo conoscenza con persone di varia nazionalità e con svariate storie di vita alle spalle, alcune delle quali estremamente pesanti, complicate, quasi impossibili da sopportare. 

Qui non c’è spazio per il pregiudizio o per la diffidenza: qualora qualcuno, dall’esterno, mostrasse di non comprendere (dall’etimologia del termine, “prendere con sé”), il nostro compito diventa anche quello di spiegare, di chiarire, di fare luce sulle tenebre della paura. 

E’ proprio questo il compito: narrare serve a rendere intelligibile, a spianare la strada ad una mediazione, ad evitare inutili, sterili, nefasti conflitti.

(Rosa Maria Ciritella, docente di Lettere e di Italiano L2 presso il CPIA BAT - PES di Trani)



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