lunedì 10 ottobre 2016

LA VITA POSSIBILE, film




In fuga da un marito violento, Anna e il figlio Valerio sono accolti a Torino in casa di Carla, attrice di teatro e amica di Anna di vecchia data. I due cercano di adattarsi alla nuova vita tra tante difficoltà e incomprensioni, ma l'aiuto di Carla e quello inaspettato di Mathieu, un ristoratore francese che vive nel quartiere,  faranno trovare la forza per ricominciare.

Un buon film. A volte anche il solo titolo può spingerci ad andare a cinema. In questo caso si intuiva che poteva trattarsi di ''ultima chance'' di una storia, di una vita, ecc.. Eppure, la chance che viene proposta al protagonista mi è
sembrata realistica, positiva,  di un''utopia personale'' appunto possibile. E per non parlare delle attrici e attori, tanto coinvolgenti, pregnanti. Il ragazzo trasudava voglia di vivere, con la sua dolcezza e tristezza al contempo, delicato
e conflittuale, come purtroppo recitava il suo copione di vita, non per colpa sua, ovviamente.
     Si è trattato di un film importante per il sottotetto drammatico: forse mi sono lasciato affascinare troppo, perchè, forse non lo sapete, il mio copione psicologico stride quando si incontra, se pur a cinema, con altri copioni intrisi di debolezza  e sofferenza. Un problema di identificazione che accomuna quasi ogni spettatore.  Ma qui sta il punto: ho trovato felice la storia che finisce bene! A qualcuno potrebbe sembrare uno stereotipo melenso, eppure, quando un fanciullo si riabbraccia alla propria madre, perché ferito da altri conflitti, come appunto ''vita possibile'' ritrovata,  non possiamo che plaudere: il suo copione sembra avere trovato la strada giusta, quella della liberazione dai limiti copionali.
       A tal proposito ricordo caramente quando un amico terapeuta, tenne a precisare, in uno dei tanti workshop su copioni di vita e scenici, quanto fosse importante non coinvolgere direttamente il copione dello spettatore, anche di fronte alla
realizzazione di un'opera artistica. Le trame sollevano emozioni da un punto di vista qualitativo ma non devono necessariamente allagarci di angoscia. Su questo punto controverso ho talora tenuto a precisare con amici, l' esigenza protettiva e sublimatoria che a me piace nell'incontro artistico e culturale ma ognuno la può pensare diversamente. Personalmente non amo gli ''effetti collaterali'' intrinseci. Ed è questo, un problema che spessissimo ritorna nel concetto di
opera d'arte, divisa fra comprensibilità, senso del limite e opposti.  Ancora una volta ho riscontrato la variazione delle proiezioni personali che si incrociano nelle trame, sui personaggi filmici, e la conseguente impressione che differisce
da spettatore a spettatore.  La amica al mio fianco, per esempio, ha trovato la storia insufficiente e non abbastanza approfondita. Anche sui social i commenti sul film sono disparati e talora antitetici. Di certo ho convenuto con lei sull' ambientazione ristretta  di una Torino solo di lavoratori, e che tralascia quella bellissima e storica del suo centro, ma non ho disdegnato viali autunnali e la luce fioca tipica di quella metropoli e il senso medesimo del film.  Da vedere, perché la percezione della speranza è fatta salva. E questo non fa male. Anzi.  ITALO ZAGARIA -




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