In questi ultimi anni la violenza
è diventata un codice
espressivo che vede,
purtroppo, protagonisti
'ragazzi per bene' che
rapinano per noia, 'baby gang'
che spadroneggiano nelle città
e giovani turbolenti
che nelle scuole si
trasformano in 'bulli', 'vandali'
o negli stadi in 'teppisti'.(L’Osservatorio Nazionale
sulla Violenza Scolastica)
“Cara, siamo noi i tuoi compagni di classe. Nell’attesa di
riaverti, qui sentiamo il bisogno di parlarti…”. Iniziava così la lettera
di scuse e di giustificazioni scritta dai compagni di classe alla compagna di
classe romena di 13 anni: la ragazzina si era gettata dalla finestra di casa
piuttosto che andare a scuola ove la dileggiavano. Continuavano a dirle: «Tu
puzzi da romena». È accaduto due
anni fa a Solesino, nel Padovano.
La cronaca italiana riporta
da anni atti di violenza scolastica, di bullismo (anche al femminile) ed ora
anche di cyberbullismo. Con le nuove
tecnologie sembra ancora più facile colpire i bersagli. E’ in aumento anche il
fenomeno del bullismo tutto al femminile tramite web. Nella cittadina padovana, due anni fa, hanno
cominciato a ricoprire la ragazzina di parole: “Tu puzzi, da quanto non ti lavi?” L’hanno buttata per terra e
pestata e non solo nel mondo virtuale. Nel mondo reale. La frase che la
ragazzina riferiva ai giornali e in tv era: “Non
ritorno in quella scuola, per questo motivo il mio ragazzo mi ha anche
lasciata. Ora tutti ridono di me...” Il caso Solesino, se come sembra è vero, rappresenta un
esempio classico di bullismo e violenza a scuola: un gruppo di ragazzine se la
prende con un elemento “diverso” e lo rende oggetto di denigrazione, insulti e
prevaricazione. L’aggravante è che alcuni compagni hanno girato un video, senza
dunque intervenire, “violando” ulteriormente la vittima nel momento in cui hanno
messo in Rete quel filmato. Perché avrebbero agito così quegli adolescenti? Il
vero problema è che alla base c’è una grande superficialità. Denunciare talora
sembra inutile. A quell’età i persecutori, i bulli non sono neanche imputabili.
Né questi atti di violenza possono essere risolti solo tra insegnanti, presidi e genitori. Occorre,
al di là della denuncia, anche favorire una cultura solidale e partecipata, privi
di infingimenti, non “omertosa”, in modo da produrre una presa di coscienza
negli adulti, negli insegnanti, negli stessi ragazzini. I comportamenti
violenti, verbali ed extraverbali, fisici vanno prevenuti, evitati sul nascere.
Senza lasciar passare neppure una parola offensiva. Evitando in ogni modo che
la vittima si senta isolata. Platone scriveva nell’Apologia di Socrate: “Il
più gran bene per l’uomo è interrogarsi su se stesso e indegna di essere
vissuta è una vita senza tale attività”. Questo vale ovviamente per tutti gli uomini,
ma i veri protagonisti per una cultura solidale sono soprattutto gli
adolescenti che cercano di identificarsi, sono loro i cercatori di verità. E’
in questa fase d’età che si lanciano i grandi progetti della vita, e un giovane
senza ideali, senza slanci è un giovane senza futuro. Purtroppo le relazioni
moltiplicate in vetrine come social network privilegiano visioni egocentriche
basate sull’apparire mass-mediato e spesso nella moltitudine di canali di
comunicazione (smartphone, pc, cellulari ecc.) si smarrisce facilmente senza
guide e referenti il senso dell’Altro, il rispetto dell’Altro. Anche i
programmi televisivi non sono di grande esempio in quanto al riconoscimento
degli Altri ed al rispetto reciproco. Vivere il mondo “reale”, limitando i
rapporti virtuali, favorisce la socialità sperimentata. L’associazionismo, lo
sport, il volontariato attivo potrebbero essere un’alternativa alla tendenza
narcisistica, alla violenza sine materia
(violenza per la violenza, violenza per noia ecc.) e lo è per una significativa
percentuale di giovani che fanno meno clamore mediatico. Educare alla
sensibilità e al riconoscimento dell’Altro, all’intelligenza orientata al sociale
offre la possibilità di entrare in se stessi, di conoscersi e di costruire il
futuro condiviso.
“Non c’è
felicità se non è condivisa”. Il processo di identificazione per un giovane
passa necessariamente attraverso la relazione nel mondo reale. Soprattutto lo
stare insieme è necessario per la nostra okness,
per sviluppare il senso comune di appartenenza ad una civiltà. Quando un’adolescente
vive una cosa bella, fatta di convivialità, di non-violenza, come il
volontariato deve testimoniarla e raccontarla, diffonderla. Oggi serve fare
notizia in positivo. Occorrono testimonianze di centri aggregativi. Occorrono figure
educative e strutture che mirano alla
persona, all’ascolto personale per la realizzazione dei progetti di vita. Il
ruolo degli educatori diventa fondamentale. Ciò che è necessario rimane quindi
educare alle relazioni, alla non violenza e creare per i giovani spazi
aggregativi educativi ma non noiosi. Perché cultura e divertimento possono
coesistere. (sabina pistillo)
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