venerdì 19 settembre 2014

Storia (poco) segreta del caffè







Come una delle bevande più consumate che ci siano, per alcuni seconda solo all’acqua (il che è tutto dire!), il caffè si è ormai fatto veicolo di riti sociali, conversazioni, scambio di idee e di notizie, fino a diventare un vero e proprio simbolo della società occidentale. Immancabile un caffè consumato intorno al bivacco dei cowboys o dei pionieri nei film western, al distributore dell’ufficio e della fabbrica (ci hanno fatto anche una sit-com, Camera caffè, appunto), o in importanti riunioni di manager e detectives, come nella miglior tradizione cinematografica made in U.S.A. Il Caffè è anche conforto, relax e riabilitazione (vedi gli Alzheimer cafè).


Ma il caffè comincia a diffondersi in Occidente solo a partire dalla seconda metà del Seicento, assieme al tè, alla cioccolata e al tabacco. Fino a quel momento questa bevanda nera come la pece, calda e amara era conosciuta e apprezzata solo in Medio Oriente dove, secondo una leggenda, era servita a curare lo stesso profeta Maometto da una grave forma di sonnolenza.
Fino al XIX secolo non era certo quale fosse il luogo di origine della pianta del caffè: si ipotizzava l’Etiopia, la Persia e lo Yemen. Lo scrittore e gastronomo romagnolo dell’Ottocento Pellegrino Artusi, nel suo celebre manuale La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene , sostiene che il miglior caffè sia quello di Mocha (città nello Yemen), e che questo sarebbe l’indizio per individuarne il luogo d’origine.

L’uso del caffè era comunque ampiamente diffuso in tutto il mondo arabo quando i Turchi ottomani conquistarono lo Yemen. Nella sua opera Sylva sylvarum, del 1627, il filosofo Francesco Bacone fornisce per primo una descrizione di alcuni locali in cui i turchi siedono a bere caffè, paragonandoli alle taverne europee. Proprio ai Turchi con cui l’Europa ebbe vari contatti – commerci, ambascerie, ma anche devastanti campagne militari – si deve la diffusione del caffè nel nostro continente.

La diffusione del caffè in Europa fu molto rapida, tanto che ai primi del Settecento il suo consumo era ormai affermato nelle classi più abbienti. Ma fu la borghesia a servirsi maggiormente delle proprietà che erano attribuite alla nuova bevanda: si scoprì infatti che il caffè, agiva sui centri nervosi, provocando un senso di benessere generale, e generando uno stato di maggiore attenzione, ciò dovuto alla «caffeina», una sostanza che si trova nei semi di caffè, ma anche in altre piante tra cui il tè.

All’inizio del Settecento il caffè viene bevuto in pubblico, in locali appositamente destinati a questo scopo: i Caffè, appunto. Solo nella seconda metà del secolo cominciò a essere consumato in casa come bevanda della prima colazione e del dopo pranzo.
I Caffè si diffusero prima di tutto a Londra e poi in seguito anche sul continente. Il loro aspetto inizialmente non era diverso da quello di una semplice osteria: gli ospiti sedevano a un tavolo simile a quello di una taverna e erano serviti da un oste che versava il caffè da un boccale simile a quello impiegato per il vino o la birra. L’unica differenza era che il caffè veniva bevuto in tazze, invece che in bicchieri o boccali.

I Caffè in realtà erano dei luoghi di incontro e di comunicazione: ci si incontrava lì per discutere  di affari, di politica, di arte, di letteratura e di giornalismo. Voltaire, Diderot e Benjamin Franklin si incontrano al mitico caffè Procope di Parigi, fondato dal siciliano Procopio de’ Coltelli. Pope, Swift, Hogarth frequentano  i caffè londinesi. La commedia La Bottega del caffè di Carlo Goldoni descrive appieno questa usanza ormai irrinunciabile della medio-alta   società europea.

Nell’Ottocento, il predominio dell’Impero inglese, attenuò il consumo di caffè, favorendo l’ascesa del tè, importato dalle colonie orientali. All’avvento della Seconda Guerra Mondiale milioni di soldati ritornarono in patria con ricordi amari di battaglia ed il retrogusto altrettanto amaro del caffè, il cui consumo fu ampiamente diffuso dal fronte.

Al giorno d’oggi qualcuno si è spinto a dire che il caffè è: “la bevanda-simbolo di una razza di sociopatici iperattivi determinati a distruggere la Madre Terra”: questo ebbe a leggere in un libriccino trovato su una bancarella del mercato di Calcutta in India un giornalista americano qualche anno addietro. Certo, stando ai tragici dati attuali della produzione del caffè, con 125 milioni di produttori messi in ginocchio negli ultimi anni da una crisi di sovrapproduzione, con la deforestazione dell’America Latina e di altre regioni del mondo per produrre sempre più caffè, lo scenario non è dei migliori.

Ma noi continuiamo e continueremo a bere caffè…anche se con moderazione, perché il caffè come diceva Gigi Proietti nel celebre spot: “Ce piace!”. (Giovanni Balducci)

Chi dimentica la tazzulella e café del grande Edoardo De Filippo?



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