In inglese si diceva "don't wash your dirty linen in public idiom"
Lo si diceva da secoli, alludendo al fatto che non è bene divulgare fuori della famiglia informazioni che è meglio mantenere riservate.
Oggi, nella società più liquefatta che "liquida" in cui siamo immersi, si fa tutto in piazza.
Il parlare di fatti intimi e più o meno censurabili rispetto a sé e/o agli altri aumenta vertiginosamente: l'abitudine mediatica di parlare e straparlare manifestando commenti velenosi ad articoli di giornalisti, opinioni deliroidi, seminando calunnie o rivelando segreti di ogni tipo e grado (personali, pettegolezzi, sino a segreti istruttori, segreti professionali e quant'altro c'era di inviolabile nel passato) è fatto quotidiano. Ed il giornale Il Fatto Quotidiano ha preso l'iniziativa di arginare la follìa della parola. Così ha reso noto la Redazione:
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Non male. In sintesi si cerca di regolamentare in proprio in assenza di autoregolamentazione. Avete provato? Se cominciamo a scorrere il nastro di Facebook possiamo perdere ore ed ore nell'inutile nulla.Forse per questo è calato il numero di lettori di libri o di telespettatori.
Webeti (come li ha definiti Enrico Mentana) ed imbecilli hanno interpretato il diritto democratico alla parola come un obbligo a parlare.
«I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli», ebbe a dire il grande e compianto Umberto Eco, che anni prima aveva difeso internet come promotore di cultura. Mi meraviglio che non ci sia ancora un formato televisivo ambientato nelle chiese in cui si possano ascoltare i "peccati" della gente per poi farne oggetto di dibattiti pubblici. Altro che successo del confessionale del Grande Fratello...Per non rivelare l'indicibile - mi ha detto un medico - in Italia si è dovuto inventare la legge sulla privacy quasi non esistesse nel codice penale l'articolo sul segreto professionale. Prima bastava il segreto professionale. Ora per nascondere bisogna criptare o persino non pensare.
Ma è su FB ove si rasenta la fantascienza: la immensa vetrina narcisistica permette di tutto, sia innalzare che abbattere, sia sfogarsi che leccarsi le ferite. Tutto è sciorinato pubblicamente in un autorispecchiamento che è uno "sputtanamento" (oddio perdonami per la brutta parola presa in prestito! non è da teologo ma quando ci vuole ci vuole...). Molti scrivono su FB quanto passa loro per la mente e per il cuore come se nessuno (o tutti) lo leggessero: FB come il nostro Doppio migliore, come l'amico immaginario dell'infanzia, come l'analista. Addio riservatezza. Addio pudore. Ora anche FB sta pensando di filtrare qualcosa per evitare bufale (notizie false o, come fa "figo, fake news).
Riusciranno i nostri eroi informatici a salvarci con i loro astrusi algoritmi? Speriamo. Nel frattempo su FB (ove imperversano parolacce e foto erotizzanti di ragazze e donne attempate), la redazione di InCultura ha visto censurare una foto che ritraeva sullo sfondo delle statue greche e romane in quanto riconosciute "nude". Altro che foglia di fico.
Vostro Erasmo da Rotterdam
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