sabato 5 febbraio 2011

TEATRO - Le allegre comari di Windsor


di Michele Miglionico
Una maestosa scultura della regina Elisabetta I in trono occupa buona parte della scena. Con grande irriverenza, è tra le gambe della cosiddetta Vergine di Ferro che avviene l'andirivieni dei personaggi tra un ambiente all'altro.
Questa commedia fu commissionata al Bardo proprio dalla sovrana omaggiata e dileggiata dallo scenografo Luigi Perego. E si sente, in questo testo, una mancanza di personale ispirazione da parte del più grande drammaturgo della storia, impegnato a metter giù una farsa da manuale - nel senso dispregiativo del termine. Questa superficiale analisi serve ad avvertirvi che il testo, di per sé, non ha la forza del classico Shakespeare.
Eppure l'adattamento del regista Fabio Grossi e di Simonetta Traversetti ci mette nel suo, infarcendolo di un linguaggio scurrile lontano dall'idea e dal ricordo che abbiamo del dialogo poetico del commediografo inglese. Una scelta dettata dalla necessità di adeguarsi ai tempi? Qualche risata in più la si guadagna, ma a che costo?
Per fortuna a catalizzare le nostre attenzioni c'è il magnifico Leo Gullotta, irriconoscibile e trasfigurato nel corpo, nella voce e nell'atteggiamento richiesti dal ruolo dell'obeso Sir John Falstaff - convincente e irresistibile, per farla breve. A seguire, le protagoniste che danno il titolo all'opera, la signora Page (Rita Abela) e la signora Forge (Valentina Gristina), comari volutamente sopra le righe, con i loro falsi melodrammi e le loro risate stridule, burattinaie di tutta la serie di scherzosi complotti ai danni di Falstaff, colpevole di aver cercato di sedurre entrambe per attingere ai loro patrimoni.
La commedia è corredata da comprimari machiettistici, come il Dottor Caius, medico francese, e Sir Evans (Paolo Lorimer), il curato gallese, costretti ad accentuare i loro tratti caratteristici - nel primo caso una parlata a metà tra il francese e l'italiano/inglese, nel secondo caso un latino ecclesiastico da manzoniano "latinorum"; così come Monna Quickly (Mirella Mazzeranghi), i cui dialoghi sono infarciti di giochi di parole dettati dalla sua ignoranza, o il gaio Slender (Fabrizio Amicucci). Tutte scelte che, all'atto pratico, minano la fluidità e la comprensibilità delle battute. Un problema riscontrabile anche negli stacchi musicali previsti e che è bene aspettarsi.
Tirando le somme, i grandi sforzi del pur buon cast, aiutato da un ottimo lavoro di scenografi e costumisti, per colpa di limiti intrinseci della piéce e della regia, portano a risultati non all'altezza delle aspettative e delle energie profuse. Il che è un vero peccato.
Visto il 04/02/2011 a Barletta (BT) Teatro: Curci

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