lunedì 24 novembre 2014

Tribute to Walter Bonatti: la Mostra di Milano in previsione dell'EXPO

Walter Bonatti nasce a Bergamo nel 1930. Pochi avrebbero predetto che sarebbe diventato un leggendario alpinista quel ragazzo nato in pianura, dal volto pulito ed il corpo scolpito e fremente.  Nel 1951 è alla sua prima grande impresa alpinistica: con Luciano Ghigo scala la parete est del Grand Capucin nel gruppo del Monte Bianco. Nel 1954 Bonatti è il più giovane partecipante alla spedizione di Ardito Desio, che porterà Achille Compagnoni e Lino Lacedelli sulla cima del K2: una impresa che favorì nella opinione pubblica nazionale ed internazionale la rinascita dell’Italia postbellica. Il K2 ha mietuto sempre vittime per il carattere estremamente ripido della cima e per la difficoltà di posizionare utili campi-base. 

Eppure quella grande impresa italiana (che costò la vita alla guida Mario Puchoz e molte dita amputate dal freddo ad altri partecipanti), nella veridicità, fu contaminata da polemiche e vicende giudiziarie che, non  nuove nella nostra tradizione italiana, si sono placate solo molti anni più tardi, sancendo che la versione di Walter Bonatti sui fatti occorsi era la più onesta e corretta. Dopo quell'impresa comunque nulla sarà più eguale nella vita dell’alpinista: da allora in poi, dalla scalata del K2, Bonatti preferirà imprese “solitarie”.  « Quello che riportai dal K2 fu soprattutto un grosso fardello di esperienze personali negative, direi fin troppo crude per i miei giovani anni. » (Walter Bonatti, Le mie montagne). 
Nel 1955 scala - in solitaria -   il pilastro sud-ovest del Petit Dru, nel massiccio del Monte Bianco: il celebre dado Liebig "il condimento ideale", gli dedicò una figurina dedicata alla "conquista delle grandi cime". Sembra incredibile. Altro che sponsorizzazioni odierne. Appeso alla parete del Dru, lo si vede raggiungere la meta con uno zigzag temerario e le manovre di pendolo: in un punto della parete lancia più volte la sua corda finché questa si impiglia sulle rocce, consentendogli l'ascesa. Mi sono sempre chiesto come facciano questi eroi quando si bloccano o devono tornare indietro.
Nell’inverno del 1965 scala in solitaria la parete nord del Cervino aprendo una nuova via. È la sua ultima impresa di alpinista estremo. Da allora in poi si dedicherà unicamente all’esplorazione e all’avventura come inviato del settimanale Epoca, settimanale  famoso – lo diciamo per i più giovani – edito da Mondadori nel periodo 1950-1997. 


Non a caso il Catalogo in vendita sulla Mostra lo ritrae come su questo numero di Epoca.
Nel 1979 Bonatti lascia Epoca. Dagli anni Sessanta pubblica tanti volumi e fotoreportage che narrano le sue avventure in ogni luogo che fosse poco o nulla calpestato dall’Uomo. Muore a Roma il 13 settembre 2011, all’età di 81 anni, consumato da un fulmineo carcinoma del pancreas. Negli ultimi viaggi lo aveva seguito l’attrice Rossana Podestà, divenuta, dopo un incontro semifortuito, sua compagna di vita. Balzò al (dis)onore della cronaca il fatto che alla Podestà non era stato concesso dal personale ospedaliero di assistere il compagno, in quanto non “moglie”. Lei è deceduta 2 anni dopo la morte del compagno.
Bonatti imparò a fotografare per documentarsi prima delle scalate e per documentare le imprese alpinistiche. Poi si innammorò della fotografia naturalistica. Alessandra Mauro e Angelo Ponta scrivono nel Catalogo della mostra: “Molte tra le sue folgoranti immagini sono grandiosi ‘autoritratti ambientati’ e i paesaggi in cui si muove sono insieme luoghi di contemplazione di scoperta. Bonatti si pone davanti e dietro l’obiettivo: in un modo del tutto originale è in grado di rappresentare la sua fatica e la gioia per una scoperta, ma al tempo stesso sa cogliere le geometrie e le vastità degli orizzonti che va esplorando.”
Negli anni dell’alpinismo Bonatti usò fino al 1954 una macchina Voigtlander; fino al 1965 una modesta Ferrania Condoretta: una camera compatta (non reflex! a mirino galileiano), risalente come modello al 1951, con obiettivo fisso  Terog f4/40 mm diaframmabile sino a f/22, otturatore Aplon con posa B, 1 sec, 1/2, 1/5, 1/10, 1/25, 1/50, 1/100, 1/300; la messa a fuoco da 1m ad infinito si attuava ruotando la lente anteriore. Il formato della pellicola era 24x36 mm cioè il formato 135 che è stato il formato Leica adottato da ogni reflex (Nikon, Canon ecc.) sino all'avvento del digitale.



Dai fotoreportage con Epoca si dotò di Olympus (è passato dalla Pen? la famosa reflex M-1, poi OM-1, è solo del 1972-73) e Nikon (la famosa Nikon F data dal 1959). Immagino che scelse via via sistemi più avanzati anche per poter scattare foto a distanza con filo e radiocomandi.
L’esposizione dal titolo Walter Bonatti. Fotografie dai grandi spazi, con l’ausilio di video, di documenti inediti e di un allestimento particolarmente coinvolgente, ripercorre il racconto visivo, le vicende esistenziali e le avventure dell’alpinista ed esploratore italiano. La mostra è all’interno del fascinoso Palazzo della Ragione Fotografia a Milano e va dal 13 novembre fino all’8 marzo 2015.
Le immagini in mostra testimoniano oltre 30 anni di viaggi. Scatti unici nel loro genere che ritraggono un uomo in scenari  da “infinito” leopardiano.

“È difficile separare il ricordo di Walter Bonatti da quello delle sue fotografie – dicono gli organizzatori della mostra  che prelude alla Expo 2015 -  Ed è sorprendente scoprire quanto la sua figura e le sue imprese siano radicate nella memoria di un pubblico tanto differenziato per età e interessi. La persistente popolarità di Bonatti ha più di una spiegazione. Imparò a fotografare e a scrivere le proprie avventure con la stessa dedizione con cui si impadronì dei segreti della montagna: alpinista estremo, spesso solitario, ha conquistato l’ammirazione degli uomini e il cuore delle donne, affascinando nello stesso tempo l’immaginario dei più giovani.
 Il mestiere di fotografo per grandi riviste italiane, soprattutto per Epoca, lo portò a cercare di trasmettere la conoscenza….. Molte tra le sue folgoranti immagini sono grandiosi “autoritratti ambientati” e i paesaggi in cui si muove sono insieme luoghi di contemplazione di scoperta. Bonatti si pone davanti e dietro l’obiettivo: in un modo del tutto originale è in grado di rappresentare la sua fatica e la gioia per una scoperta, ma al tempo stesso sa cogliere le geometrie e le vastità degli orizzonti che va esplorando.”
Quando ero ragazzo mi affascinavano di lui le foto su Epoca scattate all’isola di Komodo con gli enormi varani komodensi sullo sfondo: allora nessuno aveva tentato un avvicinamento del genere. Quella foto non l’ho trovata alla mostra ma ce l’ho stampata nella memoria : avrebbe condizionato la mia indole di viaggiatore. Grande l'Ulisse dentro di lui e lo ha trasmesso.

Personalmente della bella mostra mi ha colpito la poco credibile attrezzatura di tante imprese al limite dell’umano: scarponi tipo "anfibi" militari, corde completamente atecnologiche, come in uso negli anni Cinquanta: sembra impossibile che corde così siano state adoperate su ghiacciai o per inerpicarsi sull'impossibile. Sono più sicure le cose acquistabili a un centro commerciale sportivo. Mi ha colpito il regalo fattogli dopo la celebrità raggiunta da un negoziante: una semplice macchina da scrivere Everest (un caso?) ; dalle macchine successive ci sarà anche la scritta "Everest K2".
 E le foto? La foto che riporto è stata scattata all’Isola di Pasqua (1969) e mi ha colpito perché mai io – nel mio soggiorno a RapaNui – sarei potuto salire su quella rupe, di basalto vacuolare friabile e umida: 

ma lui si è arrampicato in posizioni assurde per esempio risalendo La Coda di Canguro, una crepa immane di oltre 150 m ad Ayers Rock (1969) o tuffandosi a più riprese dalle rocce delle cascate Murchison del Nilo-Vittoria in acque pericolose o nelle vicinanze di un ippopotamo, animale assai killer in quanto fortemente territoriale. Eppure Bonatti non era un matto e andava via  sempre per tornare. E raccontare. (achille miglionico)

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