Riproduciamo, con permesso della fonte, articolo a nome di Nico Di Leo, tratto da Civilitas Contadina.
Intervista al dr. Achille Miglionico (da Civilitas Contadina )
Incontriamo sulla litoranea di Barletta (in data 4 Maggio 2017) il dr. Achille Miglionico, medico neuropsichiatra perfezionato in antropologia culturale e forense il quale si occupa da anni di etnopsichiatria nella nostra società multietnica. È formatore in counselling e mediazione familiare, psicoterapia presso l’istituto SIEB (Seminari Internazionali Eric Berne, con sede in Italia e in Spagna). Come medico volontario ha svolto l’attività presso i Samburu ed i Kikuyu in Kenya, Africa, presso le missioni della Consolata.
Da quanti anni si occupa di psichiatria?
Debbo dire la verità? Mi imbarazza far sapere che ho superato i sessanta…Mi occupo di neuropsichiatria da prima di specializzarmi: subito dopo la laurea in Medicina a Bologna cominciai su doppio binario a lavorare sia in ambito psichiatrico, in una struttura residenziale convenzionata sia in ambito ospedaliero in medicina interna. A Bologna l’ex ospedale psichiatrico era a San Luca, quella chiesa che si raggiunge anche a piedi con centinaia di scalini, sui colli. Ricordo che da studente avevo timore di essere contagiato dalla “follia” ed entrai in punta di piedi in quel mondo che mi affascinava, lì dove la mente si ammala, pronto a scappare… Ma, vede, alla fine non sono mai scappato. Un bellissimo lavoro mi attendeva e mi attende tuttora nello studio privato di Trani, ove vivo e opero da anni.
Come ha visto cambiare la mente e le abitudini della gente in questi anni?
Innanzi tutto dagli anni Ottanta la visione comune delle malattie e del disagio mentale si è modificata alquanto: si sono superati pregiudizi sugli “strizzacervelli” e non ci si vergogna più di rivolgersi ad uno specialista per i motivi più comuni. Anche da un cardiologo non si va solo per un infarto miocardico ma per controlli periodici e di routine. Così ora non si pensa più – come una volta – che lo psichiatra si occupi solo di schizofrenia e di psicosi ma si sa che si occupa soprattutto di prevenzione e cura: bambini, adolescenti, adulti, coppie, famiglie ed oggi sempre più anziani sono gli utenti di oggi. La fascia geriatrica con i suoi problemi anche psicogeriatrici (demenze ecc.) è sempre più rilevante in una società a crescita zero e così longeva. Dagli anni Novanta lo scenario è poi reso più complesso dai flussi migratori che hanno interessato il Mediterraneo e l’Italia e il quadro psichiatrico si è dovuto aggiornare su tematiche culturali “diverse” da quelle europee ed europocentriche.
Se dovesse fare delle correlazioni tra le civiltà del passato, prevalentemente contadine, e quelle odierne, industrializzate e super tecnologiche, cosa emergerebbe?
Quello che è davanti agli occhi di tutti. Qui per esempio a Barletta vedo che sono scomparsi i “trabucchi” che fino a qualche anno fa ci dicevano come si pescava dalla costa. I mari erano più pescosi e meno sfruttati, meno inquinati. Oggigiorno i cambiamenti climatici ci stanno tropicalizzando il Mare Nostrum. Che dire della industrializzazione disumanizzante e ostile alla conservazione dell’ambiente e della salute pubblica? (Taranto e le sue vicende ecologiche sono solo un esempio). Che dire della speculazione edilizia dagli anni Sessanta che hanno sconvolto la bellezza dei nostri centri abitati prima testimoni di lavori marinari e/o rurali? Nel corso di una sessantina di anni si è assistito alla trasformazione dei paesaggi e delle menti: da contadine e marinare a menti “urbanizzate” sempre più staccate dalla Natura. Molti bambini non sanno che cosa è un funerale (magari vietati in città) né hanno mai visto da vicino una mucca, un cavallo murgiano, un asino di Martina Franca, se non in gita scolastica oppure in agriturismo. La tecnologia ha modificato il lavoro rurale: non sappiamo neanche certi attrezzi del passato prossimo a che cosa servissero. Occorrerebbe istituire a fini turistici e identitari più musei etnografici che ricordino le nostre origini rurali e marinare.
In provincia BAT non mi risulta la presenza di musei etnografici atti a preservare la cultura rurale di un tempo. Personalmente ho visitato su appuntamento un museo a Gioia del Colle (a cura dell’appassionato dr. veterinario Vito Santoiemma)…Ho visitato altri piccoli musei, tutti privati. Si parla a Barletta di fare un Museo del Mare: sarebbe bello salvaguardare il versante rurale della nostra storia. Tornando a noi, a quando si possono datare le prime civiltà contadine?
E’ noto che l’Homo sapiens passò dal ruolo storico di cacciatore-raccoglitore (nel Paleolitico) a quello di agricoltore e poi di allevatore. È la grande Rivoluzione del Neolitico a segnare l’iniziale sfruttamento delle risorse ambientali con modalità non più casuali ma attivamente progettuali. Cambiò la nostra dieta e la natura incominciò ad accorgersi che questo supermammifero da lei partorito sarebbe potuto divenire alquanto scomodo ed invadente con il suo supercervello. Il paesaggio si trasformò, si antropizzò gradualmente sino alla formazione di centri protourbani e urbani. Ecco che l’Uomo si allontana sempre di più dall’asse naturale, con tutti i pro ed i contro. Quando chiesero al grande etnografo Alfred Metraux se gli sarebbe piaciuto vivere in un’altra epoca egli rispose: “Oh sì, nel Neolitico…”, poi ci pensò su e disse:”…No, no, non esistevano i dentisti…”
Cosa intende lei per civiltà contadina?
Quello che intendete voi di Civilitas contadina. Tecnicamente si dovrebbe parlare di “cultura” o “subcultura” contadina. Ma io credo che voi abbiate accostato la “civilitas” legata alla urbanizzazione auspicando un recupero della cultura ed economia contadina. Per questo apprezzo il vostro sito e la vostra iniziativa. L’agricoltura ed il turismo sono meno lontani dall’asse naturale e forse ci permetteranno di uscire più puliti ed ecocentrici dalla Crisi mondiale. Ecocentrico è significato opposto a egocentrico: una cultura e politica centrata sull’ambiente e non sull’Ego in espansione dell’Uomo.
Ha dei ricordi particolari della sua vita legati alla civiltà contadina?
Un sacco di ricordi.
Ricordo che un giorno io e mio padre, cittadini da generazioni, incontrammo per un tratturo un contadino che ci salutò. Rimasi sorpreso – avevo sete-otto anni – che mio padre lo conoscesse. Mio padre disse che non lo conosceva affatto e che in campagna è uso salutarsi quando ci si incontra…Oggigiorno c’è difficoltà ad essere salutati in ascensore dello stesso palazzo. Si perde una fetta di rispetto “civico” paradossalmente proprio nella “civitas”: si finge di non conoscersi anche tra condomini… Ricordo le gite sulle Murge o nella campagna romana (sono nato a Roma): colori, odori e puzze ignote (escrementi, di prodotti caseari, di conserve acri di pomodori); ricordo tavolate di persone accoglienti e discrete, un’alimentazione semplice e saporita fatta di poche proteine ma condita di sorrisi e allegria conviviale. Come in certe pubblicità che si vedono in tv e che sembrano artificiose. La merendina che ci preparava la nonna poteva essere poco “cittadina” ed a base di filoncino di pane e semplice olio di oliva. Stupendo olio pugliese che poteva divenire una punizione quando lo si usava come purgante: un cucchiaione nauseabondo di olio dato da una zia solerte poteva essere un trauma psichico e addominale, sai?
Meglio una “cialdella” o “pane condito” alla pugliese. Il pane cunzat’ è noto sia in Puglia (a Corato p.e.) sia in Sicilia. Le friselle e crostini con pomodori, olio e sale si usano un po’ dappertutto. Anche in Catalogna sono servite nei ristoranti e nelle case…Mi sto dilungando eh? Non si dovrebbe mai chiedere di ricordare a chi ha vissuto in tante regioni italiane…
Come considera lei la Pet Therapy?
Rispondo con un altro ricordo prossimo. Un giorno nell’ambito di una festa organizzata a fini di riabilitazione psicosociale per utenti psichiatrici un nostro fisioterapista decise di montare il proprio cavallo vestito da Babbo Natale: il cavallo attrasse la attenzione di alcuni residenti di origine pugliese e vedemmo un paziente sempre isolato e schivo avvicinarsi all’animale senza timori, con decisione e carezzarlo carezzarlo con un sorriso, come se si fossero riconosciuti dopo anni di lontananza. Fu toccante e mi sembrò di assistere all’incontro di Ulisse con il cane Argo…Si credo nella Pet Therapycome ausilio riabilitativo. Molte persone sole forse non sarebbero così sane senza la presenza familiare di un animale come un cane o un gatto.
Come immagina il futuro?
Sono fondamentalmente ottimista. Torneremo ad un recupero della dimensione naturale in armonia con le realtà urbane e forse la storia stessa penserà a ridimensionare megalopoli prive di autosufficienza e talora dignità di esistenza. L’agricoltura è il presente ed il futuro.
L’agricoltura, la pesca, l’allevamento, il piccolo artigianato potrebbero essere determinanti riscoperte in un tempo di crisi ?
Certamente. Sia in senso economico sia in senso esistenziale. Purché pesca e allevamento siano rispettosi degli equilibri naturali.
Fa bene alla mente il contatto con la natura?
Ti cambia. Ti risintonizza con i bioritmi millenari. Ti cura. Per esempio all’Equatore il sole sorge alle sei e tramonta sempre alle diciotto. In un attimo. Come un interruttore cosmico e cambia flora e fauna africana. Dopo alcuni giorni di permanenza nella savana per esempio ci si sente collegati a qualcosa di profondo e antico e si rientra in questo ciclo nictemerale (luce-buio) come se ti fosse sempre appartenuto smettendo di vivere come in un “termitaio” – come mi disse qualcuno lì… L’Homo sapiens viene da lì dall’Africa, quel bioritmo è in noi, a qualche parte, forse nel patrimonio genetico che ha i suoi “clock” intrinseci… Ma anche alzarsi all’alba sulla spiaggia o sulle Murge ha un che di magico e corroborante…Provare per credere. Oggi i giovani (e non più tali) tendono a vivere contro-natura di notte: sono in aumento disturbi del sonno con i rischi psichiatrici connessi. E’ bello vivere la notte ma ogni tot, non ogni giorno: “scassa” la mente prima o poi, anche senza abuso di sostanze psicoattive che imperversano sul mercato.
Lei ha svolto del volontariato in Africa. Questa esperienza cosa le ha portato dal punto di vista umano e professionale?
Se mi metto a parlare di questo abbiamo bisogno di un’altra intervista. Lavorare fuori dell’Europa, in realtà antropiche e sanitarie difficili insegna la umiltà ed il recupero della missione medica, spesso smarrita o mai ricercata.
Cosa si sentirebbe di dire ai giovani che al giorno d’oggi si sentono in crisi e smarriti?
Non troverete mai il senso della vita on line. Non vi aspettate che il senso di vita vi venga in eredità o servito a tavola. Ognuno di noi ha bisogno di un senso, come diceva Viktor Frankl, lo psichiatra scampato ai lager nazisti. Quel senso-direzione è una bussola intima da seguire. E non è vero, come recita la pur bella canzone di Vasco Rossi, che “questa vita un senso non ce l’ha”. Ce l’ha se gliela dai tu. Non ha senso se credo nel non-senso, nello sballo, nel vuoto… Poi dico da tempo agli adolescenti: chiedete aiuto quando ne avete bisogno, non dimenticatevi degli adulti ok che vi circondano. Chiedete aiuto e confrontatevi. La vita è bella ed una. Esistono per questo i professionisti di aiuto.
Che critica farebbe alla società odierna?
Non è una critica. Concordo con la visione sociologica di Zygmunt Bauman sulla società liquida. Un mix di globalizzazione dei mercati e di schizofrenia mediatica sta rendendo i confini societari ed individuali assai liquidi, indistinti. Sono insorti odi di sapore regressivo e religioso alla ricerca di una identità perduta nella palude consumistica. Siamo dinanzi ad un bivio: o ci riappropriamo consapevolmente dei confini egoici rispecchiandoci nell’Altro, nel rispetto del diritto e della biosfera che ci ospita oppure finiremo in una medioevalizzazione societaria dove ognuno è per sé (e Dio per tutti?). Su tutto aleggia il destino incerto di Una Europa che stenta a decollare ma che costituirebbe una sicurezza per noi e il mondo stesso. Ma io ci credo ancora nell’Europa, da quando alle elementari sembrava un miraggio.
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