lunedì 27 febbraio 2017

LETTERA DI UN DOCENTE PUGLIESE





LETTERA DI UN DOCENTE PUGLIESE
Breve diario di un mestiere in alto mare

         Sono un docente di scuola media superiore ed insegno materie scientifiche da oltre 25 anni. Nella mia carriera scolastica ho avuto la fortuna di sperimentare i vari livelli della mia professione, da figura strumentale (figure particolari che si occupano di certi progetti) a responsabile per vari progetti di interscambio con scuole europee, fino alla mansione di vicepreside che ho svolto per circa 8 anni.
         Tutte queste esperienze, e il contatto continuo con i ragazzi, sono stati un punto di osservazione formidabile per comprendere alcuni aspetti della nostra professione, affascinante ma anche carica di grosse incognite.
         Parto da un dato che lessi sul Corriere della sera alcuni anni fa: si sosteneva che quasi un terzo dei docenti italiani facessero uso di psicofarmaci per entrare in classe e affrontare gli alunni a loro affidati.
E’ sotto gli occhi di tutti che le nuove generazioni stiano cambiando vertiginosamente nel giro di pochi anni. Mi ricordo ancora la frase di un mio ex allievo da poco diplomatosi che mi chiedeva: “Ma come fate a sopportare questa massa di selvaggi?”. “Selvaggi…” così definiva i ragazzi poco più piccoli di lui, nei quali lui stesso non si riconosceva più.
         E infatti come sono cambiati nel giro di pochi anni i nostri ragazzi! Un dato fra tutti, la dipendenza morbosa che hanno dai loro cellulari, quasi fossero una propaggine di loro stessi, di cui non possono fare a meno, anche durante i momenti di lezione.
         Di contro il sentimento sempre più diffuso tra i miei colleghi è quello di rassegnazione mista a frustrazione. Sembra quasi che non abbiamo più gli strumenti per affrontare la realtà di questa “orda di barbari”, come li definiva il mio allievo, perché i vecchi strumenti si rivelano sempre più armi inutili e spuntate.

         Perché è accaduto tutto ciò?

         Senza perderci dietro inutili analisi statistiche mi limito ad osservare due semplici cose:
1.     Nessuno può dare ciò che non ha: se non abbiamo un messaggio forte da comunicare ai nostri allievi non ce lo possiamo inventare di sana pianta.
2.    Si è da tempo rotta la sana alleanza insegnanti-genitori, per cui i docenti salgono sempre di più sul banco degli imputati, giudicati da genitori incapaci spesso di distinguere le azioni che compiono i loro figli, che devono difendere spesso a spada tratta, anche quando il loro torto è evidente.
C’è da dire che in Italia siamo ancora fortunati, perché a differenza di altri stati europei i docenti non rischiano, nella stragrande maggioranza dei casi, di essere accoltellati o malmenati, ma la tendenza è purtroppo quella, e francamente mi fa paura l’idea di dover ancora combattere in questa scuola per altri 13 anni, sapendo che le cose potranno peggiorare più che migliorare.
Soluzioni? Lascio aperta la domanda, e del resto non potrebbe che essere così, mi limito ad osservare che spesso noi conosciamo i ragazzi meglio di quanto li conoscano i loro genitori, perché passiamo più tempo con loro e li vediamo sotto aspetti diversi.

Cerchiamo una strada buona per loro e per noi innanzi tutto, senza della quale la vita perde gusto e significato, pena il cadere nell’oblio di una realtà che ci considera sempre più dei poveri (viste le nostre paghe) privilegiati, falliti privi di carattere e prospettive. 21 Febbraio 2017. (lettera firmata)

2 commenti:

  1. Purtroppo la mission di molte scuole non è più legata alla cultura ma si focalizza sull'educare. Questo spesso rende frustrante la professione di insegnante.

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    1. Se viene meno la agenzia educativa familiare in effetti crolla anche la alleanza didattica docenti-discenti-genitori per cui anche l'appreso a scuola si perde in una sorta di neoanalfabetismo di ritorno

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