Walter Bonatti nasce a Bergamo nel 1930. Pochi avrebbero predetto che sarebbe diventato un
leggendario alpinista quel ragazzo nato in pianura, dal volto pulito ed il
corpo scolpito e fremente. Nel 1951 è alla sua prima
grande impresa alpinistica: con Luciano Ghigo scala la parete est del Grand
Capucin nel gruppo del Monte Bianco. Nel 1954 Bonatti è il più giovane
partecipante alla spedizione di Ardito Desio, che porterà Achille Compagnoni e
Lino Lacedelli sulla cima del K2: una impresa che favorì nella opinione pubblica
nazionale ed internazionale la rinascita dell’Italia postbellica. Il K2 ha
mietuto sempre vittime per il carattere estremamente ripido della cima e per la
difficoltà di posizionare utili campi-base.
Eppure quella grande impresa
italiana (che costò la vita alla guida Mario Puchoz e molte dita amputate dal
freddo ad altri partecipanti), nella veridicità, fu contaminata da polemiche e
vicende giudiziarie che, non nuove nella
nostra tradizione italiana, si sono placate solo molti anni più tardi, sancendo
che la versione di Walter Bonatti sui fatti occorsi era la più onesta e
corretta. Dopo quell'impresa comunque nulla sarà più eguale nella vita
dell’alpinista: da allora in poi, dalla scalata del K2, Bonatti preferirà
imprese “solitarie”. « Quello che riportai dal K2 fu soprattutto
un grosso fardello di esperienze personali negative, direi fin troppo crude per
i miei giovani anni. » (Walter Bonatti, Le
mie montagne).
Nel 1955 scala - in solitaria - il pilastro sud-ovest del Petit Dru, nel
massiccio del Monte Bianco: il celebre dado Liebig "il condimento ideale", gli dedicò una figurina dedicata alla "conquista delle grandi cime". Sembra incredibile. Altro che sponsorizzazioni odierne. Appeso alla parete del Dru, lo si vede raggiungere la meta con uno zigzag temerario e le manovre di pendolo: in un punto della parete lancia più volte la sua corda finché questa si impiglia sulle rocce, consentendogli l'ascesa. Mi sono sempre chiesto come facciano questi eroi quando si bloccano o devono tornare indietro.
Nell’inverno del 1965 scala in solitaria la parete
nord del Cervino aprendo una nuova via. È la sua ultima impresa di alpinista
estremo. Da allora in poi si dedicherà unicamente all’esplorazione e
all’avventura come inviato del settimanale Epoca,
settimanale famoso – lo diciamo per i
più giovani – edito da Mondadori nel periodo 1950-1997.
Non a caso il Catalogo in vendita sulla Mostra lo ritrae come su questo numero di Epoca.
Nel 1979 Bonatti lascia
Epoca. Dagli anni Sessanta pubblica
tanti volumi e fotoreportage che narrano le sue avventure in ogni luogo che
fosse poco o nulla calpestato dall’Uomo. Muore a Roma il 13 settembre 2011,
all’età di 81 anni, consumato da un fulmineo carcinoma del pancreas. Negli ultimi viaggi
lo aveva seguito l’attrice Rossana Podestà, divenuta, dopo un incontro
semifortuito, sua compagna di vita. Balzò al (dis)onore della cronaca il fatto
che alla Podestà non era stato concesso dal personale ospedaliero di assistere
il compagno, in quanto non “moglie”. Lei è deceduta 2 anni dopo la morte del
compagno.
Bonatti imparò a
fotografare per documentarsi prima delle scalate e per documentare le imprese
alpinistiche. Poi si innammorò della fotografia naturalistica. Alessandra Mauro e Angelo
Ponta scrivono nel Catalogo della mostra: “Molte
tra le sue folgoranti immagini sono grandiosi ‘autoritratti ambientati’ e i
paesaggi in cui si muove sono insieme luoghi di contemplazione di scoperta.
Bonatti si pone davanti e dietro l’obiettivo: in un modo del tutto originale è
in grado di rappresentare la sua fatica e la gioia per una scoperta, ma al
tempo stesso sa cogliere le geometrie e le vastità degli orizzonti che va
esplorando.”
Negli anni dell’alpinismo Bonatti usò fino al 1954 una
macchina Voigtlander; fino al 1965 una modesta Ferrania Condoretta: una camera compatta (non reflex! a mirino galileiano), risalente come modello al 1951, con obiettivo fisso Terog f4/40 mm diaframmabile sino a f/22, otturatore Aplon con posa B, 1 sec, 1/2, 1/5, 1/10, 1/25, 1/50, 1/100, 1/300; la messa a fuoco da 1m ad infinito si attuava ruotando la lente anteriore. Il formato della pellicola era 24x36 mm cioè il formato 135 che è stato il formato Leica adottato da ogni reflex (Nikon, Canon ecc.) sino all'avvento del digitale.
Dai
fotoreportage con Epoca si dotò di Olympus (è passato dalla Pen? la famosa reflex M-1, poi OM-1, è solo del 1972-73) e Nikon (la famosa Nikon F data dal 1959). Immagino che scelse via via sistemi più
avanzati anche per poter scattare foto a distanza con filo e radiocomandi.
L’esposizione dal titolo Walter Bonatti. Fotografie dai
grandi spazi, con l’ausilio di video, di documenti inediti e di un
allestimento particolarmente coinvolgente, ripercorre il racconto visivo, le vicende
esistenziali e le avventure dell’alpinista ed esploratore italiano. La mostra è
all’interno del fascinoso Palazzo della
Ragione Fotografia a Milano e va dal
13 novembre fino all’8 marzo 2015.
Le immagini in mostra testimoniano oltre 30 anni di viaggi.
Scatti unici nel loro genere che ritraggono un uomo in scenari da “infinito” leopardiano.
“È difficile separare
il ricordo di Walter Bonatti da quello delle sue fotografie – dicono gli
organizzatori della mostra che prelude
alla Expo 2015 - Ed è sorprendente scoprire quanto la sua figura e le sue imprese siano
radicate nella memoria di un pubblico tanto differenziato per età e interessi.
La persistente popolarità di Bonatti ha più di una spiegazione. Imparò a
fotografare e a scrivere le proprie avventure con la stessa dedizione con cui
si impadronì dei segreti della montagna: alpinista estremo, spesso solitario,
ha conquistato l’ammirazione degli uomini e il cuore delle donne, affascinando
nello stesso tempo l’immaginario dei più giovani.
Il mestiere di fotografo per grandi riviste
italiane, soprattutto per Epoca, lo portò a cercare di trasmettere la
conoscenza….. Molte tra le sue folgoranti immagini sono grandiosi “autoritratti
ambientati” e i paesaggi in cui si muove sono insieme luoghi di contemplazione
di scoperta. Bonatti si pone davanti e dietro l’obiettivo: in un modo del tutto
originale è in grado di rappresentare la sua fatica e la gioia per una
scoperta, ma al tempo stesso sa cogliere le geometrie e le vastità degli
orizzonti che va esplorando.”
Quando ero ragazzo mi affascinavano di lui le foto su Epoca
scattate all’isola di Komodo con gli enormi varani komodensi sullo sfondo:
allora nessuno aveva tentato un avvicinamento del genere. Quella foto non l’ho
trovata alla mostra ma ce l’ho stampata nella memoria : avrebbe condizionato la
mia indole di viaggiatore. Grande l'Ulisse dentro di lui e lo ha trasmesso.
Personalmente della bella mostra mi ha colpito la poco credibile attrezzatura di tante imprese al limite dell’umano: scarponi tipo "anfibi" militari, corde
completamente atecnologiche, come in uso negli anni Cinquanta: sembra
impossibile che corde così siano state adoperate su ghiacciai o per inerpicarsi sull'impossibile. Sono più
sicure le cose acquistabili a un centro commerciale sportivo. Mi ha colpito il regalo fattogli dopo la celebrità raggiunta da un negoziante: una semplice macchina da scrivere Everest (un caso?) ; dalle macchine successive ci sarà anche la scritta "Everest K2".
E
le foto? La foto che riporto è stata scattata all’Isola di Pasqua (1969) e mi
ha colpito perché mai io – nel mio soggiorno a RapaNui – sarei potuto salire su
quella rupe, di basalto vacuolare friabile e umida:
ma lui si è arrampicato in
posizioni assurde per esempio risalendo La
Coda di Canguro, una crepa immane di oltre 150 m ad Ayers Rock (1969) o
tuffandosi a più riprese dalle rocce delle cascate Murchison del Nilo-Vittoria
in acque pericolose o nelle vicinanze di un ippopotamo, animale assai killer in
quanto fortemente territoriale. Eppure Bonatti non era un matto e andava via sempre per tornare. E raccontare. (achille miglionico)
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