Mokululu è a NE del Monte Kenya |
La mia infanzia è stata influenzata da alcune
famose riviste che mio padre faceva circolare in casa. Una era “Conoscere”, rivista
illustrata di scienze e storia (mi hanno
indotto a scegliere studi di medicina e antropologici); l’altra era l’edizione
italiana della nordamericana Reader's Digest, fondata nel 1922 a Pleasantville (New
York) da DeWitt Wallace e dalla moglie Lila, e raccoglieva una selezione di
articoli particolarmente interessanti pubblicati da altri periodici. In
sostanza Selezione del Reader's Digest, rielaborava il
lavoro di altri, si diceva che lo "condensava", il che appariva
evidente dal formato tascabile della rivista. Una rubrica che leggevo da
bambino sulla storica rivista Selezione
del Readers Digest si intitolava così: “Un
uomo che non dimenticherò mai”. Uno di questi l’ho incontrato in Kenya, a Mokululu, a nord-est del Monte Kenya,
in terra di etnia Meru: il fratello della Consolata Giuseppe Argese, un pugliese incallito, malgrado da tempo, per
l’età, non rientri in Italia.
Il fratello dinanzi alla chiesa da lui costruita |
Ha ospitato il nostro piccolo gruppo di medici e
odontoiatri al rientro da una missione sanitaria svolta in agosto 2013 (tra
Wamba, Sererit e Lago Turkana). Ci ha preparato dopo giorni di astinenza
bucatini al ragù pugliese, frittura di cardi e – udite, udite - cicorie e purea di fave: a vedere la tavola
così imbandita siamo allibiti piacevolmente più che nel Chalbi Desert a entrare
nell’oasi di Kalacha che interrompe le distese di terra arsa e sale bianco. Per
risolvere il quesito manzoniano del “Carneade? Chi era costui?” qualcosa la
dobbiamo dire. Nato il 10 novembre 1932 a Martina Franca (Taranto) il fratello
Giuseppe Argese è al servizio delle popolazioni del Kenya quale Missionario
della Consolata da oltre 50 anni. Dopo aver frequentato le scuole elementari in
Italia ed essere stato interrotto negli studi dalle tristi vicende della
Seconda Guerra Mondiale, egli diviene apprendista muratore: avvertendo
profondamente il desiderio di aiutare il prossimo, prende i voti come
Missionario della Consolata il 1 Novembre del 1953. Queste informazioni, si
badi, le ho ricavate altrove perché il fratello ha un
eloquio semplice e scarno, quasi laconico. Lavoratore umile ma di spiccate
capacità ed intelligenza, da sempre tenace e determinato, si fa notare in
Italia già per alcuni lavori nella casa madre di Torino e per una diga
costruita sul fiume Pesio, che appare come un presagio della sua vita futura. Nel
frattempo Giuseppe Argese incrementa le sue conoscenze tecniche presso l’Istituto
Svizzero di Tecnica in Luino, con un corso per corrispondenza: così si svolgeva
allora l’e-learning. Forse qualcuno
ricorda il “Corso Radio Elettra Torino”, pubblicizzato in tv negli anni
Sessanta: si svolgeva per corrispondenza.
Una delle Dighe che trattengono l'acqua all'interno della foresta equatoriale
I
superiori notano le capacità del giovane e lo inviano in Kenya nel 1957 ove
partecipa alla costruzione della cattedrale di Meru, delle chiese di Maua e
Turu ed incomincia ad addestrare i locali al lavoro di muratori. Ma è nel 1959
che egli si imbarca in una delle imprese che lo renderanno famoso e degno erede
della tradizione idraulica romana: pianifica e costruisce acquedotti a Egoji,
Murinya-Kiirua, Nkabone, Riiji, Mikinduri, Tigana, Isiolo, Nkubu, Nthambiro,
Timau e Kathita-Gatunga. Scusate il dettaglio ma non nascondiamo fin d’ora che
ci fa meraviglia che questo uomo, che ha tanti meriti ed ha ricevuto
riconoscimenti ovunque, non sia stato proposto per il Nobel della Pace.
Ascoltate. Agli inizi degli anni sessanta comincia a lavorare al Tuuru Water Scheme, portando acqua alla Tuuru Home for Disabled Children colma
di poliomielitici e gravi disabili ed alla popolazione di Nyambene.
L’acquedotto di Nyambene, tuttora in funzione serve da decine d’anni una
popolazione di oltre 300.000 persone
nel nord-est con 250 km di condotte e oltre 8 milioni di litri d’acqua. Non è
poco. Un medico salva se ci riesce una vita alla volta, un acquedotto – questa
la visione non visionaria di fratello Argese – salva contemporaneamente migliaia e migliaia di persone. Non è
pari ad un Fleming che scoprì la penicillina e salvò migliaia di persone
(compreso lo scrivente all’età di un anno di vita)? Anche fratello Aldo Giuliani, a Sererit, sotto le Ndoto Mountains – ove
abbiamo avuto il privilegio di fare ambulatorio per i Samburu -, ha raccolto con
un acquedotto rudimentale acque montane e le distribuisce con la jeep tra le
manyatte samburu. Un altro tenace missionario che rende lustro alla chiesa.
Come tanti sconosciuti. Tornando al nostro Giuseppe pugliese, il progetto Tuuru Water Scheme è in espansione, ci risulta, se le autorità
locali non si faranno troppo attendere (corruzione politica ed indolenza non
difettano qui come altrove).
Br.
Argese è stato soprannominato Mukini - che significa “quiet man” , “uomo tranquillo” – ma anche affettuosamente “orso silenzioso” che la dice lunga sul suo carattere fattivo e
di poche parole: un cartello sul suo “chalet” in quel pezzo di Svizzera che è
la missione di Mokululu avvisa della “orsità” del fratello che in realtà è
assai ospitale e ricco di grezza comunicativa sui temi che lo interessano. Le
sue opere non si limitano alle dighe, costruisce bacini di raccolta per
mantenere flussi di acqua anche nei periodi secchi. La sua intuizione è stata
quella di raccogliere acqua di condensa dal fogliame della foresta equatoriale,
acqua che si sarebbe altrimenti persa.
Uno dei canali di raccolta scavati nella roccia non a caso si chiama
“Giovanni Paolo II”. Qui la spiritualità si traduce dalla metafora alla realtà
del quotidiano, si tramuta in acqua vera, acca-due-o, H2O. “Development of the human person”, questo è la autentica missione.
L’uomo va edificato prima di poter scegliere di essere cristiano; la qualità di
vita degli uomini avanti a tutto, questo il credo trasmesso dalle opere di
Giuseppe. Non c’è bisogno di intervistarlo. Il missionario ha scarne parole ed
opere grandiose. Basta curiosare nella dimora fabulistica, in quello chalet
stridente con la africanità. Nello chalet dell’Orso silenzioso, tra gli infiniti appunti appesi alle pareti vi
sono frasi tutte significative dei diversi aspetti personologici di un copione
vocazionale: ”Non il riposo è riposo ma
il mutar fatica alla fatica è riposo”. Un’altra frase dice, con grafia
incerta: “ Ciascuno si qualifica per il
suo nome proprio, per il suo carisma, per la capacità di fare andare avanti il
mondo e promuovere il regno di Dio” Cammino nella incerta luce, scorro la
parete con lo sguardo quasi furtivo nel timore di rubare il soul di questa filmica location. Ho pensato alla luce e mi
ritrovo a leggere: “Non avventarti contro
le tenebre; pensa piuttosto a tenere accesa la tua lampada”. La frase è
ripresa da un certo Carmignac (cerco su Google appena possibile: Jean
Carmignac? L’abate biblista studioso dei Manoscritti di Qumran?). Personalmente
sono affascinato dal sapore essenico della Comunità di Qumran e del
giudeocristianesimo. Ma sono d’accordo sul fatto che bisogna pensare
globalmente ed agire localmente. Forse per questo sono qui come medico. L’impulso
e la ragione si soccorrono a vicenda, dicendoti di fare qualcosa, di non
perderti nel Tutto e nella onnipotenza
di cambiare il mondo: fai qualcosa qui
ed adesso. Richiama il concetto di agency
del sociopsicologo canadese Albert Bandura, quello per intendersi che dimostrò
come i bambini imitassero la aggressività dagli adulti con l’esperimento della
bambola Bobo. Procedo tra i pensieri nella stanza. Ecco che trovo il perché di
quella vita fragile e poderosa al tempo stesso nell’ultimo foglio di carta di
quaderno che fotografo (per memorizzare come una spia): “Come dice Aristotele ‘Dove una neces(s)ità [con una esse] del mondo ed i talenti si incrociano, lì starà la tua vocazione”.
Questa è la Spiegazione. Frasi appese
solo a punes che altrove suonerebbero enfatiche, retoriche o persino banali ed
irritanti. Perché irritano le coscienze? Le persone troppo buone, siano esse
missionari o papi, sono irritanti; quelle cattive sconfortanti.
Che
Uomo è mai questo? Il Path to Peace Foundation ha assegnato nel 1999 a Br. Giuseppe Argese
il titolo di “Servitor Pacis” - Servant of Peace. Nessuno però lo propone per il
Nobel della Pace. Perché non è famoso; perché è cattolico (e tutti i cattolici
sono pedofili); perché non è Arafat (che portava il kalashnikov con sé anche a letto, tanto da irritare l’alleato egiziano
Nasser); perché non è Obama (che è il comandante in capo delle forze armate USA,
pronto a bombardare la Siria); perché non è Internet (parimenti proposta al
Nobel); perché non l’UE (che si è premiata da sola con il Nobel della Pace, per
non essere razzista come teme sempre di essere). In una fase storica di
detensione etica (come la attuale)abbiamo bisogno di fiammiferi per orientarci
nelle “tenebre”, figuriamoci quanto avremmo bisogno di fari veri. (achille miglionico)
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