"Carissimo Achille, eccoti di seguito alcune mie riflessioni sul "fu" teatro di Trani. Mi auguro sia di tuo gradimento per la rivista. Un caro saluto. Mario"
Il dr. Mario Schiralli , già Direttore della Biblioteca di Trani ha aderito alla nostra cordata ideale inviandoci Sue riflessioni sull'argomento. Grazie.
Ogni epoca deve essere gestita e vissuta nel segno della realtà che la caratterizza. Nell’attuale, da una ventina di anni, aleggia una sorta di oscurantismo quasi totale che investe la città su molti fronti: cultura, vita politica, senso civico della gente, memoria di chi ha fatto grande la città e rispetto delle istituzioni e delle opere d’arte.
Un tempo, quando Trani era sede della Sacra regia Udienza, le frequenti rappresentazioni teatrali fecero avvertire la necessità di un teatro stabile. Sorse, così, per iniziativa di privati il Real Teatro S.Ferdinando, eretto nel 1793, soltanto un anno dopo l’inizio dei lavori di costruzione, ed intitolato a Re Ferdinando I che aveva dato il suo assenso con molta sollecitudine. Ma il teatro, dopo intense stagioni di spettacoli e varie vicissitudini, talvolta anche tragiche (incendio ad opera dei francesi nel 1799, terremoto del 1851 e crollo del 1856 durante i lavori di consolidamento) vide la propria fine con la demolizione totale del 1958, a causa dei danneggiamenti riportati durante il bombardamento della fatidica Pasquetta del ’43. Il governo cittadino del tempo aveva agevolato la demolizione dell’immbobile convinto di poterlo poi ricostruire con i soldi che lo Stato avrebbe fatto arrivare a Trani per i danni bellici. Ma non se ne fece nulla.
Certo è che solo negli anni ‘80 fu avvertita nuovamente l’impellente necessità di dotare la città di un nuovo teatro. Si convenne di ricostruirlo nello stesso luogo ove sorgeva l’antico Real Teatro S.Ferdinando.
Ma anche questa “volontà” fu una flebile fiammella che si spense quasi subito. Fu approvato il nuovo progetto, fu effettuato lo scavo per le nuove fondamenta e poi niente più. Motivo: si…scoprì che sotto il vecchio stabile scorreva dell’acqua e che, pertanto, la nuova costruzione per essere innalzata doveva poggiare su micropali piantati nel terreno a mo’ di moderne palafitte che costarono diverse centinaia di milioni di lire, ma che nel 1993 furono sotterrate per riempire lo scavo diventato una cloaca a cielo aperto con grave disappunto degli abitanti dei palazzi circostanti.Nel frattempo città viciniori hanno ristrutturato e aperto i loro teatri, come Bitonto, Altamura, Bisceglie e altri.
Oggi, a distanza di quasi 60 anni da quel fatidico 1958 si vive ancora con l’interrogativo: riavrà mai Trani un suo teatro?
Qualche anno fa in piena campagna elettorale, ci fu chi fece circolare la voce, rivelatasi ben presto una “bufala”, che era già pronto un nuovo progetto per la costruzione imminente di un nuovo teatro, questa volta nell’area dell’attuale Azienda Elettrica (idea già ventilata anni prima e bocciata a priori) e che a firmare l’elaborato sarebbe stata, per dirla con un’espressione alla “Pappagone”, "niente popo’ di meno", che Gae Aulenti, architetta di fama mondiale, alla quale era stata pure attribuito un “amore sviscerato” per la città d’origine (che non era Trani). Come detto, si rivelò una bufala di natura elettoralistica.
Citato dallo storico ed artista A.L. Castellan, membro onorario dell’Accademia delle Belle Arti di Parigi nel 1819 (rimase favorevolmente impressionato dall’eleganza dell’architettura esterna), da Benedetto Croce, oltre che da uno stuolo di storici e critici teatrali, il S.Ferdinando poteva vantare un arredamento interno curato dal monopolitano Ignazio Perricci (1834-1907) uno dei maggiori artisti, decoratori e scultori del tempo che, nel 1856, insieme al collega tranese Biagio Molinaro, autore del sipario, tra i più grandi d’Italia, aveva vinto il concorso per la decorazione della gran sala destinata alla Corte Suprema di Giustizia di Castel Capuano. Sempre con Biagio Molinaro decorò poi la Cattedrale di Troia e in seguito il Teatro Comunale di Trani.
La storia del S. Ferdinando non è costellata solo di rose e fiori. Gli anni dal 1794 al 1900 furono i più prolifici per gli spettacoli e per i tanti artisti di fama che ne calcarono il palcoscenico. Ma anche di sconvolgimenti.
Non c’è alcun dubbio che i fatti del 1799 segnarono l’inizio della decadenza sociale e culturale della città, anche se nel secolo successivo, dopo la restaurazione borbonica, nel 1817, in seguito al trasferimento da Altamura a Trani della Gran Corte Civile e Criminale, la città ebbe l’occasione di rinverdire le sue tradizioni forensi che risalivano agli inizi del XIII secolo. Grandi uomini, poi, come il sen. Antonacci, Ferdinando Lambert, Arcangelo Prologo, Giovanni Beltrani e sindaci lungimiranti portarono una ventata di idee e di cultura che rifecero grande Trani, che Francesco De Sanctis, nel suo memorabile discorso di Trani del 1883, definì “l’Atene delle Puglie”.
Dal 1993, data del primo scioglimento del consiglio comunale (vent’anni dopo è seguito il secondo) in poi Trani è sprofondata sempre più in basso, anche di quella pietra che negli anni 50-60 ne celebrò i fasti.
Oggi si continua a vivere di turismo "mordi e fuggi", di quello "struscio" al porto nei sabati e nelle domeniche d'estate; che chi pensa (stultum est dicere: putabam, locuzione latina per indicare l'inutilità di ipotesi errate e soprattutto di allegare come giustificazione supposizioni erronee) che la nostra città attragga tutti, pecca di quella Illusione che ha reso cieca tanta gente di fronte all'assenza di qualsivoglia politica di sviluppo.
Una classe politica che da più di 20 anni a questa parte tiene in ostaggio la città! Che si ricicla, che passa da uno “credo” all'altro, ma che al suo attivo ha ben poco!
Oggi si continua a vivere, ma solo di ricordi. Come quello legato al glorioso Teatro S. Ferdinando. Il che porta alla mente la strofa di un motivetto in voga nella prima guerra mondiale: “Il general Cadorna / ha scritto alla regina / se vuoi vedere Trieste/ te la mando in cartolina”. Come dire, se vuoi il teatro di Trani, guarda qualche (vecchia) cartolina.
(Mario Schiralli)
Finalmente, Achille, si parla di storia, cultura e speranza! Ti allego un articolo che tempo fa ho scritto per la presentazione di un nuovo movimento politico che aveva riacceso speranza ed entusiasmo facendomi intravedere l'alba di un cambiamento. Lo riadatto qui grazie al sogno cui hai dato vigore postando il contributo del dr Schiralli...
RispondiElimina"Io so che tanti italiani mi considerano pazzo ma l'umanesimo è alla fine". Eravamo nella metà degli anni settanta, e Pasolini con la sua lungimiranza aveva già previsto come il potere consumistico, in misura fortemente più grande rispetto al fascismo, avrebbe avuto la forza di livellare gli italiani, e riconobbe l'alba di una crisi senza precedenti. Ora ci siamo, e non siamo più in grado di distinguere la luce dal buio, la destra dalla sinistra, lo Stato da chi ne indossa solo la maschera, il bene dal male, e in una società senza padri e senza maestri brancoliamo ormai privi di riferimenti, ognuno ripiegato su se stesso nel lamento e nell'attesa che qualcuno ci costruisca intorno una struttura in cui orientarci. Il dio denaro ha stravolto le coscienze, è diventato segno di identificazione e abbiamo cominciato a credere che il valore degli esseri umani coincidesse unicamente con il potere economico, annullando i valori più autentici segni distintivi di un'umanità in estinzione, dando vita a fenomeni legati al profitto del singolo, in una sfera che non sempre rimane nell'ambito della legalità e dell'etica. Ora che il dio denaro si è fatto sfuggente, assistiamo a fenomeni di cannibalismo sociale, e siamo disperati e inermi, senza voce ed incapaci di ascoltare quel filo che ne rimane di chi ci sta di fianco. Ecco un grido, il tuo, Achille, finalmente un grido nella nostra città, bella poche, disorientata come tante, che punta lo sguardo sulle persone, sui luoghi, sulla vita. Il tuo appello è un fascio di luce che taglia il buio di ogni amara rassegnazione e che pone le basi da cui si può intraprendere il volo perché credo che l'arte sia capace di far intravedere il limite che separa il bene dal male, ed una città dove si respira cultura potrebbe essere la culla dove poter ricostruire le nostre coscienze.
Grazie!
Antonietta D'Ambrosio