giovedì 30 giugno 2016

MATERA . ''VIANDANTI IN CERCA DI SENSO - UNO PSICHIATRA SI FA TUO AMICO''



''VIANDANTI IN CERCA DI SENSO - UNO PSICHIATRA SI FA TUO AMICO''
                    
                                         
Stupendo set di incontri culturali la Casa Cava di Matera
   
     

   
Matera. Ieri , 24 Giugno 2016, alla Casa Cava, nello splendido scenario moderno-antropologico della "lanciatissima" Città dei Sassi, si è tenuto uno tra i tanti incontri culturali di rilievo (sono persino troppi per essere seguiti tutti). L'auditorio ''(s)cavato'' negli antichi rioni di tufo), ha ospitato una interessante conversazione grazie alla presenza di Luigi De Simone, Gustavo Marotta e la moderazione di Dora Amato (giornalista del ''Mattino'') sul tema:  ''Viandanti in cerca di senso'' e lo psichiatra, quindi, che si fa tuo amico.  Si è trattato del nuovo libro del neuropsichiatra Luigi De Simone, poliedrico settantenne, anche uomo di religione, regista teatrale, ex assessore nel suo comune di Sant'Anastasia (NA). Il libro è stato presentato dal suo collega Gustavo Marotta il quale ha aperto sul significato del titolo, affermando come in fondo  ''tutti siamo viandanti alla ricerca di senso'', nel dare cioè ''significatività all'andare''. Ma non si tratta di un testo di psichiatria, ha precisato Marotta, anche perché  si parla soprattutto di di valori e della esistenza umana nelle sue fasi evolutive. La giornalista ha letto intensamente i brani iniziali del libro sui primi passi di qualsiasi vita umana, a partire dal "ciucciare" del bambino. 







       L'Autore denuncia, fra l'altro, una delusione riveniente dalla politica, in particolare sanitaria, con gli smembramenti delle strutture deputate alla salute e ha sottolineato la distrazione del medico dal rapporto primario con il paziente, riveniente dalla eccessiva burocratizzazione della professione di aiuto e delle procedure dei  servizi che  disattendono l'umanizzazione necessaria. 


Entra quindi nelle questioni più dirimenti, come quella del disagio affettivo-relazionale dei giovani, dovuto anche ai cambiamenti repentini della società troppo "digitalizzata"; si auspica perciò una scuola capace di ''alfabetizzazione emotiva'', dato che non si sa riconoscere i propri sentimenti. E quest'ultima considerazione riguarda sempre più anche gli adulti, che ''devono ritrovare se stessi'', nella intrinseca "humanitas": ''che un uomo pianga è bello!''  Non ci meravigliano le parole di De Simone: da tempo forte è la tendenza a recuperare il mondo emozionale nella psichiatria: si pensi a Eric Berne e a Claude Steiner nella analisi transazionale (emotional literacy), si pensi alla intelligenza emotiva di Daniel Goleman, si pensi alla Mindfulness di Daniel Siegel (ora persino di moda sui rotocalchi). 

Non poteva mancare il riferimento alla comunicazione giovanile: ''T.V.B.'', l'uso  di acrostici, di abbreviazioni e storture psicolinguistiche dettate da fretta e talora da ignoranza, è il modo di comunicare e chiedere amore degli adolescenti e superadolescenti di oggi, diverso da quello di ieri. Modalità poco dirette e spesso volutamente criptiche per tema di "rifiuti" e "abbandoni". Ecco quindi l'esortazione del libro ad aprirsi, al contatto "diretto", a prenderci tutti per mano. 
Il finale della relazione, come del  libro, è dedicato alla morte. ''Il medico-psichiatra non può fare finta che la morte non esiste''. La morte esiste e dobbiamo imparare a guardarla in faccia. Ogni giorno ci avvicina ad essa. Un riferimento infine alla titanica figura di Francesco di Assisi, che ''rappresenta la vittoria dell'uomo sulla paura della morte''. Hanno concluso l'incontro gli ultimi brani letti, nuovamente con grande sentire, dalla giornalista del ''Mattino''. Spiacente dirlo, ma pochissimo pubblico (20 persone). (Italo Zagaria) 


giovedì 23 giugno 2016

BREXIT OR NOT BREXIT: il dubbio amletico del cittadino Europeo





Quali sono le fondamenta dell’Europa odierna? 
Nei giorni del “Brexit”…(non ne conosciamo ancora l'esito)


È la “romanità” che ci unisce o la cristianità? O forse entrambi i cofattori culturali sono embricati al punto di essere indistinguibili?
Perché siamo così poco uniti noi Europei? E noi Italiani? Noi che siamo stati tra i Paesi Fondatori della Comunità e poi Unione europea, noi che abbiamo contribuito a delineare il progetto della moderna Europa durante gli anni bui dell’ultima guerra mondiale grazie al “Manifesto di Ventotene[1]?”
Nel dibattito - sorto all’epoca della definitiva archiviazione dell’idea di una Costituzione per l’Europa, era l’anno 2009 – si è sentito parlare con una certa insistenza del tema delle “radici cristiane dell’Europa”.
Come europei, diretti interessati, tale argomento merita sicuramente di essere affrontato in maniera più corretta e senza derive ideologiche o politiche ma basandosi unicamente su dati storici, letterari ed antropologici, individuando così gli elementi che concretamente traspaiono.
Il Medioevo, periodo spesso bistrattato della nostra Storia, si pone come snodo fondamentale dell’evoluzione europea e come passaggio obbligato, per una serie di eventi e personaggi, di quella che è l’Europa moderna. Se pensiamo ad esempio alla letteratura, all’arte ma anche alla geopolitica odierna non possiamo non vedere quelli che sono stati gli influssi di eventi verificatisi in periodo medievale. Battaglie e guerre[2] sono forse l’aspetto iconografico che viene ricollegato più di frequente come caratteristico del periodo medievale ma non certo secondariamente esso può essere legato anche e maggiormente ad opere letterarie e giuridiche, innovazioni bancarie, finanziarie, commerciali nonché tecniche, piccole e grandi, nei campi più disparati del vivere quotidiano, e per molto altro ancora.[3]  
Al costante inseguimento dei fasti del passato periodo Classico ma anche proiettato all’innovazione ed alla sperimentazione, spesso dettata dalla scarsità delle risorse ed alla difficoltà delle condizioni ambientali e sociali, il Medioevo appare come un periodo storico incredibilmente vitale e dinamico. Questa sua vitalità ed apertura spesso, in tempi moderni, è stata però non riconosciuta o addirittura negata preferendo vedere, ove non vi era, una chiusura, anche ideologica, che rischia di far percepire come aspetto principe del periodo medievale un isolazionismo ed un autoreferenzialismo non propri di questo periodo.
La necessità che ogni epoca storica abbia un’entità catalizzatrice e (inevitabilmente) accentratrice ha visto prevalere nel Medioevo, con la debolezza e la frammentazione dei poteri politici che sono venuti ad esistenza dal declino dell’Impero, il potere religioso legato al papato, massimo esponente del Cristianesimo in Europa. Infatti se a livello macro-politico, giuridico e filosofico l’eredità classica è quella comune all’Europa moderna, dal punto di vista religioso ed etico il carattere comune e continuativo si deve far risalire necessariamente al Cristianesimo.
Inevitabile, anche secondo alcuni illustri medievisti e sociologi, riconoscere al Cristianesimo una funzione di “salvataggio” culturale e sociale dell’Europa dalla disgregazione romana. A livello culturale, artistico ed etico gli influssi derivati da questo salvataggio sono ancora oggi percepibili.
Si deve il merito al mondo cristiano, disgiuntamente anche se in contemporanea a parte di quello arabo, anche del salvataggio della cultura classica[4], sebbene con interpolazioni e censure di matrice ideologica che non vanno dimenticate[5]. Mentre le città e i borghi si spopolavano e venivano saccheggiati, nel chiuso dei monasteri, prima, e delle università, poi con la rinascita delle città, si garantiva la sopravvivenza della cultura e delle conoscenze classiche da cui si cercava di attingere a piene mani con un’avidità limitata solo dalla difficoltà di reperire i testi antichi.
Venendo alla contemporaneità, in una società come la nostra dove la ricerca di facili ed illusorie certezze porta a semplificare tutto riducendolo ad una serie di coppie concettuali nette e spesso decontestualizzate (si-no, giusto-sbagliato, ecc.) viene forse troppo facile rispondere alla domanda se l’Europa di oggi sia o debba essere “Cristiana“, come se la risposta a questa domanda potesse automaticamente risolvere le miriadi di problematiche legate alla modernità. Problematiche come l’integrazione culturale e sociale, la crisi di valori, la crisi finanziaria, la forte pressione dei flussi migratori che minano costantemente e quotidianamente l’equilibrio già precario della nostra società. La risposta appare complessa e non di facile lettura in quanto il riconoscimento di un fondamento culturale cristiano dell’Europa appare da una parte innegabile ma dall’altro inidoneo a dare risposta alle su citate problematiche. Una ostentazione di una identità cristiana senza una reale e profonda conoscenza di ciò che essa implica rischia solamente di far aumentare l’instabilità e l’incertezza e non certo di dare risposte o soluzioni.
Ciò che viene da chiedersi è se sia giusto utilizzare in maniera immatura ed in chiave “offensiva” il retroterra culturale cristiano riducendolo ad uno stereotipo svincolato dal tempo, i nostri giorni, e legato solo allo spazio, l’Europa.
Proprio la diarchia tra laicità e Cristianesimo pare insanabile nel nostro Paese ove si vuole a tutti i costi una contaminazione religiosa in tutti i settori della società arrivando così a minare i diritti di una pluralità di cittadini senza che questo apporti un reale miglioramento nella società.                
La soluzione adottata dalla Francia moderna, cioè la cosiddetta “laicità di stato”, che mutuata dagli ideali rivoluzionari ed illuministi, indirettamente discende dall’idea proprio medievale di separazione del laico dal religioso introdotta nell’XI sec. con la riforma gregoriana, pare quella che meglio, da sempre, riesce a conciliare le radici storiche e culturali dell’Europa, valorizzando a livello storico, archeologico e culturale il retroterra cristiano ma allo stesso tempo tenendolo ben distinto da quella che è la vita politica ed il riconoscimento dei diritti individuali garantiti ai singoli. Insomma, un punto di equilibrio pare assolutamente possibile e soprattutto doveroso nel rispetto di chi pur essendo europeo non si riconosce come cristiano. Infatti spesso si dimentica che volendo imporre nella vita politica di un Paese il Cristianesimo, magari in funzione anti-islamica, si va allo stesso tempo a colpire una fascia sempre più ampia di popolazione che non si riconosce in alcuna ideologia religiosa.
Concludendo; negare le radici culturali cristiane dell’Europa finisce per dimostrarsi un falso storico, una manovra con connotazioni ideologiche tendenziose e svincolate dalla Storia e dalla realtà, ma altresì voler riconoscere un valore attivo e non solo storico al Cristianesimo in una società moderna che dovrebbe essere sorretta nelle sue leggi dalla laicità e dalla tutela dei diritti di tutti i suoi cittadini, indipendentemente da quale credo religioso abbraccino, appare altrettanto fuori dalla realtà ed estremamente pericoloso. (dr. Andrea Boccuzzi, esperto di Medioevo)

Jacques Le Goff (1924-2014) lo storico che ha reinterpretato il Medioevo.

Johan Huizinga (1872-1945), morto recluso dai nazisti. Un innovatore che ha scritto "L'Autunno del Medioevo" ed il famoso "Homo Ludens" (citato da Eric Berne)






[1] Il cosiddetto “Manifesto di Ventotene”, fu scritto tra il 1941 ed il 1944, durante il periodo di confino sull’omonima isola del mar Tirreno, da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Ursula Hirshmann; tale manifesto promuoveva la nascita di una Europa unita ed in pace.
[2] Tanto per citarne due famose: la battaglia di Bouvines combattuta tra la coalizione composta e capitanata dai francesi, dal papato e da Federico II di Svevia contro la coalizione di Ottone IV di Brunswick, Giovanni II d’Inghilterra e gli oppositori franco-borgognoni e fiamminghi del re di Francia; tale battaglia fu chiamata “la battaglia delle Nazioni” per via della cruciale importanza che ebbe nel delineare l’assetto non solo delle Nazioni nascenti che ne presero parte ma anche dell’Europa futura e poi la “Guerra dei cent’anni” altro importantissimo fatto d’arme che ha contribuito in modo marcatissimo a gettare le fondamenta dell’Europa che conosciamo.
[3] Ci vorrebbero pagine e pagine per parlare di tutte le innovazioni introdotte in periodo medievale, basti pensare che l’equivalente dei travel check fino anche ad invenzioni come gli occhiali o i libri sono tutti stati introdotti nel Medioevo.
[4] Le grandi Biblioteche del passato come quella di Alessandria d’Egitto si erano polverizzate negli incendi e saccheggi. Questo significa, per rapportarlo ai nostri tempi e far comprendere appieno la portata di tali eventi, che il sapere universale dell’epoca è andato in gran parte distrutto, un po’ come se si “bruciassero” i dati di un computer contenente una banca dati universale senza possibilità di back-up.  Senza il Medioevo sarebbero scomparse opere classiche del mondo greco-romano nonché, forse, le antiche lingue in cui erano scritte: gli amanuensi salvarono - “copiando” - la quasi totalità  del pensiero classico a noi pervenuto. Completarono l’opera di tramandare gli Arabi, che tradussero opere filosofiche e tecnico-scientifiche. Monaci benedettini, cistercensi e studiosi arabi hanno fatto il back-up per noi.
[5] Vi era l’uso tra le gerarchie ecclesiastiche cristiane di recuperare i testi classici volendo loro dare una lettura conforme al messaggio cristiano, attingendo anche all’iconografia mitologica che venne utilizzata, in modo piuttosto arbitrario, per dare una forma anche ai “diavoli” simbolo del male anti-cristiano tanto utilizzato come entità rivale a quella “benefica” del Cristianesimo.

martedì 21 giugno 2016

Abbiamo bisogno di Utopie: Massimo Cacciari a "Matera 2019"

                  



LE  SOLLECITAZIONI   ''UTOPICHE''  DI  MASSIMO  CACCIARI  NELLA   CAPITALE  EUROPEA  DELLA  CULTURA  PER  IL  2019


      Grande evento culturale l'11 giugno a Matera, per la ''lectio'' tenuta dal filosofo Massimo Cacciari sul ''tramonto delle Utopie''.
      Perché si intuisca il rapporto fra il tema proposto e la città di Matera, è necessario ricordare i
cinque concetti chiave contenuti nel Dossier di candidatura ''Matera 2019'', che sono:  Futuro remoto, Radici e percorsi, Riflessioni e connessioni, Continuità e rotture, Utopie e distopie, e che
hanno contribuito all'ottenimento della denominazione.  Ovviamente è all'ultimo concetto chiave che si aggancia la proposta del professore-filosofo, nella sua ampia e storica ricostruzione del suo significato -
      E' partito  dal citare tre filosofi che hanno introdotto per la prima volta l'idea utopica e cioè Moro, Campanella e Bacone (Cinquecento);  quindi ha descritto quanto nel tempo evolvesse o regredisse tale pensiero, a seconda delle diverse e contrapposte tesi, con l' apporto di Marx e Weber (Ottocento), sino alla moderna Utopia che, per quanto al tramonto, non può considerarsi ''chiusa'', nel senso che rimane  aperta a prospettive e progettualità.  E' probabile che tale utopia possibile, realistica e concreta, pur nei suoi limiti, rappresenti l'ipotesi di uno sguardo oltre l'orizzonte del presente, e quindi la possibilità di immaginare un' oltre.
      Il filosofo, che è stato lontano (e con  modalità forse un po' accademica ma efficace) dal lin-
guaggio più semplice che usa nella comunicazione politica  (''otto e mezzo'', ecc.), ha prospettato comunque una ''infuturazione'' della società moderna, benchè sottesa (e minacciata?) da grandi questioni planetarie.
      E questa conclusione non può che rassicurarci, oltre che per il destino più ampio dell'umanità, anche per quello più particolare di una comunità "locale" come Matera che si accinge a divenire capitale europea, e che è andata a scovare fra le sollecitazioni utili al conseguimento del titolo, quella di un'utopia ''indispensabile'', se è vero che Matera possa rappresentare se stessa come città-simbolo di tutte le culture dimenticate, rimettendo in questione le risposte scontate e per lo più inefficaci alla crisi europea, al fine di produrre, si spera, un nuovo modello di sviluppo.
     Perciò non vi nascondo che sono uscito soddisfatto dalla sala delle conferenze del Palazzo Lanfranchi, ove si è tenuta la dissertazione, a pochi metri dal gigante pittorico del ''Lucania 61'' di Carlo Levi, che ha dipinto la terra lucana, sì povera e contadina, ma certamente non umiliata, come qualche noto giornalista (Sorgi) ha cercato di passare imperdonabilmente.
     Cacciari ha precisato il suo concetto di Utopia, in una ulteriore dichiarazione ad emittente locale, sottolineando ancora quanto essa possa rappresentare una ''energia'' capace anche di superare la ''disillusione nichilista''. Ovvio che il messaggio è importante anche per le generazioni giovani, bloccate spesso in una immutabilià del copione personale che impedisce loro, per l'appunto, di ''infuturarsi''nel sociale. Grazie Massimo Cacciari per averci infuso solidale ottimismo tra tanti scenari spesso cupi del tempo attuale. (Italo Zagaria,italo.zagaria@virgilio.it)


                                             


                                                                                       



domenica 12 giugno 2016

INTERVENTI SIEB SUL TERRITORIO: incontro di formazione AVO




L'incontro formativo di ieri, assai ben riuscito in termini di seguito e relazioni umane, il dr. Achille Miglionico ha voluto dedicarlo all'Amico e Collega dr. Giuseppe La Mura, scomparso prematuramente all'età di 74 anni nel dicembre 2014. Giuseppe La Mura, primario neuropsichiatra, fu due volte presidente dell’AVO Bisceglie “Don Uva”. Uomo di grande cultura non solo scientifica e dotato di naturale inclinazione empatica, usava la discrezione e la umiltà dinanzi al dilagare dei protagonismi. Vogliamo ricordare così il suo slancio altruistico e disinteressato verso la sofferenza umana, di cui si è appunto parlato nella conversazione formativa SIEB-AVO. 


Il compianto dr. "Peppino" La Mura attorniato dai Soci AVO

Si è parlato delle radici biologiche e antropologiche dell'altruismo, alla base dello slancio solidale così caratteristico dell'uomo. Si è parlato della malattia e del malato, della differenza tra malattia diagnosticata (desease) e la malattia vissuta (illness).


L'opera di Val B. Mina (USA) illustra la vis destruens  della malattia vissuta


Un sentito grazie alla infaticabile dr.ssa Elisabetta Martucci e ai dirigenti e Soci AVO di Bisceglie, in particolare ci è grato ricordare la calda ospitalità di Andrea Mazzilli, Elisabetta Dell'Olio Desai, Jay Desai e quanti hanno manifestato altrettanto interesse e calore. Un sentito grazie ai partecipanti, senza cui l'incontro non avrebbe avuto senso né finalità. (am)



La dr.ssa Elisabetta Martucci introduce il dr. Miglionico





Il commiato-arrivederci

venerdì 3 giugno 2016

ELOGIO DELLA FOLLIA 28 : bambino giapponese perduto e poi ritrovato



E' stato ritrovato sano e salvo il bambino di sette anni abbandonato per punizione dai suoi genitori in una foresta nell'Hokkaido, nel nord del Giappone. 


Tutti tiriamo un sospiro di sollievo. Dal "castigo" si era tutti passati all'incubo. "Giappone sotto shock", tra i titoli internazionali. 
Tutte le agenzie di stampa si soffermano sulla bella notizia e sulle "scuse pubbliche" del padre dinanzi alle telecamere: il volto paterno (e la mamma dove è?) sembra dire "non pensavo di fare questo casino", "non lo farò più, prometto". Ma gli "inchini" non bastano e non sono esclusivi dei giapponesi (si pensi agli "inchini" marinari...). Altra domanda che tutti si pongono è come abbia fatto il piccolo a sopravvivere in una selva abitata da orsi ed anche gli italiani (che accompagnano i figli adulti anche ai concorsi "militari") qui si mostrano atterriti e meravigliati (ma Romolo e Remo? dove li mettiamo? nessuno li studia più). 

Nessuno, dico nessuno si chiede: ma quel bambino verrà tolto a quei genitori sui generis?

All'italiano, anzi all'europeo, sembra ovvio che un tribunale nipponico debba ora formulare un giudizio di idoneità  sulle capacità genitoriali della diade nipponica ma non è proprio così scontato. Il Giappone altamente tecnologico e "civilizzato" ha delle strane voragini sociali e giuridiche che scaturiscono da un medioevo storicamente vicino all'Ottocento. Pochi sanno per esempio che l'imperatore non ha cognome (e chi può chiedergli la carta di identità?). Quando la sciagura dello tsunami rese orfani centinaia di bambini tantissime richieste di adozione internazionale si arenarono dinanzi alle lungaggini ed all'orgoglio nipponico ("ai nostri bambini ci pensiamo noi", è stato anche risposto). Siamo in un Paese in cui si risponde penalmente per lo più all'infanticidio ma poco ai maltrattamenti infantili; un Paese ove l'aborto è stato istituzionalizzato nel 1940 ma le adozioni di infanti negli anni Ottanta; dove l'adozione riguarda prevalentemente adulti; dove sino al 2014 ben 40mila bambini orfani erano censiti ma di questi ben l'80% risultava essere stato abbandonato dai genitori. Abbandonare un figlio non costituisce un vero e proprio reato (così leggiamo da fonti attendibili come la associazione Human Rights Japan)Le cifre parlano chiaro: in Giappone solo il 12% degli “orfani” viene affidato o adottato, contro il 93% dell’Australia (che guida la classifica) il 77% degli Usa e una media del 50% dei paesi Europei. Pensate, il  kochan posuto è una stanza che 24 h su 24 è adibita al solo scopo di poter abbandonare, in un ospedale attrezzato, un figlio per i motivi più vari, non sempre di ordine economico. Ci viene in mente la "ruota" dei conventi cristiani d'Europa quando si moriva di fame e di infamia. E quando gli orfani divengono grandi vengono riversati nel sociale sic et simpliciter: si chiamano mukosekiji, ragazzi privi identità ( e di tutto). 
Scusate ma sono sconvolto dall'aver appreso queste cose dalle agenzie asiatiche. Spero di essere contraddetto, voglio e desidero essermi sbagliato. Ma in questo momento non amo tanto i marchi giapponesi di tanti strumenti che adoperiamo. Tornerò per stanotte alla candela tremolante sì ma eticamente orientata. Verso l'Altissimo. (erasmo da rotterdam)


giovedì 2 giugno 2016

AUGURI REPUBBLICA









POLIGNANO a mare: bellezza, #cultura e #archeologia







Nel 1785 il vescovo Mattia Santoro fece una grande scoperta archeologica scavando nell'orto di sua proprietà poco al di là delle mura di Polignano a mare. Rinvenne in un enorme sepolcro di 12 m x 5 di profondità uno scheletro, un elmo in bronzo, resti di armatura, un grande candelabro e oltre una sessantina di vasi funebri. I c.d. Vasi di Polignano - prima di disperdersi storicamente - furono valutati allora 60.000 ducati, il che era una enormità se si considera che la intera città di Polignano era stata stimata 47.000 ducati in una pubblica asta del Regno di Napoli (!). I Vasi migliori, donati al Re Ferdinando IV confluirono al Real Museo di Capodimonte ma la invasione napoleonica li disperse facendone dimenticare la identità originaria. Il Loutrophoros esposto temporaneamente a Polignano a palazzo S. Giuseppe (vicino alla porta) ha 2300 anni (IV sec. aC) è imponente pur mancando della copertura: è in prestito dal Museo Archeologico di Napoli. Gli altri vasi di stessa provenienza ora sono esposti al Metropolitan Museum di NYC (noto come "Vaso di Capodimonte" ma ora dovrebbero rinominarlo "Vaso di Polignano" dopo le ricerche accurate di Giuseppe Maiellaro), al Louvre di Parigi, e al Museo Archeologico di Francoforte. Nutrito il programma culturale annesso alla Mostra ma la affluenza ci è sembrata - ahinoi - non degna della forza culturale pugliese. Forza Puglia. (t.a)






R. Magritte - Le Savoir La porta Socchiudo la porta: s'intravede la luce La via non è fuori  È nel buio più intenso  nella parte più osc...