lunedì 1 dicembre 2014

I tre tocchi - recensione




Un film dove la settima arte si sprigiona in tutta la sua essenza, è lo sguardo di Marco Risi che penetra il Cinema attraverso il Cinema, sfondando le barriere di schemi e logiche che rispondono solo ad un mero e discutibile gioco di un miope mercato. Come Pirandello porta in scena Sei personaggi in cerca di autore, facendo teatro nel teatro, Risi porta la faccia di sei uomini nei nostri occhi per vedere l'effetto che fa, e se un provino è capace di cancellare il buio che c'è. Sono sei ragazzi, ognuno interprete della propria vita, che si incontrano regolarmente in un campo di calcio per giocare nella squadra degli attori diretta da Giacomino Losi fondata da Pier Paolo Pasolini, tutti alla vigilia di un provino. C'è Max (Massimiliano Benvenuto) che ha girato una fiction ed ora lavora in un ristorante, Gilles (Gilles Rocca) è interprete di fotoromanzi e schiavo della cocaina, Emilano (Ragno) è un doppiatore e fa il garzone nell'hotel Majestic di Roma, e disteso sui grandi letti delle stanze dove si rinchiude, sogna di essere il protagonista di noti film al fianco della sua icona Valentina Lodovini, Antonio (Folletto) è un giovane attore di teatro che consuma la sua esistenza accanto ad Ida Di Benedetto, una vecchia attrice ormai abbandonata a se stessa da cui si fa mantenere, Leandro (Amato) che torna a Napoli come attore di teatro pur di cancellare un'identità scomoda per vecchi conti in sospeso con la camorra, ed infine c'è Vincenzo  (De Michele) che si occupa del padre gravemente malato e vive cantando in un ristorante, la cui immagine riflessa nel vetro di un portone è l'ombra dai contorni sempre più indefiniti di un'identità torbida e violenta. Concentrazione, visione e velocità, nel calcio sono i tre tocchi che consentono di procedere nonostante gli ostacoli verso l'obiettivo, ma l'identità di sei uomini messi intimamente a nudo attraverso la lente della macchina da presa, per mano di un autentico tocco d'autore, rivela che tra un manifesto ed uno specchio c'è una realtà fatta frustrazioni, debolezze e fragilità. È autenticità che si mescola alla finzione rimanendone vittima, è la realtà di Emiliano che si confonde col sogno a cui nell'ultima scena, travestiti da donna, prestano il volto Marco Giallini, Claudio Santamaria e Luca Argentero che lo bacia rivelando che il sogno ha lo stesso sapore amaro della realtà, e linea che li separa  perde tratto e colore, è la forma che schiaccia la passione del pusher che danza sulle prepotenti note de Il lago dei cigni, lontano dagli occhi del mondo e da quella grazia che non gli è mai stata riconosciuta, è Max che torna nelle acque dove affondano le sue radici e si concede agli unici occhi dove riconosce l'amore, è Paolo Sorrentino che chiede "chi sei?". E' una preghiera recitata per un provino che si ripete sulla bocca di tutti ma su quella di Vincenzo ogni parola è rivolta a Dio affinché lo salvi da se stesso, è Marco Risi che pur non seguendo un filo canonico di narrazione, ci presta il suo sguardo che attraversa l'universo di sei uomini come una lama lasciandolo a brandelli.
Antonietta D'Ambrosio

1 commento:

  1. Come sempre Antonietta D'Ambrosio ci dipinge con maestria ciò che Risi ha voluto rappresentare con il suo bellissimo film, nel quale ha messo a nudo i grumi di sangue che il dolore del vivere, nel terribile dilemma tra l'essere e l'apparire, ha creato nelle anime di uomini alla ricerca di se stessi. L'universo maschile, raccontato in alcuni passaggi anche in maniera cruda, è segnato da una serie di metafore che colpiscono direttamente al cuore. Al culmine della coerenza con tutto ciò che si è inteso esprimere si staglia il personaggio dello spacciatore con vocazione alla "grazia" della danza classica, finito invece miserabilmente nella disgrazia della vita criminale, anche lui in un miscuglio tra autenticità e finzione.

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