Bari, 19.9.2014. Nell’ambito
della XXI Giornata Mondiale
dell’Alzheimer si sta tenendo in Bari, presso la Villa Romanazzi Carducci,
il Convegno “Malattia di Alzheimer e
Demenze correlate” nel corso del quale si dibattono attualità assistenziali
e terapeutiche (19-20 Settembre 2014). I Presidenti dr. Pietro Schino
(Alzheimer Italia sez. Bari) e dr. Francesco Badagliacca (AGE sez. Puglia)
hanno introdotto i lavori esplorando i dati epidemiologici delle demenze nel
mondo occidentale e no, dati allarmanti che hanno “sforato” le più
pessimistiche previsioni di anni fa. Comunque la demenza di Alzheimer
rappresenta il 60 % di tutte le demenze. Il prof. Nicola A. Colabufo, figura di
riferimento nella ricerca biochimica e farmacologica del Dipartimento di
Farmacia e Scienze del Farmaco della Università di Bari, lavora in un gruppo di
ricerca che sta mettendo a punto successi di rilievo internazionale nella
puntualizzazione della genesi del danno alzheimeriano e nella individuazione di
biomarker nella diagnosi precoce
delle demenze. Ha parlato delle ipotesi classiche e di quelle più recenti nella
patogenesi della AD (Alzheimer Desease) e
del ruolo dello zinco (Zn) e del rame (Cu) nella regolazione di quella
funzione “spazzina” che nella malattia di Alzheimer non funziona bene
determinando accumuli intracellulari e ed extracellulari nefasti per la
sopravvivenza neuronale. Lo zinco, in parole povere, “protegge” il meccanismo
delle APO-E mentre un alterato accumulo di rame determina il danno. L’APO-E 2
reca danno, la APO-E 4 “protegge”. Tali determinanti
genetiche come le APO-E, la presenilina ecc. svolgono un ruolo che si sta
pian piano individuando, consentendo di “misurare” nuovi parametri diagnostici
da usare nelle fasi precoci di malattia e permettendo interventi precoci. Il
rame, importante anche nella patogenesi del morbo di Wilson, svolge un ruolo
regolatore tra lavoro dei neuroni e degli astrociti, per cui qualcuno ne parla
come di un nuovo “neurotrasmettitore”. Suscita orgoglio e senso di
responsabilità per altro verificare che nell’ambito del discusso ateneo barese
vi siano persone che hanno scelto di
dialogare con l’estero piuttosto che trasferirvisi e che abbiano saputo
superare problemi ordinari e burocratici che “arrugginiscono” gli sforzi della
ricerca italiana e pugliese in particolare. Ci viene in mente che uno dei pochi
“cervelli” che sia venuto a fare ricerca in Italia, al Centro di Biologia
Integrata dell’Università di Trento, per studi innovativi sulla cellula artificiale,
il prof. Sheref Mansy (n. Sett/2014) ha sostenuto in una intervista
rilasciata a Le Scienze, “nobile” edizione
italiana di Scientific American, di
essere rimasto sorpreso – lavorando in Italia – dalla vivacità degli ingegni
italiani ma anche dalla inibizione burocratica della ricerca scientifica (“Se
ordini del materiale per la ricerca [in
Nordamerica] lo ottieni in uno-due giorni:
qui a volte possono volerci mesi…”) : poi il prof ha finto di lagnarsi della lungaggine di concorsi e
selezioni che negano la assunzione diretta da parte di un capo-équipe di
giovani assai valenti che si perdono poi nel mondo o in un lavoro che li
costringe a suboccupazione culturale (“Se
identifichi qualcuno con cui lavorare negli Stati Uniti il reclutamento è
immediato. Qui c’è la faccenda dei concorsi: capisco che l’idea sia rendere le
cose trasparenti, ma penso che l’effetto sia opposto…”, dice acutamente).
Dovrebbe contare solo il risultato di una ricerca, conclude perplesso Sheref
Mansy, che ha già in tasca un altro finanziamento dalla Simon’s Foundation di
New York. Peccato in tutti i sensi. Il prof. Colabufo – contrariamente a tanti
suoi colleghi che non parlano quasi mai di chi svolge realmente la ricerca
negli istituti universitari - ha ben elogiato i propri collaboratori,
ringraziandoli dei brillanti successi, ed ha rimarcato come non interessino i
titoli accademici per fare buona ricerca: studenti, dottori e dottorandi sono “pares” rispetto al “primus inter pares” che è magari un “professore” di cattedra. Da
tempo non sentivamo una lezione di modestia, serietà professionale e “voglia di
lavorare”, tanta voglia di lavorare pur tra difficoltà di ogni tipo, al fine di
non delegare – come si fa in Italia che usa sprecare i propri ingegni – la
ricerca “vera” alle case farmaceutiche (a proposito ce ne sono ancora in
Italia? ne ricordo ben poche): altrove, all’estero, sono invece le case farmaceutiche a finanziare
università o attingere dalle università. Scusate la digressione ma vogliamo pubblicizzare
le tante persone OK che abbiamo in questa Italia scissa e poco concludente.
Convegno
Hanno fatto seguito importanti relazioni nel corso del
convegno pugliese: la prof. Paola D’Aprile, neuroradiologa dell’Ospedale San
Paolo di Bari, ha riassunto magistralmente le neuroimmagini che aiutano nella
diagnosi non tardiva della demenza (RMN, RMNf, PET e SPET). Si è parlato della
farmacologia (prof. Bruno Brancasi) e delle terapie non farmacologiche, sempre
più importanti nella gestione dei casi.
Si è parlato di terapia occupazionale, di stimolazione cognitiva, della
gestione del dolore nel paziente con demenza, di nutrizione naturale ed
artificiale (usi ed abusi della PEG, che talora serve più ai caregivers che ai pazienti), di approcci
palliativi ed etica. Su tutto aleggia il tema della umanizzazione, il che è
preoccupante: il tema non manca di essere affrontato in nessun convegno (noi stessi
come professionisti e come SIEB ne siamo promotori da sempre) ma forse la
insistenza è sospetta e si vuol accennare al fatto che di empatia e rispetto
non ce n’è ancora abbastanza nella relazione terapeutica ed assistenziale, al
di là della evoluzione tecnologica. Un altro utile spunto di riflessione e
aggiornamento che viene dal ben organizzato Convegno. (achille miglionico)
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