martedì 7 ottobre 2014

I nostri ragazzi - recensione







Se il cinema è lo specchio della realtà, questo film rivela tutte le crepe di uno specchio in frantumi, e sfiorandolo appena, i mille frammenti ci feriscono senza lasciare scampo. Una realtà infranta da un benessere di pochi e per pochi, paradossalmente anacronistica, di una società senza padri e senza maestri, di ragazzi figli di un unico dio che sprigiona i suoi infiniti volti attraverso la rete. Con l'uomo nasce la sua sete di riconoscimento, di cura, ed il web attraverso i suoi svariati mezzi, soddisfa in pieno tale bisogno primario, in un click, sempre. E c'è da chiedersi se siano stati prima i genitori a sentirsi sollevati dall'impegno amorevole di esserci, o se d'un tratto si siano sentiti rimpiazzati da un così grande dio, pronto a rispondere prima di loro. Ivano De Matteo, ispirandosi liberamente al romanzo di Erman Koch "La cena"a due anni di distanza da " Gli equilibristi", col suo film presentato a Venezia nella sezione Giornate degli Autori,  pone il suo sguardo ancora una volta su uno spaccato di vita borghese, dove le esistenze di due fratelli dai caratteri e dalle vite diametralmente opposti scorrono in parallelo incrociandosi solo una volta al mese in un ristorante di lusso per parlare di nulla e dove emergono evidenti ipocrisie, pregiudizi e falsi moralismi della coppia interpretata da Luigi Lo Cascio, chirurgo pediatrico, e Giovanna Mezzogiorno, madre fragile ma attenta, che si pone in contrasto col mondo sterile e patinato di Alessandro Gassmann, avvocato di grido, e di sua moglie Barbara Babulova, bella, sofisticata, intellettualmente vuota, ma devota. Quando le telecamere di sorveglianza riprendono una scena che vede i rispettivi figli protagonisti di un crimine, vengono giù le maschere e lo spettatore, che poco prima aveva attribuito i ruoli del buono e del cattivo, si vede costretto a ribaltare le sue posizioni. Michele, taciturno ed introverso, interpretato dal giovanissimo Jacopo Olmo Antinori, e Benedetta, a cui presta il volto Rosabell Laurenti Sellers, hanno i loro nomi ma sono i nostri ragazzi, figli di un tempo in cui il tempo non ha più valore, dove il silenzio, la solitudine e l'attesa hanno assunto un significato diverso rispetto al tempo in cui l'attesa veniva prima di una presenza, il silenzio lasciava spazio alla conferma e alla riflessione sui valori trasmessi, la solitudine consentiva di fermarsi. Lo sguardo di De Matteo è lucido e nitido ed attraverso i protagonisti, ognuno eccellente nel proprio ruolo, ci regala una pellicola per certi versi imperfetta per la povertà dei dialoghi, ma che a ben vedere si riempie di senso se tale povertà si legge come lo spazio lasciato ad ognuno per ascoltare la voce della propria coscienza. Prima dei titoli di coda, ad una voragine di troppe domande senza risposta, l'epilogo aggiunge un drammatico senso di vuoto dettato dall'assoluta assenza di amore.

Antonietta D'Ambrosio


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