mercoledì 30 aprile 2025

Generazione virtuale: Quando la Scuola perde la partita. #Blackout generazionali.

 

 

 

E' MEGLIO QUESTO...?

...O QUESTO?


 
 
Il massiccio blackout elettrico del 28 Aprile 2025 - che ha letteralmente spento la penisola iberica e parte della Francia (ancora sconosciute le cause al momento della pubblicazione) - ha cagionato morti ed ha scatenato caos e paure circa il nostro presente e futuro quali si stanno delineando nell'ultima decade. 
Il blackout da elettrico diviene mentale e ci sentiamo ristretti nell'operato e nella libertà cui siamo abituati: la normalità per alcuni noiosa si carica di quella attesa angosciosa da Spada di Damocle ("Quando ne usciremo?quando succederà di nuovo?)
 

 Ha colpito la notizia che il blackout elettrico ha visto la ostinata voglia di fare reel e riprese filmate, messaggi ecc pur nella consapevolezza che le batterie degli smart non si sarebbero potute ricaricare. La frenesia ed il craving delle dipendenze.

 
Comunque la prima generazione di "nativi digitali" e la generazione virtuale in toto sono indubbiamente abili nel navigare nel mondo online e hanno una grande influenza sull'utilizzo di tecnologie e piattaforme digitali. Alla onnipotenza corrisponde però un declino preoccupante di resilienza e alfabetizzazione emotiva; l'edificio culturale è corroso dall'infosfera e dagli interessi economici. 
 "A che serve studiare questo?" è il mantra interrogativo che si ascolta di più in quelli che una volta erano i templi della cultura: la cultura è utile solo se fornisce materialità. Siamo burattini sfruttati dagli algoritmi persecutori e condizionanti?
Ecco che arriva pertinente una riflessione in Redazione. Ci scrive una giovane docente, Flavia Volpe, che lavora nel Nord Italia e che racconta sobriamente delle difficoltà a "catturare" l'attenzione e curiosità in ambiti di cultura e trasmissione di cultura. Nord e Sud è lo stesso: segnali preoccupanti sulla generazione tiktokizzata vengono da tutta l'Italia nè lo scenario europeo ed extraeuropeo appaiono immuni dal decadimento culturale e dalla detensione morale ed etica che scorre nei vasi della società liquida e permea i potenti burattinai(a.m.).


Generazione virtuale: Quando la Scuola perde la partita




Negli ultimi mesi mi è capitato spesso di pensare ad un celebre passo de “I promessi sposi” in cui Renzo Tramaglino chiede a Don Abbondio spiegazioni sul perché non si possa celebrare il suo matrimonio con Lucia Mondella. L’uomo dotto di Chiesa, non potendo rivelare le reali ragioni della loro mancata unione, inizia a recitare una serie di formule in latino con il solo scopo di confondere il povero Renzo, confidando sulla sua ignoranza. A questo punto, il giovane Tramaglino, irritato, replica: “Che vuol ch’io faccia del suo latinorum?”. Il latino, simbolo della cultura, era sconosciuto a tutti coloro che non erano istruiti, i quali potevano così essere facilmente ingannati da chi aveva avuto accesso allo studio. Manzoni mette in risalto l’importanza della conoscenza, che però, al giorno d’oggi, sembra passata in secondo piano. Se non conosci, non capisci ciò che ti circonda. Non è forse questo il compito della Scuola?

Se quella stessa scena avvenisse oggi in un’aula scolastica, gli studenti, a differenza di Renzo, non si preoccuperebbero certo del “latinorum” degli insegnanti. Sarebbero troppo impegnati a controllare la vita virtuale dei propri profili social o a vincere partite online ai loro giochi preferiti. La generazione degli adolescenti di oggi trascorre ore e ore immersa in mondi virtuali fatti di sparatorie, uccisioni, conquiste di territori e strategie d’attacco. Di Manzoni, dei minerali, del teorema di Ruffini o del Past Simple importa ben poco. Meglio vedere il proprio avatar trionfare su Brawl Stars o Clash Royale.

Il compito degli insegnanti diventa davvero arduo: come si può catturare l’attenzione di un quindicenne che ha in mente solo i suoi progressi nella classifica di Fortnite?
“Gli occhi dilatati fissano lo schermo del cellulare, le pupille si restringono, mentre le labbra si increspano imitando lo sforzo dell’avatar all’ultimo round. Vittoria! Braccia levate e urletto di felicità, condito da un sorriso a trentadue denti. L’insegnante, attonito, si volta verso la classe, illudendosi che quella gioia sia per la sua spiegazione e non per un futile successo contro un avversario virtuale che spesso neanche si conosce”.

Purtroppo, questa non è una scena inventata da un romanzo di Daniel Pennac, ma l’assurda realtà in cui viviamo. A nulla valgono rimproveri, note disciplinari, colorate annotazioni sul registro e sequestri di dispositivi digitali. Anche senza lo schermo davanti, lo sguardo perso di qualsiasi ragazzo medio sembra vagare in un mondo virtuale, dove non esistono genitori assillanti, insegnanti fastidiosi e compiti noiosi.

Ancora più preoccupanti sono le motivazioni che i ragazzi stessi danno riguardo ai loro successi virtuali: “Mi fa stare bene perché non penso ai problemi della vita reale” oppure “Se vinco, sono felice; se perdo, sono triste”.

E il professore, ormai rassegnato, può solo assistere alla scena: “Aspetti, prof, che adesso vinco!” che è il marchio di un’intera generazione, ignara del “latinorum” manzoniano e, forse, mai interessata a conoscerlo. Tanto, poi, c’è ChatGPT… (Flavia Volpe, docente di Lingue nel nord Italia)

1 commento:

  1. i miei studenti mi hanno affibbiato il soprannome "prof.GOOGLE", in parallelo al trasmettitore di informazioni che loro usano abitualmente per una risposta alle loro domande.... potrebbe essere un complimento visto che rispondo a tutti i loro quesiti.....ma percepisco anche che hanno tristemente sostituito l'istruzione tramite la relazione con i prof col serbatoio di informazioni GOOGLE :-(

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