Costruire una imbarcazione è una sfida millenaria per l’uomo.
Ricordo che anni fa, nel 2008
forse, cominciai un seminario di etnoantropologia per il SIEB mostrando un
documentario presente tra gli extra di un film poco noto del 2006: “10
canoe”. Affascinato dalla cultura degli aborigeni (Australia), Rolf
de Heer (già regista del più famoso “The
Tracker”) si spinse oltre con il
film “10
canoe”, co-prodotto dalla italiana Fandango, mettendo in scena una storia
arcaica, concepita in collaborazione col popolo di Ramingining e interpretata
esclusivamente da nativi australiani. Tanto ma tanto tempo fa, in un territorio
del Nord dell'Australia. la Terra di Arnhem.
Feci visionare il lungo lavoro (a tratti noioso) occorrente per
costruire una semplice canoa, tratta da un pezzo unico di legno. Tanto tempo e
pazienza: serpeggiava la irrequietezza tra gli studenti, abituati ai tempi
convulsi degli script cinematografici americani. Riuscii nell’intento di far
comprendere come i ritmi di natura e delle popolazioni allo stato di natura
(oggi ben poche) siano ben diversi dalla visione del mondo industrializzato che riteniamo l'unica possibile.
Dall’albero alla canoa. Dalla canoa alla barca.
Tutto mi è ritornato
alla mente visionando il documentario Faber
navalis (2016) di un italiano che si è trasformato da etnoantropologo
in un maestro d’ascia assai peculiare, che ha studiato tecniche di costruzione
in tutto il mondo. Parliamo del campano Maurizio Borriello. Il filmato
di trenta minuti è presente su You Tube e consigliamo di visionarlo in
silenzio, senza fretta superficiale da
“social”.
“Il titolo
del mio film Faber Navalis spiega l’A. - significa in latino Costruttore Navale: parole in una
lingua antica per pronunciare una dichiarazione d'amore pubblica per un
mestiere antico.
Ho realizzato questo film nella speranza di stimolare una
discussione sull'importanza della preservazione dei saperi tecnologici delle
tradizioni marinare e delle imbarcazioni in legno (classiche, da lavoro,
storiche, ecc.). Sento come dovere morale mobilitarmi per il recupero e la
salvaguardia del patrimonio marittimo mondiale e quello della nostra penisola.
La Cultura, la Storia, la Geografia dell'Italia è il mare che la circonda!”
(foto di Sergio De Riccardis) |
Maurizio Borriello
nasce a Napoli nel 1974. È laureato in Lingue e Civiltà dell'Oceano Indiano. Parla indonesiano-malese, hindi ma anche swahili, il che gli ha fornito nei lunghi soggiorni in Asia e Africa Orientale "accesso ai saperi del mare" (come ha ben scritto Carla Pagani su Nautica di Febbraio 2018). Dopo aver condotto diverse ricerche di etnoantropologia in Indonesia, Africa
Orientale e India si trasferisce in Indonesia dove insegna presso la National
University of Jakarta. Dal 2005 al 2006 lavora come volontario alla
ricostruzioni delle imbarcazioni di pescatori distrutte dallo tsunami. Negli
ultimi sette anni vive in Scandinavia di cui gli ultimi quattro in Norvegia
dove restaura barche di interesse storico presso il museo marittimo. Ha
imparato dappertutto, ha nella borsa degli attrezzi strumenti di tecnologie e
culture lontane che non si conoscono ma sono accomunate dal lavoro sul mare.
"Per capire davvero bisogna iniziare a fare"
Da quest’anno nelle scuole italiane si dedica l’11 Aprile
alla Giornata del Mare. Maurizio
Borriello saprebbe coinvolgere le platee di studenti più con il fare che con il
dire. E’ pragmatico oltre che uno
studioso. Ricorda la concezione dell’architetto della definizione vitruviana: l’architetto doveva essere istruito nelle
lettere, nel disegno, nella geometria, doveva conoscere la storia, avere
studiato la filosofia, intendersi di musica e anche avere qualche nozione di
medicina, di giurisprudenza e di astronomia (Vitr., De arch., I, I).
Tale concezione dell'architettura come di una scientia implicante alti e
complessi studi, che deriva in Vitruvio dall'alto livello culturale dei grandi
a. ingegneri del mondo ellenistico, è probabilmente utopistica per il mondo
romano, pur non essendo teoricamente nuova (così docet la Treccani). Un sapere articolato e complesso che si traduce
nel mondo romano in un fare sapiente.
Architectus, dal greco ἀρχιτέκτων, capocostruttore, è
parola introdotta in Roma dalla Grecia e che leggiamo per la prima volta in
Plauto. In epoca tarda il termine architetto sembra degradarsi quasi a
significare anche capomastro. L’ Architectus navalis può essere sia l'architetto di opere portuarie (cfr.
Cic., De orat., i, 14), sia il progettista e costruttore di navi (C.I.L., XII, 723; X, 5371), forse direttore di quei fabri
navales, il cui spirito aleggia nell'opera sincretica di Borriello.
Faber Navalis è stato proiettato in festival di tutto il
mondo riscuotendo consensi e premi:
Napolifilmfestival, Festival Troia teatro, Focus festival NY,
Tieff ecc Tra i premi ricordiamo:
•
San Francisco International Ocean Film Festival
(USA) – (WINNER: IOFF 2017 MARITIME AWARD)
•
IntimateLens – Festival of Visual Ethnography
(Italy) (Special Mention)
•
Open Art Short Film Festival (Germany) (2nd
prize for Best Director of Photography and 2nd prize for Best Fine Art Film).
Il fascino di questo documentario origina dalla concretezza
della passione secolare; deriva dal fatto
che il film non mira a raccontare come tecnicamente sia costruita la barca (di tali
documenti è piena la Rete), ma descrive uno stato mentale, un’esperienza creativa
che trasuda sensorialità. Il maestro d’ascia amplia la propria coscienza, percepisce
ed è percepito dal legno, ascolta e carezza, tocca ed è toccato in un tutto unico, un set
sistemico che trasmette serenità e compiutezza del Sé. Forse dopo l'Arco Zen di Eugen Herrigel, la Motocicletta Zen di Robert Pirsig ci mancava una Barca Zen. Ora l'abbiamo. (achille miglionico)
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