domenica 7 gennaio 2018

STORIA DI UOMINI, DONNE E BAMBINI DI PUGLIA: LE ACCIAIERIE E FERRIERE PUGLIESI DI GIOVINAZZO


Rosa Maria Ciritella ci invia uno scritto corredato di ricordi personali e fotografici che ci rimbalza indietro nel tempo in un’epoca di grande (e per certi versi controversa) industrializzazione del Meridione. Dagli anni di  boom economico, colmo di speranze e aspettative finalmente soddisfatte, si arriva agli anni del declino industriale (siderurgico, in primis). L’articolo ci ricorda le vicende annose dell’Italsider-ILVA ancora attuali; ci ricorda come anche nel Sud ci fossero imprenditori illuminati come Olivetti, grandi uomini fattivi e dotati di avanzato senso di giustizia sociale. Informazioni tecniche e affettive si mescolano in quanto ingredienti di vita lavorativa e familiare. Sì perché dietro ogni dato statistico ed economico ci sono vite di esseri umani. Dietro ogni lavoratore vi è una famiglia e Romy è la figlia di un grande lavoratore di quei tempi che hanno contribuito alla rinascita dell’Italia dopo la disfatta bellica, che hanno lavorato duramente, partecipato alla vita sociale, hanno assistito impotenti alle inevitabili svolte storiche del finire del secolo scorso. Vale la pena ricordare, anzi ci è sembrato doveroso.    

La storia di mio padre, quella della mia famiglia d’origine coincide per una buona parte con quella delle Acciaierie e Ferriere Pugliesi di Giovinazzo (AFP) e la mia identità si è costruita anche attraverso la storia e le vicende di questa azienda. Mio padre, Mario Ciritella (1928 – 1998), svolgeva il compito di responsabile del laboratorio di analisi chimiche di questa fabbrica; la sua storia personale s’è intrecciata con quella delle Acciaierie dal 1964 al 1984, quando, a causa della chiusura definitiva dell’impianto siderurgico, fu costretto a chiedere il pre-pensionamento, anziché subire il licenziamento, dopo quattro anni di cassa integrazione e dopo aver contribuito fattivamente al risanamento dell’azienda. Ma andiamo per gradi ed approfondiamo i fatti accaduti. Mio padre, come tutti i suoi “compagni di lavoro” - come amava definire tutti i suoi colleghi -  visse l’alternarsi delle vicende dell’azienda dal ’64 all’84, dal culmine del successo alla fine desolante e frustrante. Non si trasferì però mai a Giovinazzo, preferendo fare il pendolare, per scelta. Lottò, come tutti i dipendenti delle AFP, per mantenere il suo posto di lavoro ed il ruolo da lui svolto, che amava con grande passione. Io sono solo una testimone di quanto accaduto in quegli anni. Ho vissuto insieme a mio padre e a mia madre ed a tutti i dipendenti delle AFP e alle loro famiglie la stessa serenità ed angoscia, la stessa illusione e disillusione, la stessa speranza e disperazione.



Le AFP nacquero tra il 1923 e il 1924 su iniziativa di tre soci: Giovanni Scianatico, Domenico Maldarelli e un ingegnere tedesco. Alla morte del padre, Giovanni rilevò dal fallimento di una ditta di Castellana il laminatoio “Modello 250” di recente costruzione. Domenico Maldarelli, parente di Giovanni, mise a disposizione della società l'area dell'impianto, un suolo nei pressi della ferrovia. Nel 1931 entrarono nell'impresa Canio e Sabino, fratelli di Giovanni, rilevando la proprietà dell'ingegnere tedesco. Tra il 1932 e il 1933 gli Scianatico rilevarono anche le quote di Maldarelli.
Cominciarono così le operazioni di ampliamento dello stabilimento: nell’ordine, vennero realizzati il laminatoio, l’acciaieria, la fonderia, le officine meccaniche, un reparto di carpenteria in legno e ferro ed uno per la fabbricazione di attrezzi agricoli. Inizialmente la produzione era rivolta essenzialmente al mercato locale e l’attività lavorativa veniva svolta in modo saltuario.
Nel 1943 le AFP furono occupate dagli inglesi, che utilizzarono gli impianti per soli fini bellici e rifornimento degli armamenti alle truppe inglesi. Durante l'occupazione gli Alleati aumentarono la forza lavoro a 1.200 unità.
Dopo la guerra gli Scianatico ripresero possesso della fabbrica e nel 1959 la proprietà venne divisa tra i due fratelli e le Acciaierie vennero assegnate a Giovanni.
Nel 1962 si laureò il figlio di Giovanni, l’ing. Michele, che assunse le redini dell’azienda di famiglia insieme al fratello Donato. Michele divenne presidente del consiglio di amministrazione delle Acciaierie e Ferriere Pugliesi, e Donato amministratore delegato.
Michele Scianatico decise di riorganizzare lo stabilimento: ammodernò gli impianti di produzione dell’acciaio, soprattutto la catena di produzione dei tubi speciali senza saldature. Riuscì in un decennio a portare le acciaierie a notevoli livelli di produttività, esportando i suoi prodotti anche all’estero. Tra il 1962 ed il 1972 decuplicò la produzione ed impiegò 1200 operai, contro i 350 del periodo ante-guerra o i 750 del dopoguerra.
In un’intervista, l’assistente sociale Maria Giuseppina Degennaro, che ha lavorato alle ferriere sin dal 1966, parlando dell’ing. Michele Scianatico, sempre presente tra i suoi dipendenti, riferisce che costui “decise di selezionare i migliori tecnici e specialisti per innovare il processo di produzione, li fece venire da tutta Italia e mise a loro disposizione le case”. Continua parlando dell’ “assistenza ai malati, non solo ai dipendenti ma anche ai familiari”, del “parco ricreativo, nel quale gli operai erano liberi di organizzarsi fra loro. Fu lì che ebbe inizio il miracolo dell’hockey”. E infine del doposcuola: “Credevamo nell’istruzione come unico canale per formare i ragazzini e assicurare loro un avvenire di libertà. Non so dove prendessimo le energie ma sentivamo una grande spinta per migliorare il rendimento scolastico dei ragazzi”.
In effetti gli anni del boom economico furono quelli nei quali la proprietà dell’azienda mise a frutto le proprie competenze ed i suoi poteri a favore di tutti, dal primo all’ultimo, come io stessa ricordo dai racconti di mio padre. Certo quello fu anche il tempo delle lotte: Tommaso Sicolo fu il più importante rappresentante dell’istanza di cambiamento politico. Tommaso Sicolo (1920 – 1989), operaio delle AFP, sindacalista CGIL sin dal ’45, grande mediatore dei rapporti tra la proprietà ed i dipendenti, ma anche forte punta di diamante della lotta operaia, divenne deputato a Montecitorio tra il 1976 ed il 1983. Si impegnò nella lotta alle gabbie salariali, convinto che il basso costo della manodopera al Sud fosse una spinta per l’imprenditoria del Nord allo sfruttamento degli operai meridionali.
Nell’interessante pubblicazione di Antonella Pugliese, Le ferriere tra gli ulivi, si sottolinea come “l’art. 3 della nostra Carta Costituzionale dice che «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Questa storia delle AFP ci racconta di come migliaia di nostri concittadini presero sul serio questo impegno e provarono a forzare limiti storici, culturali e politici, provarono veramente ad edificare lo Stato democratico, fatto e vissuto non solo da élites, ma dai più, dai tanti, da chi dal basso provava a darsi visione e contezza del mondo”.  Occorre “ripensare la storia di questo universo operaio e sociale nel suo tratto più profondo e duraturo: come patrimonio civile, non localistico, dell’intera comunità, dimostrazione che la politica, la democrazia si inverano quando vengono strappate ai pochi e conquistate dai molti”.
Tra il 1951 e il 1974 la Puglia ha sperimentato uno sviluppo industriale particolarmente intenso, sia rispetto all'intera area meridionale sia rispetto al Centro-Nord. La fase di più intensa crescita si è avuta dopo il 1961, quando l'aumento del prodotto, già elevato nel decennio precedente, ha raggiunto il 9,5% in media all'anno, accentuando le distanze con gli incrementi registrati nelle altre aree (7,7% nel Mezzogiorno e 6,5% nel Centro-Nord). La crescita, nel suddetto periodo, è stata sostenuta da iniziative di nuovo insediamento nella regione, spesso facenti capo a gruppi pubblici e privati, in genere di grande dimensione e operanti in settori ad elevata produttività: l'industria siderurgica e quella chimica e l'industria meccanica e dei mezzi di trasporto. L'industria dei minerali e metalli ferrosi e non ferrosi rappresenta in Puglia la seconda attività industriale, con un'incidenza sul prodotto del 19% e sull'occupazione del 15,4%.



L’area delle ferriere è vasta 98000 mq: negli anni '60 e '70 lo stabilimento delle Acciaierie Ferriere Pugliesi si trasferì in imponenti e moderni capannoni e lo stabilimento venne dotato di Forno Martin-Siemens da 70 tonnellate, due forni elettrici rispettivamente da 7 e 12 tonnellate, forno a suola rotante della capacità di 25 tonnellate/ora ecc. La produzione era pari a 150.000 tonnellate annue di acciaio (con una produzione giornaliera di 500 tonnellate) e a 15.000 tonnellate annue di ghisa. Venivano prodotti lingotti da forgia, billette, tondini per tubi, rotaie e rotaiette, profilati per armamento ferroviario e suole industriali per mezzi cingolati.
Michele Scianatico volle rafforzare i rapporti tra la proprietà dell’azienda ed i suoi dipendenti trasformando la proprietà della famiglia Scianatico ("Villa Spada") in un parco ("Parco Giovanni Scianatico"), a favore dei dipendenti delle AFP e dello loro famiglie. Nella struttura vennero organizzate attività ricreative, sportive (hockey a rotelle) e di doposcuola per i figli degli operai e degli impiegati. Inoltre vennero organizzati corsi di addestramento professionale per i giovani, specializzando così i giovani nelle diverse lavorazioni dello stabilimento. Eloquente la scritta che si leggeva all’ingresso del Parco:
«Preparati seriamente e lotta con coraggio e lealtà. Se sbagli, riconosci onestamente il tuo errore e accetta con serietà la giusta punizione. Se vinci lealmente, riconosci e ammira il coraggio del perdente. Se perdi, accetta il verdetto e sii fiero se sai di aver meritato l’ammirazione di chi è stato più fortunato di te».



Alla fine degli anni ‘70, con la crisi siderurgica cominciò a delinearsi il declino dell'azienda; nel ’79 la produzione si fermò per quasi due mesi e la fabbrica, fortemente indebitata, ricevette dai suoi 1050 operai un prestito di un milione di lire ciascuno: i debitori si dileguarono, le Acciaierie risorsero e gli operai diventarono comproprietari delle ferriere; fu il primo caso di “cogestione” di una azienda.
Nel 1980 iniziò però la cassa integrazione per i suoi dipendenti; con il venir meno delle condizioni politiche favorevoli nel 1983 venne dichiarata l’insolvenza della società e gli Scianatico chiusero la fabbrica. Nel 1984 il CIPE deliberò lo smantellamento delle Acciaierie e Ferriere Pugliesi. Vennero licenziate 483 persone ma il destino dell’AFP si compì definitivamente a livello politico. I creditori, presenti nel Comitato di Sorveglianza, cedettero alle richieste da parte di altre aziende siderurgiche di accaparrarsi le residue quote di produzione dell’AFP. Il commissario di Governo ricevette l’ordine di procedere al fermo dei forni fusori e dell’attività produttiva a metà del 1988.
Intanto negli anni ’70 a Valbruna, in Friuli, gli imprenditori baresi Amenduni diventarono proprietari delle Acciaierie Valbruna, quando Nicola Amenduni sposò una Gresele, la figlia del proprietario dell’acciaieria. Costoro iniziarono a ricercare personale direttamente dall’ufficio di collocamento di Giovinazzo subito dopo la chiusura delle AFP. Scrive Devi Sacchetto: “l’acciaieria fa parte di una piccola multinazionale di proprietà della famiglia Amenduni e occupa circa mille persone di cui il 50% lavoratori dal Mezzogiorno, il 40% locali e il 10% immigrati stranieri. Un altro centinaio di lavoratori, italiani ma soprattutto stranieri, sono dipendenti di imprese terze e cooperative che operano all’interno dell’azienda, svolgendo attività quali la manutenzione muraria e meccanica, lavori di carpenteria pesante, pulizie industriali delle scorie. Si tratta di un mondo maschile, a esclusione di qualche decina di donne assunte come impiegate e di quante sono occupate nella mensa”.
E Giovinazzo? Dopo la fine dell’industria ha quasi perso la bussola, colpito dal “cedimento improvviso della spina dorsale, delle strutture portanti di un tempo”, scrive Isidoro Davide Mortellaro nella prefazione alla riedizione del saggio Le ferriere tra gli ulivi della Pugliese. Dalla chiusura, lo stabilimento ha subito numerose modifiche: oggi 30.500 mq sono occupati dai capannoni dismessi e 13.000 mq da capannoni con attività in esercizio; una parte della superficie originaria è stata recentemente destinata alla realizzazione di edifici residenziali e del nuovo assetto viario; la restante superficie - più della metà dell’area - è occupata dalla viabilità di servizio e da suoli interessati da accumulo di detriti e rifiuti di diversa natura; lo stato di contaminazione delle matrici ambientali è strettamente legato alle principali attività che nel tempo si sono localizzate in queste aree. Il PRG vigente, successivo alla chiusura delle attività delle AFP, classifica l'area come zona industriale, confermandone l'identità di luogo della produzione. Per l’area, tuttora interamente di varie proprietà private (nonostante i tentativi dell’amministrazione alla fine degli anni ’90 di acquisire l’intero complesso), nel 2010 la Regione Puglia approva l’intervento di bonifica, messa in sicurezza permanente (MISP) e riqualificazione del sito, finanziando l'intervento con 3.400.000,00 euro (fondi PO FESR 2007-2013 Linea 2.5). – Dati forniti dallo studio di Calace ed Angelastro. Un avvenire incerto. Solo un finale tecnico riesce a diluire le emozioni ed i ricordi che affollano la mente di tanti Pugliesi. (Rosa Maria Ciritella)


Enrico Berlinguer (1922-1984) all'epoca dei fatti descritti


Fu incentivato un gioco diverso dal calcio imperante. Con successo.





Dal declino alla caduta














BIBLIOGRAFIA:
Antonella Pugliese, (a cura di I. D. Mortellaro) Le ferriere tra gli ulivi. Storia delle acciaierie e ferriere pugliesi di Giovinazzo, B. Mondadori, 2015
Francesca Calace e Carlo Angelastro, Le risorse latenti ai margini della città. Un focus su alcuni casi esemplari dell’area metropolitana di Bari, Report WWF 2014
Devi Sacchetto, L’immigrazione interna e internazionale in un sistema di occupazione regionale, in Sociologia del lavoro, n. 121, 2011
Giuseppe de Pinto, Sciamanìnn, Feltrinelli, 2016


SITOGRAFIA:





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