giovedì 10 dicembre 2015

Gli ultimi saranno gli ultimi - recensione


Non sono gli ultimi ad essere i primi, rimangono ultimi nella scala di una società che ancora confonde il verbo essere con il verbo avere, ma quegli ultimi sanno ritagliarsi uno spazio di felicità eretto sulla pazienza, sulla fiducia, sui sogni nutriti di amore. E' Luciana (una quasi matura Paola Cortellesi) al centro di questo mondo posto leggermente di fianco, lavora in una piccola fabbrica di parrucche, ed è la moglie innamorata di Stefano (un Alessandro Gasmann vero anche nel ruolo del belloccio fannullone), un uomo disoccupato che ama Luciana a suo modo e vive di scommesse con se stesso pur di non sottostare alle regole di un padrone. Abitano ad Anguillara, un luogo dove si vive nel conforto del calore umano fatto di incontri tra amici, di parole scambiate tra vicini, e dove la piazza è ancora il centro di raccolta di generazioni a confronto, ma è anche il luogo dove si muore a causa di radiazioni pericolose. Luciana è felice, e mentre nutre con pazienza e fiducia il sogno di diventare madre, guarda con gioia i bambini della sua cara amica, sorride, anche all'ozio di Stefano, al professore che la chiama la figlia di Mario mentre le ricorda di quanto Mario avesse tradito sua madre. Ma sorride di quel sorriso che nasce dal senso del dono, perché Luciana nel suo piccolo sa donare. Sorride quando entra in fabbrica a Bruno (Stefano Fresi), la guardia giurata che l'accoglie all'ingresso ogni mattina, ed anche all'arrivista cui offre l'opportunità di affiancarla in fabbrica, ma che non esita a tradirla quando le rivela di essere incinta, e diffondendo la notizia della gravidanza fa in modo che quel contratto a tempo determinato di Luciana, che le veniva rinnovato da dieci anni, diventi suo. Poi c'è Antonio, un poliziotto veneto trasferito ad Anguillara per una colpa che si trascina dal suo arrivo fino al tragico epilogo, e si intuisce sin dalla prima scena che il peso della sua colpa e la stanchezza di Luciana esploderanno in uno scontro frontale.  E' la legge del più forte che va in scena nella pellicola di Massimiliano Bruno, che sarebbe stata anche credibile se si fosse fermata allo strazio di due persone abbandonate dalla società, alla disperazione di una donna a cui hanno rubato il sogno di una vita semplice, fatta di amore e poche cose, di educazione, di fiducia e sorriso, e al contegno di un uomo costretto ad espiare una colpa che tanto somiglia al rispetto per la vita umana. Se solo Bruno non avesse fatto predicare la messa a citofoni e lavandini e si fosse fermato a questo, avremmo sentito il disagio e l'orrore di Luciana, il suo rimpianto per non essere stata capace di seguire l'insegnamento di suo padre che le raccomandava di non farsi pecora altrimenti il lupo l'avrebbe fatta a pezzi, avremmo provato sdegno nei confronti di tutti i lupi di questa commedia che spesso sconfina nella farsa fino a toccare la tragedia. Avremmo sentito la solitudine di un uomo che si sarebbe fermata al senso di colpa e di impotenza se Bruno non l'avesse mischiata alla solitudine di Manuela (Irma Carolina di Monte), per raccontarci di un altro scarto della società. Se si vuole dire tanto si rischia di non dire nulla. E se si esagera con la finzione si corre il rischio che lo strazio di una storia così dura possa lasciare spazio ad un sorriso scettico. Una storia che fa male ma concediamoci il sogno che l'ultima scena sia quella vera. (Antonietta D'Ambrosio)

Nessun commento:

Posta un commento

R. Magritte - Le Savoir La porta Socchiudo la porta: s'intravede la luce La via non è fuori  È nel buio più intenso  nella parte più osc...