lunedì 19 maggio 2014

Locke - recensione



  







Tra i colori e la malinconia della notte, su un'autostrada che divide in due la coscienza di Ivan Locke, procediamo lungo la linea che segna la sua vita, e le luci dei lampioni, le macchine ed altre vite che ci scorrono di fianco sono il senso di quanto l'esperienza possa stravolgere qualsiasi calcolo razionale rivelando che per ognuno lo spirito è una tavola nuova da incidere, e forse non a caso il nome del nostro protagonista ci riporta alla filosofia di Locke. Tutto ciò che si vede è l'autostrada, l'abitacolo di una macchina ed il volto di Ivan Locke (Tom Hardy) da tre angolazioni diverse, che procede verso Londra dopo aver ricevuto la telefonata di Bethan. Sembra quasi che lei lo aspetti come se stesse aspettando Dio o Godot, e nel modo in cui Beckett ci conduce verso l'assurda attesa di una vaga redenzione, Locke si dirige da lei, ora, perché sa di non avere scelta, e lo ripete continuamente tra le varie telefonate che si alternano, a sua moglie Katrina e ai suoi figli che l'aspettano a casa mentre guardano la partita, al suo capo Garreth e a Donald, l'unico collaboratore che stima e a cui decide di affidare la gestione della più grande colata di calcestruzzo prevista per l'alba dell'indomani. Locke è un costruttore impeccabile, conosciuto da tutti come il migliore, e sa bene quanto un errore di calcolo possa compromettere e far crollare un edificio,  e la sua storia, l'assunzione di responsabilità a cui non rinuncia mentre guarda il sedile posteriore vuoto e rinfaccia al fantasma di suo padre  di aver fatto il contrario, ci portano a comprendere come anche gli edifici morali su cui si basano le nostre certezze possano rivelarsi fragili. Locke ha ripulito il suo nome con la sua vita, si è riscattato, ed ora sempre in nome della verità è pronto a veder crollare tutto e noi, persi nello sguardo di Tom Hardy, siamo con lui, sentiamo l'urgenza di andare, di organizzare, di spiegare, e al suono di una nuova vita i lampioni della notte si gonfiano di lacrime. Steven Knight, con un colpo da maestro, ci svela quanto non sia necessario un ricco cast costellato di grandi nomi per rendere grande un film, il più applaudito al festival di Venezia 2013, e i titoli di coda accompagnano il nostro stupore, ci colgono smarriti per quanto il dramma umano di Ivan Locke possa essere di tutti, frutto dell'imprevedibilità della vita.
Antonietta D'Ambrosio


1 commento:

  1. L'assunzione di responsabilità è indice di onestà, correttezza ed integrità morale.
    Lo è anche a costo di devastare affetti ignari ed inconsapevoli ?
    Lo è se la molla che aziona tutto ciò è armata dalla voglia di riscattare una figura genitoriale che, seppur amata, ha scavato solchi profondi nell'animo?
    Beppe

    RispondiElimina

INFORMATICA-MENTE: DAL SÈ INTRAPSICHICO AL SÈ RELAZIONALE Tra cibernetica e metapsicologia

  Antonio Damasio, neuroscienziato portoghese *Pubblichiamo, su richiesta di Colleghi e per facilitare la ricerca, questo articolo scientifi...