domenica 13 ottobre 2013

TU PUZZI DA ROMENA : IL RISO ABBONDA SULLA BOCCA DEI BULLI


In questi ultimi anni la violenza
è diventata un codice
espressivo che vede,
purtroppo, protagonisti
'ragazzi per bene' che
rapinano per noia, 'baby gang'
che spadroneggiano nelle città
e giovani turbolenti
che nelle scuole si
trasformano in 'bulli', 'vandali'
o negli stadi in 'teppisti'.(L’Osservatorio Nazionale
sulla Violenza Scolastica)





“Cara, siamo noi i tuoi compagni di classe. Nell’attesa di riaverti, qui sentiamo il bisogno di parlarti…”. Iniziava così la lettera di scuse e di giustificazioni scritta dai compagni di classe alla compagna di classe romena di 13 anni: la ragazzina si era gettata dalla finestra di casa piuttosto che andare a scuola ove la dileggiavano. Continuavano a dirle: «Tu puzzi da romena». È accaduto due  anni fa a Solesino, nel Padovano.

La cronaca italiana riporta da anni atti di violenza scolastica, di bullismo (anche al femminile) ed ora anche di cyberbullismo. Con le nuove tecnologie sembra ancora più facile colpire i bersagli. E’ in aumento anche il fenomeno del bullismo tutto al femminile tramite web.  Nella cittadina padovana, due anni fa, hanno cominciato a ricoprire la ragazzina di parole: “Tu puzzi, da quanto non ti lavi?” L’hanno buttata per terra e pestata e non solo nel mondo virtuale. Nel mondo reale. La frase che la ragazzina riferiva ai giornali e in tv era: “Non ritorno in quella scuola, per questo motivo il mio ragazzo mi ha anche lasciata.  Ora tutti ridono di me...”          Il caso Solesino, se come sembra è vero, rappresenta un esempio classico di bullismo e violenza a scuola: un gruppo di ragazzine se la prende con un elemento “diverso” e lo rende oggetto di denigrazione, insulti e prevaricazione. L’aggravante è che alcuni compagni hanno girato un video, senza dunque intervenire, “violando” ulteriormente la vittima nel momento in cui hanno messo in Rete quel filmato. Perché avrebbero agito così quegli adolescenti? Il vero problema è che alla base c’è una grande superficialità. Denunciare talora sembra inutile. A quell’età i persecutori, i bulli non sono neanche imputabili. Né questi atti di violenza possono essere risolti  solo tra insegnanti, presidi e genitori. Occorre, al di là della denuncia, anche favorire una cultura solidale e partecipata, privi di infingimenti, non “omertosa”, in modo da produrre una presa di coscienza negli adulti, negli insegnanti, negli stessi ragazzini. I comportamenti violenti, verbali ed extraverbali, fisici vanno prevenuti, evitati sul nascere. Senza lasciar passare neppure una parola offensiva. Evitando in ogni modo che la vittima si senta isolata. Platone scriveva nell’Apologia di Socrate:Il più gran bene per l’uomo è interrogarsi su se stesso e indegna di essere vissuta è una vita senza tale attività”. Questo vale ovviamente per tutti gli uomini, ma i veri protagonisti per una cultura solidale sono soprattutto gli adolescenti che cercano di identificarsi, sono loro i cercatori di verità. E’ in questa fase d’età che si lanciano i grandi progetti della vita, e un giovane senza ideali, senza slanci è un giovane senza futuro. Purtroppo le relazioni moltiplicate in vetrine come social network privilegiano visioni egocentriche basate sull’apparire mass-mediato e spesso nella moltitudine di canali di comunicazione (smartphone, pc, cellulari ecc.) si smarrisce facilmente senza guide e referenti il senso dell’Altro, il rispetto dell’Altro. Anche i programmi televisivi non sono di grande esempio in quanto al riconoscimento degli Altri ed al rispetto reciproco. Vivere il mondo “reale”, limitando i rapporti virtuali, favorisce la socialità sperimentata. L’associazionismo, lo sport, il volontariato attivo potrebbero essere un’alternativa alla tendenza narcisistica, alla violenza sine materia (violenza per la violenza, violenza per noia ecc.) e lo è per una significativa percentuale di giovani che fanno meno clamore mediatico. Educare alla sensibilità e al riconoscimento dell’Altro, all’intelligenza orientata al sociale offre la possibilità di entrare in se stessi, di conoscersi e di costruire il futuro condiviso.
 “Non c’è felicità se non è condivisa”. Il processo di identificazione per un giovane passa necessariamente attraverso la relazione nel mondo reale. Soprattutto lo stare insieme è necessario per la nostra okness, per sviluppare il senso comune di appartenenza ad una civiltà. Quando un’adolescente vive una cosa bella, fatta di convivialità, di non-violenza, come il volontariato deve testimoniarla e raccontarla, diffonderla. Oggi serve fare notizia in positivo. Occorrono  testimonianze  di centri aggregativi. Occorrono figure educative  e strutture che mirano alla persona, all’ascolto personale per la realizzazione dei progetti di vita. Il ruolo degli educatori diventa fondamentale. Ciò che è necessario rimane quindi educare alle relazioni, alla non violenza e creare per i giovani spazi aggregativi educativi ma non noiosi. Perché cultura e divertimento possono coesistere. (sabina  pistillo)

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