martedì 25 novembre 2014

Due giorni, una notte - recensione









Il film è tutto nell'orizzonte grigio adagiato sul blu di due occhi, nel mare di lacrime che scende, negli abissi bui dell'animo da cui si prova ad emergere, e timide risalite a galla si riconoscono in un sorriso che trema o nell'intonazione di una canzone rock che risuona da una voce strozzata.
È Sandra, magneticamente interpretata da Marion Cotillard, che lotta per venir fuori dalla negazione di se stessa, dalla malattia che conduce in un fondo che non conosce raggi di sole, e trascina anche noi che assistiamo impotenti. Nel momento in cui comincia a muovere i primi passi verso la guarigione, quasi pronta a tornare al suo lavoro di operaia in una piccola azienda che produce pannelli solari, viene informata dell'iniziativa del datore di lavoro finalizzata al suo licenziamento, che ha già indetto un referendum nel quale chiede ai suoi dipendenti di scegliere tra un bonus di 1000 negando il reintegro di Sandra a lavoro, o votare perché rimanga, dovendo però rinunciare al bonus. A Sandra viene concesso di ripetere la votazione in cui sia garantita la segretezza del voto, ed ha soltanto due giorni e una notte per convincere i suoi colleghi a rinunciare al bonus e restituirle dignità ed identità. Il nucleo della sua famiglia la sostiene, attraverso l'amore di Manu (Fabrizio Rongione) che colma ogni vuoto dei suoi occhi, e la collaborazione di Maxime ed Estelle, i suoi bambini che si lanciano nella ricerca degli indirizzi dei colleghi. Nel Belgio dei fratelli Dardenne, il loro sguardo si apre ad uno spaccato di vita fatta di stenti, lasciandoci intravedere il volto una classe operaia multirazziale che, sotto schiaffo di un ricatto che va oltre ogni etica, risponde con commossa solidarietà o con estrema violenza, con la promessa di chi è stato educato al bene del prossimo o con la vigliaccheria di chi si nega al dono. I fratelli Dardenne hanno lasciato la scena ai  primi piani di un'impeccabile Mariot Cotillard senza aggiungere sfondi o cornici in modo che fossero il suo viso e le sue spalle curve a parlarci, e sarebbe potuto essere un ottimo film se il loro sguardo non si fosse assopito per alcuni lustri, richiamando alla luce una realtà che è stata vera negli anni ottanta, quando le differenze tra la  classe operaia e la classe alto borghese dei piccoli imprenditori era tale da far intravedere una distanza in termini di potere economico, ma non è vera nell'Europa di oggi, in un momento in cui le piccole imprese sono le prime vittime di banche, pressioni fiscali e mercati sempre più spenti e dove si assiste ad una  vera guerra tra nuovi poveri. L'epilogo ci solleva lasciandoci scorgere uno spiraglio che conduce verso la rinascita individuale, ma che potrebbe estendersi al sociale se si riconoscesse nell'inclinazione al dono il vero senso dell'esistenza.

Antonietta D'Ambrosio




1 commento:

  1. Ancora una volta puntuale e lucida la recensione di Antonietta, che coglie in pieno il “gap” nel quale questo film dei fratelli Dardenne finisce per incepparsi, non riuscendo così a spiccare il volo nel mondo di una rappresentazione utile a provocare emozioni. Il racconto della depressione della protagonista appare scontato e fatto in buona parte di luoghi comuni, senza consentire allo spettatore di entrare realmente nel vortice nero di una malattia così straziante ed impalpabile, perché corrode l’anima. Così il tentativo di rappresentare le sfaccettature dell’umanità negli incontri dell’errante Sandra con i suoi colleghi ha la chiara finalità –come dice Antonietta- di puntare l’attenzione su uno spaccato di vita di una classe operaia multirazziale che, per varie ragioni legate alla difficoltà di relazionarsi in un quotidiano segnato dalla crisi economica, reagisce in maniera diversa alla richiesta di solidarietà da parte di una donna che racconta, sempre sommessamente, del dramma che sta vivendo. L’obiettivo di tale racconto, però, rimane incompiuto e sotto molti aspetti manieristico, forse perché anche in questo caso il film si ferma in superficie, tratteggia con pennellate solo di bianco e nero quella umanità che vuole rappresentare, senza coglierne le reali sfumature.

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