martedì 27 gennaio 2015

Hungry hearts - recensione



Un amore malato frutto di fame d'amore, che scava il corpo fino ad unire le deboli ossa con un sottile strato di pelle, unica superficie che rimane in contatto col mondo. Mina (Alba Rohrwacher) è una giovane donna che vive a New York per lavoro, incontra Jude (Adam Driver) nello stretto spazio della toilette di un ristorante ed il suo unico sorriso è l'inizio della loro storia d'amore. Lo spazio che li accoglie  si allarga di poco, nella misura di un monolocale dove un amore già in odore di minaccia per la notizia del trasferimento di Mina, prende forma e si salda attraverso un test di gravidanza. Della loro festa di matrimonio rimangono le note di "Tu si na cosa grande" che Jude dedica a Mina, il suo vago sorriso, pochi passi di una danza che emana amore e dolore, e parole che confermano la solitudine di Mina gridate oltre la musica alla mamma di Jude. E poi un sogno ricorrente, sempre quello, di un colpo di fucile, del cervo abbattuto e del cacciatore che svanisce nella notte. Un sogno che scava mente e corpo, conduce Mina in una bolla che separa lei ed il suo bambino indaco dal resto del mondo, e mentre si lascia guidare da un credo basato su un'alimentazione vegana e biologica, rifiuta ogni consulto medico tanto da compromette la gravidanza ed il parto. La fiducia, l'amore di Jude nei confronti di Mina è tanto forte da consentirle di comprimere la loro vita nello spazio di una casa asettica, senza sole, senza mondo, senza voci, solo pelle di Mina sulla pelle del suo bambino. Forse non si può inventare un amore solo sognato e mai vissuto. L'istinto di protezione di Jude verso suo figlio che non cresce si insinua fino a rompere con violenza la bolla di follia di Mina, sostenuto solo dal conforto di sua madre, una lucida e feroce Roberta Maxwell. Saverio Costanzo mette in scena una storia tratta dal romanzo "Il bambino indaco" di Marco Franzoso scavando nell'animo umano attraverso una macchina da presa che restringe ed allarga gli spazi fluttuando nel dolore e con una lente deformante ritrae ancora una volta una realtà segnata dalla solitudine. La storia di una follia che di straordinario ha solo l'unione armonica di una fotografia bellissima di un dramma che a tratti sconfina nel thriller, l'interpretazione di Alba Rohrwacher il cui profilo ha i tratti autentici del dolore e di Adam Driver , premiati a Venezia con la Coppa Volpi. Ma l'epilogo è orizzonte, è mare e cielo che si sfiorano, è ancora speranza che tra diverse forme di amore possa vincere la più pulita passando oltre ogni dolore. (Antonietta D'Ambrosio)

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