martedì 19 luglio 2022

La sacralità del tempo #tempo #sacro #cristodelladomenica #pordenone


Una riflessione sul tempo, sulla sua regolamentazione e sacralità a partire da un piccolo affresco.


A Pordenone, nella chiesa di Santa Maria agli Angeli (conosciuta da tutti come “Chiesa di Cristo Re”), sulla parete sinistra c’è un piccolo affresco noto come “Il Cristo della Domenica”. Rappresenta Gesù Cristo, a petto nudo di fronte allo spettatore. Ci guarda col volto sorridente mentre il suo corpo è pervaso di punti rossi dai quali sprizza sangue, rappresentato con una semplicissima linea rossa. La miriade di traiettorie ematiche trova, alla sua estremità finale, un oggetto, un ferro del mestiere: coltelli, asce, martelli…

Vi è insomma rappresentata, in questa popolana sineddoche, tutto il cosmo dei mestieri. 

L’immagine è di una ingenuità commovente, banale ai limiti del pianto di commozione. È un tipico esempio di immagine devozionale che ammaestra il popolo, ai tempi dell’analfabetismo di massa ma anche dell’immagine ancora sacra, non scaduta al rango di pornografia né cannibalizzata da un cervellotico logocentrismo. 

Il messaggio riportato da questa iconografia, assai diffusa nel Nord Italia e in altri stati europei (1) tra secoli  XIV e XVI, è semplice: non lavorare di domenica; se impugni un attrezzo nel giorno del Signore fai sanguinare Cristo. 

Non ci imbatteremo nelle questioni più strettamente storico-artistiche legate a questa diffusa iconografia (per questo rimandiamo alla sintetica bibliografia indicata nelle note a fine articolo) ma a delle riflessioni più laterali che si possono sviluppare intorno a questo tema. 

Questo messaggio “se fai X succede Y” ha dietro sé un mondo infinito di significato e da solo basterebbe a spiegare un’intera civiltà. 




Le mie riflessioni personali da molto tempo girano intorno al tempo, perciò mi è parso istantaneo che quella immagine così semplice contenesse in sé non solo una regolamentazione del tempo ma un modo intero di stare al mondo, corredato da un incrollabile e inscalfibile senso di significato dello stare al mondo, che, a noi uomini moderni e laici (e che abbiamo smarrito un senso profondo della vita e dello stare al mondo) non può che commuovere fino al desiderio, che è quasi invidia, verso questa fede, nel suo senso etimologico di fides ossia fiducia, nel Significato.


Torniamo al Tempo. Non un concetto di poco conto se si guarda non solo ai grandi nomi del pensiero occidentale che si sono occupati dell’argomento (Seneca, Agostino, Petrarca solo per citare alcuni nomi) ma a una frase dello psichiatra americano Eric Berne, fondatore dell’Analisi Transazionale, il quale sosteneva che «l’eterno problema umano è la strutturazione delle ore di veglia» (2).

Per Berne, dicendola in soldoni, è proprio questa “fame di struttura” che ci fa compiere tutte quelle azioni che ci lanciano nello sconforto e nel malessere. La gestione del tempo, dunque, regola la nostra vita. Ora si pensi, per un attimo e di nuovo, al nostro “Cristo della Domenica”.

Non si lavora di domenica. Che punto fermo. Che meravigliosa strutturazione del tempo in azione e inazione. 

Ma c’è di più, la mia azione, che oggi ritengo banalissima e insignificante, era in contatto diretto con la divinità, al punto tale che se impugnassi uno strumento di lavoro, potrei far sanguinare il Cristo. 

Il sacro viveva dunque, per davvero, nel quotidiano e la vita del singolo era davvero importante. 


Arrivati a questo punto verrebbe naturale sia sentire dentro di sé il rammarico del paradiso perduto sia la voglia di tornare alle origini, la fantasia a occhi aperti di cancellare la nostra civiltà tecnologica e chiedersi come mai l’uomo sia stato così sciocco da cancellare tutto ciò.

Forse perché dietro la Regola c’è sempre l'Oppressione e la Repressione (anche questa iconografia, storicamente, nasce come imposizione: "quasi un’enciclopedia del divieto" (3), che, tra l'altro, proibiva feste, balli e attività sessuali anche tra coniugi(4)) .


E qui si giunge sempre al nodo finale di chi, in una certa qual maniera si occupa di cose umane: ciascuna direzione porta con sé un estremo e ciascuna scelta porta con sé, insieme a delle conquiste, delle inevitabili perdite. E l’equilibrio e il compromesso sono più miraggi che altro. 

O è semplicemente il senso del nostro tempo che, chiuso in una razionalità cervellotica, si arresta poi al bivio delle decisioni e s’incanta poi, di tanto in tanto, di fronte alla sacra ingenuità degli antichi.

O forse ancora, siamo solo chiamati in questi tempi a decidere per noi, all’obbligo di costruirci le nostre regole e i nostri valori, in un cammino senz’altro faticoso, ma che ci permette di essere liberi. 


Claudio Leone


NOTE


(1) M. FERRERO, Il Cristo della Domenica: un’iconografia tra arte e religione. Un esempio vicentino, in «Progetto restauro. Trimestrale per la tutela dei Beni Culturali», 42, 2007, pp. 33-37: «Le testimonianze artistiche di tale precisa volontà espressa dalla Chiesa –note sotto il nome di

Cristo della Domenica–sono oggi poco più di una sessantina, ubicate prevalentemente nelle aree a ridosso dell'arco alpino centro-orientale: Austria,Germania, Italia settentrionale e Svizzera oltre a Repubblica Ceca e Istria, quasi si fosse trattato in maniera specifica di un ambito culturale concentrato tra le popolazioni abituate a convivere con climi difficili e minori possibilità di diluire il proprio lavoro nell’arco di un periodo di maggiore respiro. Al di fuori di siffatto contesto geografico compatto e sostanzialmente omogeneo, l’immagine del Cristo  

sofferente e trafitto dagli oggetti della quotidianità ha trovato ampio spazio in Inghiterra, particolarmente nell'area meridionale incluso il Galles».



(2) E. BERNE, A che gioco giochiamo, traduzione di V. Di Giuro, Einaudi, Milano 2013 (prima edizione 1964), p. 17.


(3)  M. FERRERO, op. cit. p. 35.


(4) G. BRECCOLA,  Il" Cristo della Domenica" nella basilica di S. Flaviano a Montefiascone, in «Rivista storica del Lazio», 2002, 16, pp. 4-44: «Questo Cristo aveva quindi, secondo l’antica tradizione pittorica popolare, finalità didattiche e catechetiche per meglio far comprendere il male compiuto lavorando nei giorni festivi. Immagini quindi con funzione di sermone didattico popolare, di predica ad alto contenuto apocalittico e terrifico: l'autorità religiosa chiedeva ai contadini e agli artigiani di tornare a santificare il settimo giorno, di lasciare per qualche ora il lavoro, di non frequentare l’osteria e neppure il letto coniugale. Diventano allora comprensibili il dolore del Cristo,trafitto dagli strumenti di lavoro e di divertimento, e il riferimento alla domenica». 





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