domenica 3 dicembre 2017

Afrikaan Dream / Sogno Afrikaan




Sogno afrikaan
di achille miglionico (2001)
Spesso mi si chiede del mal d'Africa






Lo spazio: il bushveld e l'Occhio-di-Dio (RSA). Dall'alto della rupe e dell'osservatorio, ricordo appena che il toponimo mi ha suscitato poc'anzi scetticismo ("Esagerati!" ho pensato sentendo che eravamo diretti all' Occhio di Dio). Poi, dopo il primo respiro, mi tronco dinanzi alla vastità che si apre dinanzi a noi. Mi decido e getto, sfidando la vertigine, lo sguardo verso l' altopiano che srotola un incommensurabile spazio con macchie verdognole, boscaglie indistinte e rade. Ho creduto all'inizio che lo sguardo obbedisse come sempre e potesse tornare a me. Come un boomerang ben fatto. Come un rapace ben addestrato dalla mano di Federico Secondo. O una sonda esplorativa che si lancia fuori bordo della nave che va per spazi marini o siderali eppoi torna. Ma non è così. Lo sguardo più e più volte lanciato non torna all'Arca noetica. Non si torna dall'infinito del God's eye. Da qui, - dicono che sia il loggione del teatro del Kruger - nel secco inverno sudafricano, nella mente si pennella una spiaggia che rincorre il suo oceano: non lo troverà mai. Così il fiume Okavango, poco o tanto lontano da qui (nel Botswana), non troverà mai il suo mare, sbagliando strada geologica, e formando un delta vaporoso visibile dalla quota di un aereo di linea: una eden di quindicimila chilometri quadrati in un deserto, quello di Kalahari. Insomma non sono solo io a smarrirmi qui. L'arena del bush, pur avanzando e soffocando la flora esausta, sfinita dal vento, dalle trombe d'aria e dalla siccità, sa di non aver vinto; e, la memoria delle stagioni e dei vivi tramanda che piogge arriveranno a dissetare chi ha saputo resistere: e i mantelli vegetali e animali si scuriranno di nuovo rigogliosi e forti. Vedo. Sotto di me una costellazione di colori e macchie ondulate vira verso il pallido. Famiglie di acacie hanno persino l'ombra che si mostra stinta quanto il tronco; qui e là - al binocolo - fiammeggia di maggiore vita la corteccia rosicchiata di una acacia della febbre gialla (così le chiamavano i boeri ritenendo che cagionassero il paludismo). Ci sono altre macchie di un cromatismo intisichito: ti chiedi se esse sono calate in un miraggio di lento movimento o se sia il tuo cervello ad ingannarti visto che il sole, pur invernale, non scherza in quanto a calore. E' vegetazione questa? No, il binocolo chiarisce che si tratta di gruppi di erbivori, zebre di Burchell, rari gnu, impala resi immobili dalla distanza: fauna persa e dispersa in quel mondo che si incurva virando d' azzurro verso l'orizzonte, tra terra arsa e cielo terso. No, solo una illusione ottica. Di quelle africane. Anzi afrikaan.










Victoria Falls da elicottero














Bufali cafri






Chobe river. Tutto diverso il paesaggio, nel territorio tra il fiume Zambesi e il suo affluente Chobe, tra Zimbabwe e Botswana. Ci arriviamo dopo giorni. Qui tanta acqua, tanti animali. Verde di ogni tonalità, ocra e rosso, tutto lo spettro del visibile e dell'invisibile.
Un ranger fissa il tramonto dal bordo del battello che ci trascina tra le isole di Lwanda e Kalunda: in quel tratto pigro del fiume Zambesi che non lascia presagire la furia delle Cascate Vittoria, alcune percezioni al tramonto mi sono suonate psichedeliche. Il ranger mi racconta di un bufalo isolato dalla mandria ed attaccato dai leoni che era riuscito a trarsi temporaneamente in salvo lungo la riva del fiume: durò una decina di ore il suo andirivieni dalla riva e verso la riva, in una terra di nessuno tra potenze spietate: era stretto dai pazienti felini da un lato e dai sonnacchiosi coccodrilli dall'altra. Ore di speranza frustrata perché comunque il suo destino era oramai segnato. Ed il bufalo stremato ad un tratto decise: meglio una morte nobile e soccombere da mammifero in una contesa tra mammiferi. E così lui, che tante volte aveva guidato sicuro nel fiume la possente mandria nera, ritenne di andare incontro ai leoni, come un eroe greco che nel momento della imminente morte fissasse negli occhi i persiani con sguardo spartano.
E' una mia impressione o non sono così gli animali del resto del mondo? Ne ho visti tanti. Qui gli animali sembrano tutti fieri, nella vittoria e nella sconfitta; e tutti sembrano passivi, indolenti sino a quando non li ammiri nell'atto predatorio o di fuga. II coccodrilli, per esempio: folgori di nervi e muscoli in azione, rocce di carne e ossa nella attesa; quando si animano all'improvviso e scattano spezzano il profilo della superficie come fanno i sottomarini con i ghiacci. Un animale (non sempre abbastanza piccolo) tra le zanne di un altro animale. Un sisma di morte eppoi la immobilità impera di nuovo.

Notti. Nei ritmi circadiani della natura la notte succede e precede il giorno, la luce. E le notti? E' scesa la notte sul campo di tende. La Croce del Sud, favorita dalla incontaminata atmosfera, è un segnale ipnotico di luci. La costellazione comanda il cielo, non va identificata come l'Orsa maggiore e Minore nell'emisfero boreale. Solo uscendo dalla transe, dopo molto tempo, ti accorgi del Resto (del cielo): spilli, sì spilli lucenti trafiggono un nero di fiaba. La prima volta che ho sollevato pigramente lo sguardo all'insù (quasi presagissi la visione)è capitato in una notte serena e fredda a Pilgrim's Rest, il luogo dei cercatori d'oro a nord di Pretoria. Comunque non conviene tenere troppo lo sguardo al cielo, soprattutto di notte e in Africa. Smarrisce.


Confondo due notti tra loro: ad Haziview, in Sudafrica, e a Kasane, nel Botswana. Unica è stata la impressione di potenza e impotenza. A soli cento passi dal protettivo boma, in direzione dello specchio d'acqua, al di là di un nugolo di zanzare e acacie, mi avventuro spavaldo e curioso e sprofondo nel soffice buio. Senza luna. Mi fermo. Mi sono allontanato troppo dagli umani. Mi rassicuro frettolosamente e decido di ascoltare l'ambiente. Il silenzio si frantuma in un frastuono crescente e preoccupante. Non sono solo e sono solo. Percepisco cose nel sé diffuso che hanno radici, si muovono, cantano, strisciano, volano. Voci notturne per lo più sconosciute che incalzano e tendono a coprirsi vicendevolmente. Sorge una onnipotenza effimera quasi mi sentissi un super-eroe con super-poteri. Non sto percependo amplificato un condominio di Roma. Qui è in atto una lotta per la sopravvivenza tra specie sonore diverse e me. Ora predomina il cra-cra metallico di un rospo in amore, ora colgo dei fischi prolungati o ad intermittenza (sono uccelli?). Inutile. Quando stai per concentrare e selezionare la sorgente sonora, essa soccombe ad una nuova e ricominci daccapo. E se quella cosa che sembra un fremito asmatico fosse un leopardo in avvicinamento? Se incroci un leopardo non incrociarne lo sguardo, mi ripeto quel che ha raccomandato il ranger. L'idea mi si insinua maliziosa. Io di certo non vedo nulla di notte (neanche con l'adattamento e le pupille dilatate, lui-leopardo sì che scruta con la sua retina dotata di soli bastoncelli: e mi sente con l'olfatto finissimo. Cacchio, di notte il continente nero si prende ogni rivincita e la sicumera bianca naufraga. Sale la marea di lento orrore, sento che sale dalle scarpe affondate nella soffice erba o urtate dalla roccia. Non le vedi neanche le tue scarpe ed acuisci le sensazioni tattili, magari accavallando le dita per sentire i piedi. Ho freddo dai piedi. E' la temperatura bassa o la paura? Essere alla mercè di tante presenze e bloccarsi nel respiro per non tradirsi ed ascoltare. Ancora un rumore, uno scricchiolo…E questo cosa sarà? Quanto vorrei essere un pitone che lascia sicuro la tana per la caccia notturna. No, non scappi subito: dolce, selvatica, la coscienza si apre a trecentosessanta gradi. E vivi, eccitato, in attesa del nuovo segno di vita (o di morte?) da cogliere nella folla di urli, risate, gracchiamenti e gracidii e tra onde di fogliame che si frangono sulla fragilità di chi è solo nella foresta trafficata. Qui vero che non hai scelta: o ti senti parte del Tutto o ti senti escluso e minacciato da Tutto. Ora capisco perché Hemingway talora uscisse da solo, di notte, nella savana, armato solo di lancia: la ineffabile ambiguità di essere contemporaneamente predatore e predato. Ma io ora torno perché non reggo alla marea di angoscia, non mi va di sfidare la fortuna. Di essere ancora vivo. MI metto improvvisamente a correre negli scarponi. E scappo verso l'abitato. Sono un codardo.
"Perché corri?" mi chiede all'arrivo un compagno allarmato. Mi fissa diffidente: "Ehi, c'è qualcosa lì fuori?".
Non posso ammettere in Africa di avere paura del buio, come un bimbo europeo. "C'è fuori tutto. E non si vede un cavolo."
"Hai ragione. Noi umani non vediamo. Ma siamo visti."
Annuisco per placare nei secondi l'ineffabile brivido che mi percorre il rachide."Già. Anche nelle metropoli la fauna notturna è diversa".

Tramonti. Pregate la sorte che non vi capiti un tramonto di quelli da moglie di Loth. Perché altrimenti rischierete di essere impietriti come il personaggio biblico già nei primi giorni di permanenza in Africa. Se si chiama sindrome di Stendhal quella che vi potete beccare dinanzi ad un manufatto artistico dell'uomo, si potrebbe chiamare sindrome della moglie di Loth quella che capita dinanzi ad uno spettacolo naturale (un mistico direbbe "manufatto di dio"). A me è capitato di ammalarmi calato in un tramonto sullo Zambesi, nel tratto lento e nobile che precede le cataratte di Victoria Falls, tra Zimbabwe e Zambia: ci si pietrifica dappertutto fuorché negli occhi che continuano a volteggiare qui e là nella spasmodica ricerca di particolari cromatici. E come esprimere il tramonto trionfale sul Chobe, nel Botswana?
Memoria indelebile che perirà con me. Il sole che cade velocemente, il nostro barcone silente (a motori spenti) tra istmi di terra bruna inframezzati da acqua rilassata. Sulla superficie riflettente, con lo sfondo di un gruppo di elefanti neri e lucidi al bagno (due adolescenti giocano a spingersi di testa), due becchi a forbice volano radenti il pelo rosa e nero dell'acqua raccogliendo larve di insetti e disegnando con il becco parti di ellissi; si inseguono (sono una coppia) i due uccelli e creano un movimento artistico sulla tela dell'acqua: immagini speculari di ali si combinano a quei cerchi di acqua smossa, come chiavi di violino sul pentagramma. Impressionismo di grande effetto, come neanche Claude Monet sarebbe riuscito a realizzare, lui che derubava la natura di colori e luci. Mi scuoto.


Le piroette dei volatili mi ricordano quelle di una coppia di innamorati visti sulla pista di ghiaccio del Rockfeller Centre di NYC. Rientro in me. Nella incertezza della luce calante ho fatto in tempo a cogliere un paio di ippopotami che elargivano una apparenza di rotonda passività. Quando nel campo percettivo (di luci e suoni) sono entrati degli impala fruscianti di eleganza, il quadro si completa. No, non sono sotto l'azione di sostanze psicoattive (chi ne ha bisogno?). Non era comunque opera umana quel set. La firma era di un dio.










Falco giocoliere







Coccodrillo del Nilo








fotogalleria AM


KENYA people


TSAVO EST animalia

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