lunedì 30 novembre 2020

Scomparso Vittorio CATANI, scrittore pugliese di SF







Ci ha lasciati il 23 novembre 2020, lo  scrittore pugliese  Vittorio Catani (Lecce, 17 luglio 1940 – Bari, 23 novembre 2020).

Nato a Lecce nel 1940 e vissuto a Bari, è stato una vera e propria colonna portante della fantascienza italiana. Ha vinto numerosi premi,: il primo Premio Urania e diciassette Premi Italia per la fantascienza.

Prolifico autore di racconti, raccolti nel 2007 nel volume “L’essenza del futuro”,  dei suoi romanzi si ricorda Il Quinto principio (Supplemento n. 39 a Urania n. 1533), e “Gli universi di Moras”, quello che gli valse il Premio Urania nell’ormai lontano 1990. Una ricaduta importante della vittoria al Premio Urania fu la sua lunga collaborazione al quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno, per il quale, oltre ad articoli di futurologia, curò una rubrica di costume, “Accadde… domani”, in cui si sbizzarriva a sviluppare le derive più originali della scienza, della società e del comportamento collettivo.

sabato 24 ottobre 2020

FINCHE’ C’E’ VELA C’E’ SPERANZA








FINCHE’ C’E’ VELA C’E’ SPERANZA  racconta di un futuro possibile





Finché c'è vela c'è speranza - Achille Miglionico

pubblicato su Bolina n°: 389, pagina 105.

Rubrica: Sapore di Mare



In tanti non  lo avevano previsto né se lo erano immaginato neanche nell’anticamera del cervello, per usare una terminologia di mio nonno;  oppure avevano rimosso.   Qualcuno se lo aspettava e aveva tradotto la fantasia in sceneggiature per serie televisive che parlavano di scenari catastrofici, una volta di moda, ma quando una cosa la trasformi in SF o fantascienza c’è sempre chi arriccia il naso e può dirsi “non accadrà mai”. Invece la fantasia si fece Storia.

Qualcuno, a dirla tutta, lo aveva formulato solide ipotesi scientifiche ma era forte il rischio di essere linciato mediaticamente, come una Cassandra o un uccello del malaugurio. 

Per migliaia di anni - così insegniamo a scuola - l’uomo ha cercato di piegare la natura, ha sfruttato la natura, non più solo attraversandola attraverso la marcia incessante e gli spostamenti continui per procacciarsi cibo e sostegno: già nel passaggio dal Paleolitico al Neolitico, appena fermò il piede e divenne più stanziale l’Homo sapiens diede vita all’agricoltura ed all’allevamento e sorsero i primi aggregati semimobili o fissi di individui. Ecco che lo sfruttamento delle risorse naturali cominciò a essere più serio e sistematico: raccogliere legna da ardere per riscaldarsi e cuocere, lavorare legname per edificare ripari artificiali, bruciare tratti di foresta per farne colture, costruire attrezzi per cacciare, pescare, difendere, attaccare, lavorare la terra e cucire le pelli. Da subito l’Uomo preistorico fu scomodo per la Natura. Un esempio storico? Gli antichi romani si spostavano con le legioni costruendo castra e abitati abbattendo ampie aree boschive. La Natura sembrava inesauribile nelle risorse che metteva a disposizione di questo mammifero troppo evoluto e capace di autocoscienza. Come identità divina o divinizzata, la Natura avrebbe potuto ammirare questa curiosa creatura quasi con sorpresa (ed orgoglio?) visto che le popolazioni umane sembravano avere non solo attenzione al sacro con rituali gruppali sempre più complessi ma anche una particolare capacità di risolvere problemi tanto da superare vertiginosamente qualsiasi altro mammifero o essere vivente di Gea, la Madre-Terra. Sì certo la natura borbottava e si agitava di tanto in tanto: ora sussultava quasi indifferente con un sisma, ora con una megaeruzione, ora generando uno tsunami o diffondendo animaletti microscopici e microrganismi che facevano morire precocemente ed in tanti; per non parlare di inondazioni e  periodici cicloni, giusto per ricordare a chiunque chi avesse il coltello dalla parte del manico. Eppure quel primate intelligente, malgrado il prezzo pagato con innumerevoli vittime e perdite, spesso inspiegabili, era sempre lì alle pendici frementi di montagne che fumavano ed eruttavano fuoco, in quanto quel suolo era particolarmente fertile; erano sempre lì vicini alle acque del mare dei laghi e dei fiumi e sapevano superare pestilenze, carestie e siccità come nessun mammifero. Cadevano ma si rialzavano. Una iattura per la biosfera. 

Se dovesse capitare, tra le Operette Morali di un dimenticato poeta italiano, Giacomo Leopardi, di leggere il Dialogo della Natura e di un Islandese,  si rimarrebbe un poco male tra le varie battute del dialogo e il finale tragico; sembra di poco precedere il detto sulla la natura che  ha i denti sporchi di sangue di un certo Darwin che avrebbe scoperto la evoluzione biologica anni dopo, sempre nell’Ottocento. Poi la rivoluzione industriale con il vapore, i motori endotermici, la elettrificazione, la conquista atomica e  aerospaziale, e di seguito la rivoluzione informatica hanno fatto il resto. 

Insomma il fatto fu subitaneo pur non essendo inatteso.

La maggior parte delle fonti di energia elettrica si ridussero drasticamente sino al blocco totale dei macchinari. Uno storico avanzò l’ipotesi che fosse avvenuto - questo era stato previsto parzialmente - prima che si esaurissero realmente i combustibili fossili; prima che si contaminassero di sale le acque degli acquedotti sotto l’implacabile innalzamento del livello dei mari. L’acqua di mare infatti prese a salire con velocità centuplicata e saliva saliva ricoprendo coste, affogando la vita terricola, mangiando terra e città costiere, mordendo a grossi bocconi estuari, aggredendo fiumi che si ritrovarono invasi e accartocciati negli alvei: tutto con la maledetta decrescita dei ghiacciai. Come dopo le ere glaciali. Solo che questa volta non c’entrava la “Natura matrigna” leopardiana ma era esclusiva responsabilità dell’Uomo che aveva alterato in poco più di un secolo il clima attraverso il riscaldamento globale (da tanti, ahinoi, negato con pervicacia fino alla fine). Un processo che inaspettatamente durò pochi anni, non secoli come qualcuno aveva creduto o sperato.   Sulla terra si moltiplicarono siccità e pompe di estrazione e dissalatori per scongiurare la perdita rilevante di oro bianco. L’agricoltura, è noto, non ama l’acqua dissalata che va bene per tanti usi ma limita i cultivar. Gli insediamenti umani, affamati e assetati, arretrarono dappertutto, scomparvero paesi, villaggi costieri sino a intere città come Venezia; scomparvero sotto le acque isole come l’isola di Pasqua ed altri atolli polinesiani. Il turismo subacqueo di oggi fa intravvedere la bellezza dei reperti archeologici che una volta respiravano l’aria come noi. Si arginò, non senza atroci conflitti e difficoltà geopolitiche, il l’istinto di sopravvivenza e di prevaricazione del Decennio Buio (un medioevo oscuro e violento, privo di regole) ricostituendo una convivenza essenziale. Anche stavolta ce la facemmo, pur tra perdite personali e collettive degne di una Terza Guerra Mondiale che non è mai scoppiata: forse si capì, per la prima volta, che l’uno ha bisogno dell’altro e che assieme ce la si fa, disuniti si perisce. 

L’acqua fu equidistribuita per evitare scontri sanguinosi e conflitti ove non ci sarebbero stati che perdenti. Con l’uso razionato di  energia fotovoltaica (la Terra dall’alto appariva multispeculare come gli ommatidi di un insetto, tutti disponevano di sistemi fissi e mobili di fotovoltaico); con l’incremento di energia eolica e da maree si rimise in moto una economia più  locale. Sulla energia nucleare qualcuno aveva fatto o tentato di fare il furbo ma il mondo era scottato dall’ecocidio pregresso; nessuno voleva più il nucleare se non sui libri di fisica. Anche perché con la Crisi elettrica insorta e con la carenza di acqua da raffreddamento, molte centrali nucleari andarono in tilt e furono solo con difficoltà spente prima di contaminare il globo. Un mondo da adattare in fretta, troppo in fretta persino per le capacità del multiforme Homo sapiens. Un mondo che era cambiato nel corso di una vita, cioè in tempi biologici e non in tempi geologici, era troppo difficile da tollerare. Per almeno un decennio la causa di morte imperante fu il suicidio. Poi le cose migliorarono in fretta come erano peggiorate in fretta. Si ripristinarono le reti informatiche ma anche desueti sistemi di comunicazione che avevano consentito di sopravvivere in assenza e poi carenza di energia elettrica. 


E, con il risparmio energetico e con la ottimizzazione delle risorse operato dai poteri centralizzati dell’ONU, il trasporto terrestre, aereo e marino mutò per sempre. Sul mare si moltiplicarono le vele da uno, due, quattro alberi. Vele oceaniche per trasportare, per viaggiare, per migrare altrove, per esplorare. Se ne vedevano di tutti i tipi sulle acque: le suggestive vele latine, triangolari con la tipica antenna di sghembo; auriche con tanto di pennoni e boma; le classiche bermudiane; le particolari come i cutter, ketch, le catboat, le nuove agili golette. Come non parlare delle velocissime, quasi dei bolidi, come catfoiling, canting monofoil e altre? Quelle che non sembrano più barche in quanto volano sull’acqua staccandosi da essa grazie ai foil: nate per la competizione e difficili  da condurre,  ricordavano quegli strani insetti che non saltano da un punto all’altro a pelo d’acqua ma ci camminano come dei cristi oppure come dei ragni che corrono sul pelo dell’acqua, senza affondare. Si erano molto sviluppati, a mo’ di utilitarie dell’acqua, gli armamenti nautici semplificati  quelli dipodici: due alberi legati a U rovesciato. Senza strambate era più tranquillo navigare per gente non di mare e per le famiglie. E guardare mari e laghi pieni di fazzoletti di ogni colore lasciava sperare ed era uno spettacolo bello, in sintonia con la natura ferita: comunque ti dimenticavi che in assenza di vento alcuni oligarchi possedevano motori elettrici per le loro vetture e barche. I motori elettrici, assai perfezionati, erano appannaggio di pochi e comunque delle linee di trasporto marittimo e delle forze armate, insostituibili per vigilare i mari infestati nuovamente di pirati senza scrupoli. Anche la criminalità deve adeguarsi ai tempi. 

I più si ritrovavano ai tempi in cui vi era il Portum dell’antica Roma con le sue navi onerarie che trasportavano merci dalla periferia imperiale alla Caput Mundi che contava un milione di abitanti (più della popolazione attuale di Roma costiera di oggi  che non è un gran porto). Si procedeva a remi ed a vela per lo più e si navigava soprattutto nelle stagioni giuste, rimanendo talora bloccati nei nuovi approdi e porti che costellavano la nuova geografia delle nazioni. Un tempo per vedere tante vele assieme bisognava partecipare ai grandi raduni annuali che si organizzavano per diporto, come la antica “Barcolana” di quella che un tempo era una città costiera come Trieste (un quotidiano di informazione ne aveva ripreso una foto antica assai nostalgica).

Buon vento a tutti ed a te, in particolare, nipotina mia.




martedì 14 aprile 2020

"Siamo tutti Alberto Sordi?" il docufilm di Fabrizio Corallo su SkyArte e su Sky Cinema Comedy



"Siamo tutti Alberto Sordi?"Il docufilm di Fabrizio Corallo, fortunatamente presentato in epoca pre-pandemia, è andato in onda domenica 12 aprile su Sky Arte e su Sky Cinema Comedy. 


"Siamo tutti Alberto Sordi?" aspira a celebrare in occasione del centenario della nascita il talento unico e la personalità segreta del grande attore e regista romano scomparso 17 anni fa, mettendone in rilievo non solo la leggendaria vicenda artistica ma soprattutto le sue doti spesso profetiche di interprete/autore capace. C'è davvero tutto Sordi, in questa "enciclopedia visuale", il pubblico e il privato, le amicizie fraterne con Fellini con cui divise gli anni della fame iniziali, con Scola, e poi con Risi, Monicelli, De Sica "complice perfetto" come racconta Christian, il sodalizio con l'alter ego sceneggiatore Rodolfo Sonego e con il musicista Piero Piccioni, la stima per Monica Vitti. 

Questo 2020 difficile - con la pandemia in corso che tutto sta triturando come un evento bellico -  prevedeva e prevede diversi appuntamenti culturali qualcuno rinviato qualcuno sopravvissuto grazie ai media. 


Così la Mostra  Il centenario. Alberto Sordi 1920-2020 a Roma nella villa dell’attore in piazzale Numa Pompilio è stata rinviata: contattare info@centenarioalbertosordi.it). 
Il biopic Permette? Alberto Sordi diretto da Luca Manfredi, con Edoardo Pesce nei panni dell’attore, è andato in onda il 24 marzo su Rai1 ma non è riuscito a catturare al di là di un lavoro corale apprezzabile.
Il docufilm di Fabrizio Corallo si beve tutto d'un fiato per la snellezza e bravura del regista-sceneggiatore che sta consolidando la sua fama e bravura nel confezionare docufilm: dopo il grande successo di Sono Gassman!, del 2018, andato in onda nel gennaio 2019 su Sky Arte, ha anche collaborato come sceneggiatore con Carolina, la figlia di Franco Rosi,  al documentario Citizen Rosi diretto da Didi Gnocchi e Carolina Rosi (2019): lo abbiamo visto ed è veramente bello e istruttivo. 
"Siamotutti Alberto Sordi?" prodotto da Surf Film e Dean Film in collaborazione con LA7, Sky Arte, Istituto Luce Cinecittà e 3D Produzioni segue Sordi nell'arco della sua formazione e del consolidarsi della sua carriera raccontandolo attraverso le sequenze di alcuni tra i più significativi dei  film da lui interpretati; filmati tratti dalle sue tante apparizioni televisive e pubbliche e interviste appositamente realizzate a compagni di lavoro, esponenti di punta del cinema recente, storici e critici, tutti chiamati a raccontarne i vari aspetti della poliedrica personalità tra riflessioni, aneddoti, ricordi e curiosità. 




Tra gli intervistati gli attori Carlo Verdone, Giovanna Ralli, Pierfrancesco Favino, Claudio Amendola, Anna Foglietta, Riccardo Rossi; intervengono  i critici Goffredo Fofi, Valerio Caprara e Masolino D'Amico. Non potevano mancare esperti osservatori del costume nazionale come Renzo Arbore, Vincenzo Mollica, Maurizio Costanzo e altri ancora; amici e collaboratori come il presidente onorario della Fondazione Museo Alberto Sordi, Walter Veltroni; il consulente artistico Fondazione Museo Alberto Sordi, Luca Verdone;  lo sceneggiatore Enrico Vanzina; il presidente Anica  Francesco Rutelli; il regista Marco Risi; le scrittrici Gigliola Scola e Chiara Rapaccini; la giornalista Gloria Satta. Il Presidente onorario del Campus Biomedico di Roma,  Professor Paolo Arullani ci rivela che il suolo dell'intera opera sia stato donato da Sordi.

Una godibile carrellata di emozioni e rivelazioni più o meno intime che donano luce ad aspetti esistenziali e professionali del grande Albertone:  persino sulla sua presunta avarizia, che non ha impedito all'Artista in vita e dopo la morte di fare beneficenza a tanti, per esempio al Campus Biomedico e ad istituti per anziani.


Ora passiamo ad intervistare Fabrizio Corallo.

***********************************

Fabrizio Corallo







- E' il suo momento più maturo e proficuo, dal punto di vista artistico, Fabrizio Corallo. Lei è regista-sceneggiatore molto ricercato per i docufilm. Un riconoscimento alla capacità di lavoro e cultura, bisogna ammetterlo, malgrado la sua naturale ritrosia.  Già dal titolo scelto e dal punto interrogativo si comprende come descrivere gli italiani non è impresa semplice. Sordi ci è riuscito?

- Dagli anni '50 in poi e sino alla fine dei suoi giorni Alberto Sordi esprimendosi quasi sempre in felice sintonia con registi e sceneggiatori come lui in stato di grazia ha mostrato con le sue denunce del malcostume italiano, in forma di satira, quello che siamo e che forse avremmo preferito non essere.

- Ideologicamente come era Albertone?

- Conservatore, moderato e cattolico convinto ma anche osservatore implacabile di vizi e storture e profondo conoscitore dei meccanismi psicologici...Sordi ha dato vita nelle sue commedie a tanti ruoli di uomini immaturi, opportunisti, servili e incapaci di solidarietà e altruismo. Nel suo cinema riecheggiano certe costanti nazionali come la furbizia, il cinismo, il familismo amorale, la mancanza di senso civico, considerati troppo spesso dagli italiani quasi come una dote, un patrimonio, un'autodifesa allarmata e quasi gelosa della proprio "particulare" (per dirla alla Guicciardini). 

- Non tutto può essere folklore. C'è dell'autocompiacimento mi dice.

- Al di là degli occasionali e divertiti autocompiacimenti i personaggi "scomodi" di Sordi sono però rappresentati sempre criticamente ed esortano lo spettatore a riflettere su difetti e colpe di un'umanità priva di coscienza etica.

- C'è il rischio identificatorio se non si è dotati di capacità riflessive. 


- I livelli di lettura sono tanti. Sordi ha portato in scena tanti "mostri" del suo tempo nei loro aspetti divertenti con l'intento esplicito di condannarli e fustigarli anche se troppo spesso il suo pubblico ha finito con l'identificarsi in lui senza farsi troppe domande, nutrendosi passivamente degli splendori e delle miserie rappresentate nel glorioso genere della commedia all'italiana. Però secondo Ettore Scola - che prima di dirigerlo in film memorabili lo aveva conosciuto bene nei primi anni 50 come autore dei suoi programmi radiofonici e sceneggiatore di tante commedie - "il  pubblico di Alberto non è mai stato “ricattato” dalla sua simpatia e dalla sua bontà, piuttosto è stato ammaliato e colpito dalla sua grandezza come attore e come uomo. Il suo merito principale è stato quello di non aver camuffato le bassezze con un'ipocrita rispettabilità: non era un ritrattista ma un inventore di caratteri. Era soprattutto un disturbatore ed un dissacratore, è andato sempre contro i luoghi comuni, contro le convenienze".

- Convincente  la nota sulla dissacrazione. Tra il ridere e sorridere sui fatti umani è vero che dopo un film di Sordi - anche quelli tragici - si prova un misto di vergogna e compenetrazione. Ci si chiede "ma io mi comporto mai come lui?", che poi è il sottotitolo del docufilm.

- Certo. Secondo il critico Maurizio Liverani "Sordi con il suo umorismo sarcastico e beffardo non ha rappresentato soltanto l'arrivismo e la faciloneria: la sua più che una storia degli italiani è una loro imitazione allucinata e iperrealista che diventa disturbante".

-Di Gassman lei era frequentatore e amico di famiglia. Quali difficoltà hai incontrato nell’affrontare la vita di Albertone che non conosceva alla pari di Vittorio?

- Molte e poche. E' stata una esperienza unica farsi accompagnare da Carlo Verdone nella villa di Sordi che lui sì frequentava. Tra le tante interviste e tra i tanti materiali di repertorio sempre suggestivi da rivedere, alcune sono proprio chicche inedite. Come i materiali che De Laurentiis mi ha concesso per il film e che appartengono agli anni dell'accordo che Dino firmò con Sordi per alcuni film memorabili, molti dei quali con Silvana Mangano di cui Alberto era platonicamente innamorato. Una splendida esperienza fare un docufilm sentito.

- Hasta la próxima allora.


(a.m.)


Biografia. Fabrizio Corallo è nato il 29 Aprile 1957 a Bari, città in cui si è in seguito laureato in Giurisprudenza nell' Università degli Studi oggi intitolata ad Aldo Moro. Si occupa di cinema e di spettacolo dal 1979: è stato assistente alla regia di diversi film diretti tra gli altri da Renzo Arbore ("Il Pap'occhio", 1980), Pupi Avati ("Le strelle nel fosso" e gli sceneggiati Rai "Jazz band" e "Cinema!"), Stelvio Massi ("Il conto è chiuso") Sergio Martino ("Sabato, domenica e venerdì"). Vive e opera a Roma dal 1980 ove ha lavorato come redattore, consulente ed esperto di cinema e di spettacolo per vari programmi tv di Rai 2 (tra cui "Blitz" di Gianni Minà e "Mixer" di Giovanni Minoli) e di Rai 3, rete con cui ha collaborato fino al 2015 come autore di testi e consulente per l'ufficio stampa.
Fin dal 1980 ha iniziato a scrivere articoli ed inchieste dedicati al cinema e allo spettacolo per varie testate: La Gazzetta del Mezzogiorno, Panorama, L'Espresso, Il Messaggero, Il Venerdi di Repubblica, La Domenica del Corriere, L'Unità, Film Tv, Cinecittànews, Quotidiani Associati, Il Quotidiano di Lecce, L'Ora.
Giornalista pubblicista dal 1982, ha scritto dal 1981 al 2000 per La Gazzetta del Mezzogiorno; ha iniziato a collaborare fin dal 1990 con Il Mattino di Napoli ed è stato titolare per oltre 10 anni di una rubrica mensile del magazine di cinema "Ciak". Nel 1987 ha firmato con Puopi Avati la sceneggiatura del film ad episodi "Sposi" Ha collaborato e collabora con molte reti televisive, non solo la RAI.
E' stato coautore con Valerio Caprara del volume sul regista Dino Risi "Maestro per caso" (Gremese, 1993) e ha firmato con altri autori volumi di cinema sugli attori Ugo Tognazzi, Michele Placido, Margherita Buy e Carlo Verdone pubblicati in occasione di diverse edizione del Festival del Cinema Europeo di Lecce. Nel 2006 è stato l'autore di Una bella vacanza, un documentario incentrato sulla vita e i film di Dino Risi trasmesso da Rai 3 in occasione del 90esimo compleanno del regista, premiato con una Menzione Speciale ai Nastri d'argento del 2007 e presentato in varie manifestazioni internazionali, tra cui una rassegna del 2009 al MoMA di New York .

Collabora da tempo all'organizzazione ed alla promozione di festival e manifestazioni dedicati al cinema e con varie case di distribuzione per cui scrive interviste a registi e attori per i pressbook utilizzati in fase di uscita dei film e per i contenuti extra da associare al lancio nel mercato Home Video. Nel 2010 è stato l'autore dello special "Quel Pap'occhio di 30 anni fa" con Renzo Arbore, Isabella Rossellini e Mariangela Melato, pubblicato in home video da 01 distribution insieme al film Il Pap'occhio di Renzo Arbore in occasione del trentennale della sua uscita in sala. E' stato a lungo consulente di vari canali Rai (Rai 3, Rai Movie Rai Premium, Rai 1, Rai Educational) realizzando interviste e testi per vari programmi e occupandosi di pubbliche relazioni e rapporti con gli ospiti. Dal 2013 scrive sulle pagine di cultura e spettacoli de "Il Fatto Quotidiano" e continua a collaborare con "Il Mattino di Napoli".

Nel 2014 ha ideato e diretto il programma tv con Renzo Arbore e Raffaele La Capria "Napoli Signora" realizzato da 3D produzioni e in onda su Rai Storia dopo un'anteprima al Prix Italia di Torino. Nel 2015 è stato l'autore di "Quando la radio..", un programma tv sulla storia della radiofonia con Renzo Arbore e Marco Presta realizzato da 3D produzioni e in onda su Rai Storia.

Nel 2016 ha ideato e diretto il documentario "Dino Risi Forever-Cento anni ma non li dimostra", presentato alla Festa del Cinema di Roma e in una rassegna del MoMA di New York in occasione dei centenario della nascita del regista e premiato con un Nastro d'Argento Speciale.

Sempre nel 2016 è stato l'autore di"..Le chiamavano jazz band", un programma tv con Renzo Arbore e Pupi Avati realizzato da 3D Produzioni in onda su Rai Storia. Ha poi proseguito la sua attività di giornalista conducendo una serie di talk show con attori e registi organizzati in Puglia dalla Apulia Film Commission.

Nel 2017 è stato l'autore di "Mariangela!", un programma tv con Renzo Arbore e Lella Costa dedicato all'attrice Mariangela Melato realizzato in 4 puntate da 3D Produzioni per Rai Storia e Rai Tre e premiato con una Menzione Speciale ai Nastri d'Argento 2018; sempre nel 2017 è stato uno degli autori de "Il nostro Totò", un programma di Rai 2 di Renzo Arbore realizzato in occasione del cinquantenario della scomparsa del grande comico. Ha condotto inoltre una nuova serie di talk show con attori e registi della Apulia Film Commission e ha proseguito la sua attività di giornalista per varie testate, tv e manifestazioni di cinema, teatro e letteratura. Nel 2018 ha scritto e diretto "Sono Gassman! Vittorio re della commedia", un docufilm sulla vita e la carriera di Vittorio Gassman presentato alla Festa del Cinema di Roma e vincitore del Nastro d'Argento per il miglior documentario di spettacolo del 2019.



venerdì 10 aprile 2020

Lettera a tutti gli Sciacalli in epoca di #pandemia da #Coronavirus #Covid19


Lettera a tutti gli Sciacalli (Trasgressori, Untori, Sabotatori, Irosi , Trimalchioni ) e agli Sciacalli elettronici senza volto


Voi Sciacalli siete eroi di niente e lavorate per distruggere. Non avete capito che stiamo cercando di salvare anche voi sciacalli accomunati dal  "cerebrum non habet" di Fedro.

Questa è una guerra contro il genere umano. Ma la faremo finire. Assieme.


Nessuna pandemia elimina interamente una specie vivente: non sopravviverebbe lo stesso agente patogeno, il microrganismo. Sappiatelo, è legge di Natura. Ma la pandemia, fino a non scompare, stermina senza distinzione di età, genere, classe, nazionalità, etnie, cultura. Come il quarto cavaliere dell’Apocalisse (Morte-Pestilenza), stermina a caso: come il nazista che spara dalla finestra nel film di Spielberg “Schindler's List” (1993). Vengono meno nonni, genitori, figli, medici e infermieri, cassiere, operai, volontari, tutori dell’ordine, criminali, guardie e ladri ecc. Che brutto scrivere “ecc.”, eh? Quello dei TG è un bollettino di guerra cui stiamo facendo l'abitudine. Si tratta di tantissime persone e storie irripetibili, quelle storie che rendono la vita comunque una bella sfida da affrontare. Come tutte le guerre, anche questa è scoppiata troppo all’improvviso, sul filo del bicchiere di spumante con cui ci siamo augurati un anno migliore. Per concludere il conflitto anche negli esiti catastrofici, ci vorrà tanto sacrificio e dolore, e verrà il  dopo-guerra, quando potremo cantare che ce l’abbiamo fatta senza chiederci troppo come risollevarci. 

Homo sapiens è così, cade e si rialza. 


Ma come tutte le guerre anche questa prevede gli Sciacalli di ogni tipo, antichi e moderni.  Inutile chiedersi perché esistano sciacalli in frangenti così dolorosi di per sé. Sappiamo solo come agiscono. 
Concittadino caro, se non sei uno Sciacallo lascia perdere, puoi anche non leggere oltre. Sei un bravo Cittadino che sa collaborare con lo Stato, sai già che lo Stato siamo noi e sai come comportarti (come per le piccole cose come la raccolta differenziata che riguarda immondizie). Voglio rivolgermi a quelli che probabilmente non leggeranno  oltre, dicendo “Ah, il solito buonista che predica bene e razzola male”; quelli che sanno solo offendere, vittime anch’esse della propria ira. Pazienza. In democrazia ( e fuori) non ci possono mettere a tacere.

Cari Sciacalli, 


in periodi storici così difficili, vi preghiamo di non contribuire a diffondere messaggi disfattistici, destabilizzanti, protestatari,  e collerici.  Nessun governo avrebbe potuto fare qualcosa di diverso in una emergenza simile tant’è che ogni governo democratico del mondo, di qualunque colore politico, ha promulgato misure sovrapponibili a quelle italiane e noi con la nostra gloriosa Protezione Civile e con tutti le forze messe in campo, siamo modello per gli altri (anche per quelli che ci avevano deriso per il clamore  e che ora contano morti più di noi). 

Pensate che la SARS del 2002-04 (da SARS-CoV-1) fece in tutto novecento morti tra cui il medico microbiologo italiano che la identificò per primo:  Carlo Urbani (1956-2003). 


Quel sacrificio è simbolo di tutti gli Operatori Sanitari caduti “sul campo” ed è faro per i viventi. Con il virus SARS-Cov-2, l’attuale,  contiamo ogni giorno migliaia di caduti e dappertutto! È una guerra (anche alla nostra presunta e presuntuosa onnipotenza ) e  bisogna imparare ad attendere, difendersi con il cervello, essere pazienti perché non finirà presto.

 Bisogna prima sopravvivere al virus con le restrizioni libertarie e poi sopravvivere economicamente 


Chi ha di più deve dare e chi ha di meno o nulla deve ricevere. Lo Stato siamo anche noi E lo Stato come Ente centrale lavora incessantemente per la salvaguardia personale e sociale; sta diramando aiuti enormi grazie all’aiuto della BCE che aiuta gli Stati membri (non sempre riconoscenti). 

E' notizia di oggi che la Bulgaria chiede di accedere alla Eurozona per accedere agli aiuti: dunque gli aiuti della UE sono già imponenti se vengono reclamati da Paesi estranei. Dobbiamo fare di più al di là della solidarietà europea già espressa. Dobbiamo condividere la ri-nascita.


In effetti sia la copertura delle spese straordinarie sia cospicue “iniezioni” di danaro vengono dall'Europa. In questi giorni ci si gioca anche l’idea di una Europa Unita per la mentalità rigida di alcune nazioni: senza pensare alle difficoltà immense che attendono il Regno Unito (per quanto?) che stoltamente non ne fa più parte. Brexit equivale ad essere soli.

Si assiste  anche una crescente solidarietà (internazionale e privata) che lascia ben sperare in una pax sociale.


La burocrazia italiana, talora seconda solo all'apparato russo, va semplificata nell'emergenza, in quanto tende a  rallentare l’accesso ai fondi stanziati. Si deve fare di più e meglio. In questo clima comunque a rallentare ci si mettono anche gli Sciacalli, sotto forma di hacker che attaccano i siti di pubblico servizio. Possibile che ci facciamo la guerra tra “poveri”? Onestamente, senza essere complottisti, io credo che si tratti di centri informatici pagati per destabilizzare l’Europa libera. Assurdo? 

Hacker-Sciacalli sono una realtà. Conosciamo già la esistenza di "Bestie" che a livello informatico dividono e catturano attraverso la rabbia sociale. 


E quanti “cattivi” incontriamo anche nelle file del supermarket o alla banca che con sorriso diabolico non indossano la mascherina, malgrado i più li invitino a farlo? Tutto in spregio delle misure di sicurezza interpersonale.
Io preferisco gli esempi civici e, quando mi decido a parlare è solo dopo aver ascoltato, dopo aver verificato a livello culturale, e dopo aver ponderato le parole. “Ma come? - obietterà qualcuno - dai dello Sciacallo agli altri che la pensano diversamente e pretendi di essere rispettato?”. Scusatemi se vi ho offeso più di quanto facciate voi con voi stessi, amo la dialettica ed accetto critiche. Lezioni di etica no, non le accetto dagli Sciacalli. 
E' in arrivo una strana Pasqua con coprifuoco. 

Vi auguro una buona Pesach (dall'ebraico: "passaggio") perché siamo di passaggio e in passaggio.


In tema pasquale, da laico, voglio fare una citazione da Paolo di Tarso:
10 Vi esorto pertanto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire. 11 Infatti a vostro riguardo, fratelli, mi è stato segnalato dai familiari di Cloe che tra voi vi sono discordie. 12 Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: «Io sono di Paolo», «Io invece sono di Apollo», «Io invece di Cefa», «E io di Cristo». 13 È forse diviso il Cristo? 

[Dalla Prima lettera (autentica) ai Corinzi]




(achille miglionico)

  • Da leggere: "Quando mio marito Carlo Urbani fermò il virus" articolo su:  
  • http://www.vita.it/it/article/2020/03/22/quando-mio-marito-carlo-urbani-fermo-il-virus/154564/


NOTE: 

  • “Sciacallo” (da Dizionario TRECCANI)): 2. “fig. Persona che approfitta delle altrui sventure per rubare; in partic., chi, in occasione di cataclismi o eventi bellici, saccheggia case e luoghi abbandonati, deruba cadaveri o persone indifese; anche chi, nei sequestri di persona, si inserisce con false promesse nelle trattative per trarne profitto; talvolta, più genericam., persona avida, profittatrice….”
  • “Hacker” (da Dizionario TRECCANI): “…..In relazione agli scopi perseguiti,  si distinguono tre differentidi h.: white hat hacker, il cui operato corrisponde a un rigoroso rispetto dell’etica h.; black hat hacker, chi violi illegalmente sistemi informatici con o senza vantaggi personali; grey hat hacker, l’h. cui non siano applicabili queste distinzioni o che passi facilmente dall’una all'altra categoria.” Scegliete voi.


sabato 28 marzo 2020

#iorestoincasa #coronavirus ITALIA IN ROSSO aggiornamento











ZONA ROSSA ESTESA A TUTTA L'ITALIA

E' l'appello di tanti ma va ripetuto ai sordastri. Ora bisogna stare a casa e non uscire se non per motivi indispensabili e previsti dall'ultimo modulo DPCM.  Bisogna informarsi e rispettare le regole. Dobbiamo farlo per il nostro Paese e anche per aiutare gli operatori della sanità che sono in trincea da settimane a lottare per la nostra vita e per la nostra salute. Ora è il momento della responsabilità civile e dell'unità, per essere utili gli uni agli altri 




martedì 3 marzo 2020

RIFLESSIONI SULLA GINESTRA LEOPARDIANA




LA GINESTRA O LA PIETÀ  PER LA SOFFERENZA

Appassionata fruitrice dell’Opera leopardiana, altrettanto veemente, impetuosa divulgatrice della sua Arte, sento la necessità indifferibile di scriverne, in un momento storico critico, contrassegnato da squilibri, diseguaglianze, divisioni, paure, intolleranze, ossia da quanto di più lontano esiste dalla chiara conoscenza e dalla serena interpretazione del reale.




LA GINESTRA O IL FIORE DEL DESERTO

La lirica fu composta da Leopardi nel 1836 nella villa Ferrigni di Torre del Greco (davanti all’abitazione si ergeva il Vesuvio) e apparve postuma nell’edizione dei Canti del 1845, pubblicata da Ranieri a Firenze.
La sua forma metrica è composta da sette strofe libere con 183 endecasillabi e 134 settenari variamente alternati; ciascuna strofa è chiusa da rima e da verso endecasillabo.
La prima strofa si apre con la descrizione di un paesaggio desolato, quello del Vesuvio: qui cresce la Ginestra con i suoi fiori profumati. Il poeta ricorda che anche tra le rovine dell’antica Roma è possibile sentire l’odore di questa pianta; egli invita gli ottimisti, ossia coloro che di solito esaltano la condizione degli uomini, a visitare questo paesaggio desolato per capire come la natura non si curi degli uomini.
Nella seconda strofa il poeta accusa il XIX secolo di aver abbandonato il razionalismo dell’Illuminismo per tornare, invece, a credenze religiose ed irrazionali che portano l’uomo verso un gravissimo regresso culturale. 
Nella terza strofa Leopardi invita gli uomini a prendere atto della triste condizione di infelicità in cui si trovano e soprattutto esalta la solidarietà tra loro: occorre infatti stringersi insieme in una <<social catena>> (v. 149). 
La quarta strofa si apre con la contemplazione della volta celeste: guardando questi spazi immensi, ci si accorge di quanto l’uomo sbagli a credersi al centro dell’universo. Egli polemizza quindi anche con la religione (vv. 190-195) che ha creato delle illusioni perché ha spinto l’uomo a pensare che esso sia al centro dell’universo.
La quinta strofa comincia con una similitudine: il poeta paragona la distruzione ad opera del vulcano con una mela caduta da un albero che uccide un intero popolo di formiche in un solo istante; in tal modo simboleggia l’assoluto disinteresse della natura nei confronti dello stato umano.
Nella sesta strofa viene descritta l’eruzione del Vesuvio di notte con particolari cupi, proprio per dimostrare che la vita dell’uomo è molto breve mentre la natura è eterna e minacciosa.
La settima ed ultima strofa è dedicata alla Ginestra. Il fiore viene esaltato perché è capace di sottostare al proprio destino senza alzare il capo, quindi è capace di diventare superbo, senza supplicare il vulcano di risparmiarla. Gli uomini dovrebbero quindi evitare sia la viltà che l’orgoglio e diventare umili ma tenaci come la Ginestra per continuare a vivere la loro esistenza in maniera degna.
La Ginestra è il simbolo della pietà verso la sofferenza: c’è un’analogia tra la Ginestra, compagna consolatrice, ed il poeta e la poesia. Leopardi dà l’incipit al suo componimento citando il Vangelo di Giovanni: <<E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce>> (Giovanni, III, 19). Le tenebre rappresentano le concezioni spiritualistiche ed ottimistiche della società contemporanea; la luce è la verità sul destino umano: Leopardi polemizza contro la religione, al fine di ricercare il vero. Sulle pendici desolate del Vesuvio, sterminatore, sorge, solitaria, la Ginestra. Nai primi versi ci sono toni sublimi ed orridi; paesaggi idillici, richiamati a contrasto per descrivere ciò che non è idillico: il monte, le strade, le ceneri, la lava. Le terre vicino Napoli, coperte dalla cenere del Vesuvio, furono un tempo fertili campagne, ameni giardini, magnifici palazzi, città famose: il terribile vulcano travolse poi tutto. Emerge così il sentimento del tempo e della natura che tutto consuma, che suscita il sentimento della vanità della vita e degli sforzi umani.
Nei primi versi Leopardi ricorda che su queste terre, ricoperte di lava, sterili, ormai, sorge la Ginestra che dà profumo, abbellisce le strade desolate che un tempo attraversavano le città. Contrappone il paesaggio brullo, che si è creato in seguito all’eruzione del vulcano, ai luoghi che un tempo erano cosparsi di lussuose ville ed attraversati da persone illustri; personifica il Vesuvio come un possente gigante con la bocca di fuoco. La Ginestra, questo fiore gentile che sembra avere pietà, commiserazione delle sofferenze degli altri e che inonda la terra col suo profumo dolcissimo che arriva sino al cielo, consola il deserto. La Ginestra è la pietà verso la sofferenza umana ma è anche la Poesia ed il poeta stesso che nella sua acuta sensibilità si fa voce di chi soffre e riesce con le parole a consolare ed a far giungere al cielo il suo grido di dolore. Leopardi, con tono ironico, condanna la cultura del suo tempo, troppo ottimistica perché esalta la forza dell’uomo, mentre la quotidianità dimostra la vanità della forza umana rispetto alla forza della natura che in un attimo può distruggere tutto, proprio quando l’uomo si sente più sicuro.
Il poeta proietta nel cielo le immagini di desolazione e morte che vede intorno a sé: sottolinea l’incommensurabile distanza tra la Terra e le altre costellazioni che paiono granelli di sabbia, punti luminosi nel vuoto: assurda è la presunzione dell’uomo di considerare se stesso re dell’universo, visto che i colpi della sorte sono sconosciuti. Fa riferimento ai miti religiosi, secondo cui gli dei diedero all’uomo il potere sulla Terra: questi miti furono già derisi dalla filosofia illuministica per poi essere trascurati dagli intellettuali del suo tempo. Il suolo che l’uomo calpesta è segno della sua condizione umile e passeggera; l’età  contemporanea è cresciuta riprendendo gli antichi miti ed è perciò regredita. 
Descrive un quadro di vita quotidiana: ricorda le persone semplici che faticano ogni giorno per costruirsi una casa, un nido, un luogo degli affetti che dia calore e sicurezza. In un attimo tutto questo può essere distrutto: quando si sente tremare la terra e si vede il vulcano riprendere la sua attività, la gente si raduna, afferra ciò che può e fugge per scampare la morte. A distanza di tempo dall’eruzione, le città tornano a fiorire ed a popolarsi; ciò che rimane dalla distruzione diventa oggetto di studio per gli scienziati. La natura non si occupa né si preoccupa di tutto ciò: prosegue secondo i suoi ritmi e le sue leggi, è cieca ed ineluttabile: cambiano i regni, passano le genti, cambiano le lingue, ma la natura non vede, non si preoccuopa di nulla, mentre l’uomo si arroga il vanto dell’eternità, crede di essere il depositario della verità, della forza.
La Ginestra, a differenza delle azioni umane e di quelle distruttrici della natura, ha un moto lento. Essa è la Poesia che si sottrae al ritmo frenetico della vita per coglierne il senso. Certo anche la Ginestra, libera, profumata, pura, consolatoria come la Poesia, è destinata a perire perché sottoposta alla natura, ma morirà con dignità perché non si leverà insensata, presuntuosa verso le stelle, ostentando una forza che non ha; non supplicherà le stelle, la natura o gli dei per risparmiarla e nemmeno morirà nel deserto, nonostante sia un fiore solitario: sarà colta e spargerà il suo profumo tra l’umanità. Essa è il simbolo della nobiltà dell’uomo che non deve essere né ottuso a rincorrere le <<superbe fole>>, intese come religioni, né vantarsi di essere forte come non è e nemmeno essere vile e piangere e disperarsi, perché non serve a nulla: non gli viene risparmiato per questo il suo destino di morte. L’uomo deve accettare con dignità la verità sulla sua esistenza: può solo stringersi con gli altri simili per dare aiuto e lanciare la sfida alla natura, affidata alla Ginestra, ossia alla Poesia.
Questa è la nuova Poesia del vero, perché l’Io è immerso in una realtà scabra; Leopardi non si sente un Titano che sfida il mondo: la sua non è una fuga dal mondo, non è ribellione sociale, ma è raccoglimento interiore che gli consente di calarsi nella cultura del suo tempo e di farsi portavoce della realtà del dolore umano: ha un anelito all’azione. Egli dichiara che non morirà con la vergogna di essersi asservito ad una cultura vacua, sterile; mostra tutta la sua fierezza di volersi dissociare dagli altri intellettuali e l’intenzione di denunciare le storture del presente, anche a rischio di essere dimenticato, nella consapevolezza che anche il presente è destinato all’oblio.
La grandezza dell’uomo sta, per Leopardi, nel riconoscere ed accettare la verità: questo è ciò che insegna La Ginestra. L’uomo non può cambiare il suo destino di morte, ma può accettare questa verità, tenendosi unito agli altri esseri umani, lanciando la sua sfida contro la natura, unico e vero male. Il messaggio positivo che da qui emerge è la <<social catena>>, l’importanza dell’essere uniti tra gli uomini, evitando di farsi guerra, perché in questo modo si aggraverebbe la situazione, l’uomo si procurerebbe altro male. Solo la solidarietà è il conforto ed insieme il tentativo di ribellarsi contro la natura selvaggia. L’uomo nobile è chi, pur essendo nato in miseria o essendo malato, non si nasconde dietro false maschere, ma è chi ha un animo retto e rifiuta di mostrarsi come non è, mentendo a se stesso ed agli altri. (Rosa Maria Ciritella)


LA VITA. Giacomo Leopardi nacque dal conte Monaldo e da Adelaide dei marchesi Antici a Recanati, nell’allora Stato Pontificio, il 29 giugno 1798. Primo di cinque figli, crebbe in un ambiente chiuso e bigotto, in compagnia dei fratelli Carlo e Paolina; dotato di una notevole intelligenza, si formò una vastissima cultura, sotto la guida di suo padre e di istruttori privati: imparò Latino, Greco, Ebraico e si dedicò giovanissimo a lavori filologici ed eruditi. Dal 1815 si impegnò nello studio dei classici, Orazio, Dante, Virgilio ma anche dei moderni, Rousseau, Alfieri, Foscolo, Goethe. L’amicizia con Pietro Giordani, sin dal 1817, contribuì all’apertura culturale di questo periodo.
Nel 1819 attraversò un periodo di grave crisi: il suo fallito tentativo di fuggire dalla casa paterna ed il peggioramento della malattia agli occhi lo gettarono in un profondo sconforto. Nasce in questo anno L’Infinito e successivamente gli Idilli, le Canzoni e lo Zibaldone, un diario intellettuale nel quale c’è la summa di tutto il suo pensiero.
Nel 1822 riuscì finalmente a recarsi a Roma dallo zio Carlo Antici, ma subì una forte delusione rispetto all’idea che si era fatto della città e dei suoi ambienti culturali.
Nel 1823 tornò a Recanati e cominciò la composizione delle Operette Morali, abbandonando la poesia e dedicandosi alla prosa. 
Nel 1825 sottoscrisse un contratto con l’editore Stella di Milano, dove si trasferì, rasserenandosi molto e motivandosi ulteriormente a continuare nella sua incessante opera di scrittura.
Nel settembre del 1826 si trasferì a Bologna, sempre stipendiato da Stella; dal novembre 1826 all'aprile 1827 fu a Recanati; quindi passò di nuovo a Bologna. Nel giugno del 1827 fu a Firenze e nell’inverno 1827-28 a Pisa: qui cominciò una nuova stagione creativa, compone A Silvia e la serie dei Grandi Idilli.
Nel novembre del 1828  problemi di natura economica e di salute lo indussero a tornare a Recanati, dove trascorse, come scrisse, <<sedici mesi di notte orribile>>.
Nel maggio del 1830, grazie agli aiuti economici di Pietro Colletta e di altri collaboratori dell'Antologia di G. P. Viesseux, tornò a Firenze, dove entrò nel vivo del dibattito culturale e dove visse anche l’amore deluso per Fanny Targioni Tozzetti. Qui conobbe Antonio Ranieri, con il quale, dal dicembre 1830, decise di vivere insieme e di mettere in comune le proprie risorse - dal luglio 1831 riuscì a ottenere dalla famiglia un modesto assegno mensile. In questo periodo scrisse una serie di componimenti, il Ciclo di Aspasia.
Nel 1833 si trasferì insieme all’amico Antonio Ranieri a Napoli, allietato dalla sua amicizia: qui trovò un ambiente bigotto, dominato da tendenze idealistiche e spiritualistiche; la sua polemica con questo ambiente si espresse ne La Ginestra o il fiore del deserto, composta nel 1836, un anno prima della sua morte, avvenuta il 14 giugno 1837 a Napoli per <<idropisia>> (pericardite) e per una conseguente crisi asmatica, dopo essere scampato ad un’epidemia di colera. 

BIBLIOGRAFIA: 
Francesco de Sanctis, Leopardi (1885), a cura di Carlo Muscetta e Antonia Perna, Torino, Einaudi, 1960
Federico De Roberto, Giacomo Leopardi, Milano, Treves, 1898; prefazione di Nino Borsellino, Roma, Lucarini, 1987
Benedetto Croce, Leopardi, in Poesia e non poesia, Bari, Laterza, 1923
Sergio Solmi, Studi leopardiani (1967-74), Milano, Adelphi «Opere II», 1987
Walter Binni, La protesta di Leopardi, Firenze: Sansoni, 1973, 1982
Natalino Sapegno, Leopardi, in Storia della letteratura italiana, a cura di Emilio Cecchi e N. Sapegno, vol. L'Ottocento, Milano, Garzanti, 1988
Giorgio Ficara, Il punto di vista della natura. Saggio su Leopardi, Genova, Il melangolo, 1996
Franco Cassano, Oltre il nulla. Saggio su Giacomo Leopardi, Roma-Bari, Laterza, 2003
Gaspare Polizzi, Giacomo Leopardi: la concezione dell'umano tra utopia e disincanto, Mimesis, Milano-Udine, 2011
Giovanni Nencioni, Giacomo Leopardi lessicologo e lessicografo (1981), in Tra grammatica e retorica. Da Dante a Pirandello, Torino, Einaudi, 1983

venerdì 28 febbraio 2020

Il figlio di Gea a 110 anni dalla nascita: JACQUES-YVES COUSTEAU






Calypso-Nikkor
Oceanografo e regista francese, nato a Saint-André de Cubzac l'11 giugno 1910 e morto a Parigi nel 1997. Diplomato all'Ecole Navale nel 1930, ha intrapreso la carriera militare in Marina, conclusa poi nel 1957. Quando era  al comando della base navale di Shangai, vi sperimentò un primo equipaggiamento subacqueo: anni dopo, da civile, assieme ad Emile Gagnan, ideò e realizzò il primo tipo di equipaggiamento per lo scuba diving, l'Aqua-lung, il famoso erogatore monostadio Cousteau-Gagnan "Mistral" il quale aprirà le porte del mondo sommerso a migliaia di appassionati. Nel 1963, assieme a Jean de Wouters, Cousteau sviluppò una macchina fotografica subacquea chiamata "Calypso-Phot", che venne in seguito brevettata dalla Nikon diventando la "Calypso-Nikkor" e quindi la gloriosa "Nikonos".
Nikonos

Prima di lui l’oceano era solo una distesa immensa di acqua. Nulla si sapeva del mondo subacqueo e di come esplorarlo  

L'impresa del batiscafo Trieste che raggiunse la Fossa delle Marianne, nel Pacifico si deve a Jacques Piccard nel 1960 e sollevò clamore internazionale. Cousteau, già da ufficiale di marina, nel 1944 creò il gruppo di ricerche sottomarine della marina militare francese, e dopo un incidente stradale che ne precluse la carriera di pilota aereo della marina, si dedicò anima e corpo al Mare e agli Oceani, con la nave Calypso un ex-dragamine ceduto dal proprietario per una cifra irrisoria e simbolica; diresse campagne talassografiche nel Mar Rosso, lungo le coste occidentali dell'Atlantico e nel Mediterraneo. Come cineasta - lanciato dalle TV importanti ed emergenti - realizzò numerosi film sottomarini (Le monde du silence, 1956 che gli è valso l'Oscar nel 1957; Le monde sans soleil, 1964, Oscar 1965; Le voyage au bout du monde, 1976) e pubblicò opere sulle sue ricerche e campagne oceanografiche. Ebbe a dirigere anche il Museo oceanografico di Monaco (1957-87). Divenne Membro dell'Académie française (1989).




Il figlio Jean-Michel  Cousteau, oceanografo, anch'egli, è il figlio di cotanto genitore.  Al padre e alla sua missione ecologista ha dedicato nel 2011 il film biografico Jacques Cousteau : mio padre, il capitano con interviste a chi da lui è stato influenzato:  il regista James Cameron, lo statista russo Michail Sergeevič Gorbačëv, il fotografo Bob Talbot, e tanti altri grandi personaggi. Si pensi che  Tim Tabron lasciò la avviata tipografia per seguire come un apostolo il Capitano nelle sue missioni intorno al mondo. Tanti ragazzini hanno visionato i documentari di Cousteau con lo stesso interesse mostrato per le imprese astronautiche. Anche il nostro Cousteau italiano, il grande Folco Quilici fu abbagliato dal sorriso di questo minuto comandante francese con il copricapo rosso. Anche io sono stato irrimediabilmente influenzato dal basco rosso e da quel sorriso disarmante. Dalla passione marinara e dalla pesca con fiocina passò a diventare il primo ambientalista ante litteram anche su spinta, inizialmente contrastata,  del figlio Philippe, morto giovane nel 1979 in incidente di volo, durante le riprese di un documentario. La capacità di superare dolori, fallimenti e successi consentì al comandante di dire: 


“Non ho ancora finito il mio lavoro Dobbiamo salvare il pianeta”


Non voleva morire perché c'era ancora tanto da fare, diceva al nipote cardiologo. Ci voleva proteggere. La gente protegge ciò che ama e non possiamo amare ciò che non comprendiamo, diceva. Scienza e passione procedono alla luce della insaziabile curiosità dell'Uomo e nello spirito di dover difendere la biosfera minacciata. Inquinamento ambientale, sovrapesca, distruzioni, test nucleari divennero l'argomento preferito nella sua incessante lotta contro la stoltezza. Allora le alterazioni climatiche erano solo una ipotesi. A 110 anni dalla nascita ancora oggi ci risuona come un mantra 



“Non esiste vita senza acqua” 


Nel 2016 è stato girato da Jerome Salle un film biografico dal nome L'Odissea . Un bel film sulla grandezza e solitudine degli uomini che fanno mestieri più grandi dell'umano. 




Lo scomparso Folco Quilici, il Cousteau italiano. 

Un motivo di più per ricordare quanti hanno lavorato e lavorano nel Suo solco senza saperlo ma che lavorano ed operano per il futuro dei nostri figli e nipoti. (achille miglionico)


Si legga precedente articolo:




domenica 16 febbraio 2020

L’animale più longevo: l’incredibile squalo della Groenlandia ( Greenland shark ) #squali




Il parassita che rende quasi cieco lo squalo della Groenlandia: Ommatokoita elongata. E' un copepode parassita bianco-rosato lungo 30 mm, attaccato alle cornee dello squalo della Groenlandia e dello squalo dormiente del Pacifico.Altro parassita è un piccolo crostaceo giallo Aega arctica che pullula nelle pieghe ventrali. 


"Mi ammalo continuamente di Gea. Ho sostituito il mal d'Africa con il mal d'Islanda & paraggi." 


Avere 400 anni di vita non è da tutti: lo squalo della Groenlandia (Somniosus microcephalus) è il vertebrato più longevo del pianeta. Uno studio pubblicato nel 2016 di Julius Nielsen e Coll. su Science e condotto su 28 esemplari femmine ha stabilito che i pesci delle fredde acque del Nord Atlantico, raggiungono i 5 m di lunghezza, crescono appena 1 cm all'anno e raggiungono la maturità sessuale soltanto a 150 anni di età; l'esemplare più grande, sempre femmina, si è calcolato avesse 392 più o meno 120 anni. Insomma potrebbe essere nato tra il 1508 e il 1748. Proprio la lenta crescita sarebbe uno dei fattori del loro successo evoluzionistico: l'esemplare più longevo di quelli studiati - la maggior parte dei quali finita per sbaglio in reti da pesca - era nato magari nel 1600 ed ha nuotato sotto le carene di alcuni esploratori del tempo. Le analisi sono state effettuate datando al radiocarbonio il cristallino degli animali, formato da proteine che non si rinnovano, e che conservava traccia di eventi radioattivi come i test nucleari degli anni '60. Il precedente vertebrato più longevo sino ad ora era la balena artica.

Nielsen J., Hedeholm R.B. et Al., Eye Lens Radiocarbon reveals centuries of longevity in the Greenland shark (Somniosus microcephalus, Science, 12 Agosto 2016, cool. 353, 6300, pp. 702-704. 



Lo squalo della Groenlandia (Somniosus microcephalus) - Eqalussaq per gli Inuit che lo pescano per olio del fegato ecc. - ha quindi una lunghezza da tre a cinque metri, pesa circa seicento chili, ha il muso corto e tondeggiante, corpo sigariforme, pinne relativamente piccole. Partorisce progenie viva. Le acque fredde sono congeniali, quindi le acque del Nord anche superficiali oppure le acque profonde. Ne sono stati avvistati tra mille e duemila metri di profondità. La vista è scarsa ma l'olfatto e finissimo.  
Anche il lemargo (Somniosus pacificus) del Pacifico è uno squalo della famiglia dei Somniosidae. Dato che vive in acque profonde, dove le temperature sono molto basse, l'olio all'interno del suo fegato non contiene squalene, poiché esso potrebbe solidificarsi dando origine a una densa massa non galleggiante. Al posto dello squalene vi si trovano vari composti a bassa densità, come diacilgliceroli (DAG) e triacilgliceroli (TAG, cioè i nostri trigliceridi), i quali mantengono la loro fluidità anche a temperature bassissime. Inoltre, il lemargo (così come il nostro e molti altri squali di acque profonde) non immagazzina molta urea nella pelle, ma elevate concentrazioni di ossido di trimetilammina (un prodotto di scarto azotato, una neurotossina). Questo aiuta il lemargo a stabilizzare le proteine che compongono i muscoli atti al nuoto e gli ormoni digestivi e riproduttivi contro le elevate pressioni e il freddo intenso delle profondità marine. La presenza di neurotossina rende le carni pericolose e disgustose se non trattate (puzzano di urina) e provoca la sbronza da squalo con allucinazioni, atassia, eloquio incomprensibile, comportamenti bizzarri. Gli islandesi utilizzano lo squalo (hakarl) dopo averlo trattato con bolliture seriate (gettando e rinnovando acqua), essiccazione e persino sotterrandolo per far fermentare le carni. Durante la Prima Guerra Mondiale gli islandesi ne fecero uso per la fame, nella Seconda Guerra invece l'isola divenne base intermedia degli Alleati per l'Europa nella morsa nazista e non si soffrì la fame. 
Noto agli Inuit, l'animale è noto anche ai Lapponi (Sami) del mare (che non sembra lo abbiano mai pescato) ed un promontorio del Finnmark si chiama "dello squalo di Groenlandia (Akkolagnjarga).


LO SQUALO DI GROENLANDIA NELLA LETTERATURA: 

Morten Strøksnes



Nel 2015 esce un libro particolare saggio e romanzo: "Il Libro del Mare o come andare a pesca di uno squalo gigante con un piccolo gommone in un vasto mare" (in originale Havboka, Shark) a firma di Morten Strøksnes 

Nato a Kirkenes in Norvegia nel 1965, è scrittore, storico, giornalista e fotografo. Dopo gli studi a Oslo e a Cambridge ha intrapreso la carriera giornalistica. Ha scritto reportage, saggi, ritratti, recensioni per i principali giornali norvegesi. Morten Strøksnes ha pubblicato quattro libri acclamati dalla critica di reportage letterario e di saggistica narrativa, tra cui Un omicidio in Congo. Il suo lavoro Il libro del mare è stato un caso editoriale per il successo  alla Fiera di Francoforte 2015 ed è in corso di pubblicazione in più di 20 paesi.






"Nelle profondità del mare intorno alle isole Lofoten vive il grande squalo della Groenlandia, un predatore ancestrale nonché il vertebrato più longevo del pianeta, tanto che oggi potremmo imbatterci in un esemplare nato prima che Copernico scoprisse che era la terra a girare intorno al sole. Il libro del mare è la storia vera di due amici, Morten Strøksnes e un eccentrico artista-pescatore, Hugo, che con un piccolo gommone e quattrocento metri di lenza partono alla caccia di questo temuto abitante dei fiordi. Un’avventura sulla scia di Melville e Jules Verne che diventa un caleidoscopico compendio di scienze, storia e poesia dell’universo marino: dalle antiche leggende dei marinai alla vita naturale degli abissi, dalla biologia alla geologia e alle grandi esplorazioni oceaniche, dal Leviatano e i mostri acquatici ritratti da Olao Magno nel ’500 alle specie incredibilmente reali di meduse a trecento stomaci, draghi di mare e calamari «lampeggianti». Un viaggio attraverso il Paleocene e gli odierni allarmi ecologici, che spazia dal Libro di Giona al "Maelström" di Edgar Allan Poe, raccontandoci un mondo che ci rimane in gran parte oscuro e che con i suoi misteri custodisce l’origine della vita. Ma Il libro del mare è anche una riflessione sulla storia naturale dell’uomo, che è arrivato a mappare l’intero globo e a navigare tra le stelle, eppure sembra conservare un’ossessione per il mito del mostro, forse per un atavico istinto predatorio, o per la paura dell’ignoto che ancora oggi il mare ci risveglia." 

Un libro scritto da marinai del Nord che imparano a navigare e pescare sin dalla tenera età, come spesso è accaduto anche nel Mar Mediterraneo. Un pescatore di Trani di sessanta anni mi ha raccontato che all'età di nove anni era sulla barchetta a pescare - da solo - quando il mare montò sotto un grecale-levante poderoso e rientrò remando per diverse ore, stremato. Un bambino. Dal porto nessuno si mosse fuori. Riuscì ad approdare (come?) e quando il padre burbero e violento lo vide, lo rimproverò: "Solo ora ti ritiri?", si limitò a dire. Naturalmente non tutti i genitori sono così nefasti ma in tutti i racconti, belli e buoni,  la conclusione la trae solo il mare, padrone di tante vite. E così apprendiamo di quel vasto gorgo causato da scontro di correnti e maree che è il Maelstrom. IL Moskstraumen  è il più famoso dei maelstrom, quello reso famoso da Poe e Verne. Il Saltstraumen è nei pressi di Bodo, Norland. Lo Storsjott di Vestfjorden è simile, legato alle maree sigiziali. Il Vestfjorden di cui si parla nel libro sarebbe il west fjord, tra l'arcipelago delle Lofoten ed il distretto di Salten. Un tributo di tante barche, tanti orfani e vedove, scrive l'A. Ma anche paesaggi solenni dove non riusciamo ancora a turbare
la natura neanche con rumorosi potenti fuoribordo che sembrano ronzii nel solcare le acque. Lì il mare sembra anche tranquillo per l'aspetto oleoso in quanto "l'acqua si muove densa e pigra, come gelatina galleggiante", "come un bianco metallo liquido". Ma ecco profilarsi all'orizzonte una linea arcuata, magari una onda anomala, magari è lo     Storsjott che creerà scontri tra correnti e valanghe di massa acquosa.  Ci vuole esperienza di anni e fortuna perché, come dice Hugo "le barche sembrano amabili, capaci, solerti, belle - oppure difficili, attaccabrighe, sì, addirittura sleali". Come dice il mio amico Sergio: "al mare si da del Lei...". (achille miglionico)





"La notte dormo con la finestra aperta. C'è solo una brezza leggera nell'aria e il tenue sciabordio del mare contro gli scogli filtra attraverso la membrana del sonno. Sul lato esterno delle Vesteralen hanno una parola tutta loro per indicare il suono del mare che arriva dalla finestra della camera da letto in una mite notte d'estate, lambendo dolcemente la battigia: sjybardurn. " (pag 83, IL LIBRO DEL MARE di 

Morten Strøksnes


INFORMATICA-MENTE: DAL SÈ INTRAPSICHICO AL SÈ RELAZIONALE Tra cibernetica e metapsicologia

  Antonio Damasio, neuroscienziato portoghese *Pubblichiamo, su richiesta di Colleghi e per facilitare la ricerca, questo articolo scientifi...