lunedì 17 novembre 2014

Salgado & Il sale della terra



«Siamo animali molto feroci, animali terribili» commenta amaro il settantenne fotografo






Se la parola ha in sé la magia di dar forma a stati d'animo e sentimenti, il potere di catturare il tempo e dilatarlo, di rendere eterno un momento, il Cinema che si esprime in gran parte attraverso le immagini, per mano di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado, con Il sale della terra compie il miracolo, e rendendo omaggio a chi ha saputo scrivere sulla luce, ci offre il ritratto artistico ed umano di Sebastião Salgado, il fotografo brasiliano che ha saputo trasformare l'immagine in poesia. La forza della sua fotografia è tale che ogni parola potrebbe essere un insulto al cospetto dell'immensità; scrivere di questo film è come profanare qualcosa di sacro, perché viverlo è un'esperienza quasi mistica, è un percorso attraverso il dolore, è guardare con un occhio cosmico la vita e la morte in una dimensione che va oltre la prospettiva di ognuno di noi, è saper vedere attraverso lo sguardo di un bambino adagiato in una bara, spento ma ancora vibrante, cosa c'è al di là di quel limite oscuro, è l'attimo di felicità nel sorriso e nella complicità di due amici su un barcone tra l'orrore di una migrazione di massa, è l'uomo nella realtà di ogni continente che si misura con il suo ambiente e col tempo, che accelera il passo o lo ferma. Wim Wenders come Omero e Juliano Ribeiro Salgado come Telemaco, attraverso la sua arte ed ascoltando la sua stessa voce, sono testimoni dell'infinito viaggio di Sebastião Salgado, di cui ne seguono la partenza dalla terra di origine, e spingendosi verso le foreste tropicali dell'Amazzonia, passano dall'Indonesia alla Nuova Guinea, dal Congo, dalla Jugoslavia al Kuwait, attraversano i ghiacciai dell'Antartide, indugiano in Rwanda di cui ogni fotografia è il nero sul bianco dell'orrore del genere umano sull'uomo, è lo spettacolo di come l'uomo operi alla distruzione del suo stesso genere, si fermano su guerre e schiavitù, sono occhi nei suoi occhi perché "una foto non parla solo di chi è ritratto, ma anche di chi ritrae". Ed attraverso i suoi occhi ci fermiamo tutti sull'evoluzione di ogni specie animale  scoprendo che siamo cellule di una stessa cellula, ospiti di una meravigliosa terra che non sempre siamo in grado di amare e l'orrore ci scava l'anima fino a consumarla ed un magone di impotenza e sfiducia nel nostro genere ci pervade finché Salgado stesso ci conduce verso la cura con il suo ritorno alle origini, dove la vita irrompe e ci circonda. La circolarità del suo viaggio fino al recupero dei valori di origine ci regalano conoscenza, consapevolezza, nuova fiducia, e la riconquista definitiva di ogni valore che ci lega alla vita. L'impegno nella riforestazione di una terra resa brulla dalla siccità è la sfida della luce dell'esistenza  sulle tenebre della morte, è il senso dell'eternità. Sebastião Salgado come Ulisse torna dal suo Telemaco, nella sua terra e dalla sua donna che ha sostenuto il suo viaggio tessendo la tela della sua rinascita. L'umanità è Il sale della terra ed è anche un'opera grandiosa, è arte che si concede all'arte, e scava l'anima fino a levigarla e renderla migliore. 

Antonietta D'Ambrosio




1 commento:

  1. Sublime la recensione come sublime è il film.
    Un viaggio autentico nelle emozioni della Vita, emozioni che SALGADO è riuscito a donare con la sua fotografia, la quale indubbiamente fonde la forza della poesia con la forza della testimonianza di ciò che non viene raccontato e rischia di rimanere nell'ombra dell'oblio dei popoli occidentali.
    Il film evidenzia in maniera pulita e coinvolgente come la fotografia di SALGADO sia espressione di capacità di denunziare, urlare emozioni, cogliere l'attimo decisivo di ciò che "è" e non solo "appare".
    E il fotografo rimane a sua volta coinvolto da ciò che testimonia, perché si ammala anche lui ma nella "anima".
    La capacità artistica di SALGADO, come quella di altri grandi fotografi della nostra epoca, risponde al concetto di fotografia come "mezzo di comprensione che non può essere separato dagli altri mezzi di espressione visiva" (Henri Cartier Bresson, in L'immaginario dal vero).

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