venerdì 20 settembre 2013

Un Uomo che non dimenticherò mai: Br. Giuseppe ARGESE



Mokululu è a NE del Monte Kenya
La mia infanzia è stata influenzata da alcune famose riviste che mio padre faceva circolare in casa. Una era “Conoscere”, rivista illustrata di scienze  e storia (mi hanno indotto a scegliere studi di medicina e antropologici); l’altra era l’edizione italiana della nordamericana Reader's Digest, fondata nel 1922 a Pleasantville (New York) da DeWitt Wallace e dalla moglie Lila, e raccoglieva una selezione di articoli particolarmente interessanti pubblicati da altri periodici. In sostanza Selezione del Reader's Digest, rielaborava il lavoro di altri, si diceva che lo "condensava", il che appariva evidente dal formato tascabile della rivista. Una rubrica che leggevo da bambino sulla storica rivista Selezione del Readers Digest si intitolava così: “Un uomo che non dimenticherò mai”. Uno di questi l’ho incontrato in Kenya, a Mokululu, a nord-est del Monte Kenya, in terra di etnia Meru: il fratello della Consolata Giuseppe Argese, un pugliese incallito, malgrado da tempo, per l’età, non rientri in Italia.
Il fratello dinanzi alla chiesa da lui costruita
Ha ospitato il nostro piccolo gruppo di medici e odontoiatri al rientro da una missione sanitaria svolta in agosto 2013 (tra Wamba, Sererit e Lago Turkana). Ci ha preparato dopo giorni di astinenza bucatini al ragù pugliese, frittura di cardi e – udite, udite -  cicorie e purea di fave: a vedere la tavola così imbandita siamo allibiti piacevolmente più che nel Chalbi Desert a entrare nell’oasi di Kalacha che interrompe le distese di terra arsa e sale bianco. Per risolvere il quesito manzoniano del “Carneade? Chi era costui?” qualcosa la dobbiamo dire. Nato il 10 novembre 1932 a Martina Franca (Taranto) il fratello Giuseppe Argese è al servizio delle popolazioni del Kenya quale Missionario della Consolata da oltre 50 anni. Dopo aver frequentato le scuole elementari in Italia ed essere stato interrotto negli studi dalle tristi vicende della Seconda Guerra Mondiale, egli diviene apprendista muratore: avvertendo profondamente il desiderio di aiutare il prossimo, prende i voti come Missionario della Consolata il 1 Novembre del 1953. Queste informazioni, si badi, le ho ricavate altrove perché il fratello ha un eloquio semplice e scarno, quasi laconico. Lavoratore umile ma di spiccate capacità ed intelligenza, da sempre tenace e determinato, si fa notare in Italia già per alcuni lavori nella casa madre di Torino e per una diga costruita sul fiume Pesio, che appare come un presagio della sua vita futura. Nel frattempo Giuseppe Argese incrementa le sue conoscenze tecniche presso l’Istituto Svizzero di Tecnica in Luino, con un corso per corrispondenza: così si svolgeva allora l’e-learning. Forse qualcuno ricorda il “Corso Radio Elettra Torino”, pubblicizzato in tv negli anni Sessanta: si svolgeva per corrispondenza.
Una delle Dighe che trattengono l'acqua all'interno della foresta equatoriale

I superiori notano le capacità del giovane e lo inviano in Kenya nel 1957 ove partecipa alla costruzione della cattedrale di Meru, delle chiese di Maua e Turu ed incomincia ad addestrare i locali al lavoro di muratori. Ma è nel 1959 che egli si imbarca in una delle imprese che lo renderanno famoso e degno erede della tradizione idraulica romana: pianifica e costruisce acquedotti a Egoji, Murinya-Kiirua, Nkabone, Riiji, Mikinduri, Tigana, Isiolo, Nkubu, Nthambiro, Timau e Kathita-Gatunga. Scusate il dettaglio ma non nascondiamo fin d’ora che ci fa meraviglia che questo uomo, che ha tanti meriti ed ha ricevuto riconoscimenti ovunque, non sia stato proposto per il Nobel della Pace. Ascoltate. Agli inizi degli anni sessanta comincia a lavorare al Tuuru Water Scheme, portando acqua alla Tuuru Home for Disabled Children colma di poliomielitici e gravi disabili ed alla popolazione di Nyambene. L’acquedotto di Nyambene, tuttora in funzione serve da decine d’anni una popolazione di oltre 300.000 persone nel nord-est con 250 km di condotte e oltre 8 milioni di litri d’acqua. Non è poco. Un medico salva se ci riesce una vita alla volta, un acquedotto – questa la visione non visionaria di fratello Argese – salva contemporaneamente migliaia e migliaia di persone. Non è pari ad un Fleming che scoprì la penicillina e salvò migliaia di persone (compreso lo scrivente all’età di un anno di vita)? Anche fratello Aldo Giuliani, a Sererit, sotto le Ndoto Mountains – ove abbiamo avuto il privilegio di fare ambulatorio per i Samburu -, ha raccolto con un acquedotto rudimentale acque montane e le distribuisce con la jeep tra le manyatte samburu. Un altro tenace missionario che rende lustro alla chiesa. Come tanti sconosciuti. Tornando al nostro Giuseppe pugliese, il progetto Tuuru Water Scheme  è in espansione, ci risulta, se le autorità locali non si faranno troppo attendere (corruzione politica ed indolenza non difettano qui come altrove).


Mercato Meru

br. Giuseppe Argese
Br. Argese è stato soprannominato  Mukini  - che significa “quiet man” , “uomo tranquillo” – ma anche affettuosamente “orso silenzioso”  che la dice lunga sul suo carattere fattivo e di poche parole: un cartello sul suo “chalet” in quel pezzo di Svizzera che è la missione di Mokululu avvisa della “orsità” del fratello che in realtà è assai ospitale e ricco di grezza comunicativa sui temi che lo interessano. Le sue opere non si limitano alle dighe, costruisce bacini di raccolta per mantenere flussi di acqua anche nei periodi secchi. La sua intuizione è stata quella di raccogliere acqua di condensa dal fogliame della foresta equatoriale, acqua che si sarebbe altrimenti persa.  Uno dei canali di raccolta scavati nella roccia non a caso si chiama “Giovanni Paolo II”. Qui la spiritualità si traduce dalla metafora alla realtà del quotidiano, si tramuta in acqua vera, acca-due-o, H2O. “Development of the human person”, questo è la autentica missione. L’uomo va edificato prima di poter scegliere di essere cristiano; la qualità di vita degli uomini avanti a tutto, questo il credo trasmesso dalle opere di Giuseppe. Non c’è bisogno di intervistarlo. Il missionario ha scarne parole ed opere grandiose. Basta curiosare nella dimora fabulistica, in quello chalet stridente con la africanità. Nello chalet dell’Orso silenzioso, tra gli infiniti appunti appesi alle pareti vi sono frasi tutte significative dei diversi aspetti personologici di un copione vocazionale: ”Non il riposo è riposo ma il mutar fatica alla fatica è riposo”. Un’altra frase dice, con grafia incerta: “ Ciascuno si qualifica per il suo nome proprio, per il suo carisma, per la capacità di fare andare avanti il mondo e promuovere il regno di Dio” Cammino nella incerta luce, scorro la parete con lo sguardo quasi furtivo nel timore di rubare il soul di questa filmica location. Ho pensato alla luce e mi ritrovo a leggere: “Non avventarti contro le tenebre; pensa piuttosto a tenere accesa la tua lampada”. La frase è ripresa da un certo Carmignac (cerco su Google appena possibile: Jean Carmignac? L’abate biblista studioso dei Manoscritti di Qumran?). Personalmente sono affascinato dal sapore essenico della Comunità di Qumran e del giudeocristianesimo. Ma sono d’accordo sul fatto che bisogna pensare globalmente ed agire localmente. Forse per questo sono qui come medico. L’impulso e la ragione si soccorrono a vicenda, dicendoti di fare qualcosa, di non perderti nel Tutto  e nella onnipotenza di cambiare il mondo: fai qualcosa qui ed adesso. Richiama il concetto di agency del sociopsicologo canadese Albert Bandura, quello per intendersi che dimostrò come i bambini imitassero la aggressività dagli adulti con l’esperimento della bambola Bobo. Procedo tra i pensieri nella stanza. Ecco che trovo il perché di quella vita fragile e poderosa al tempo stesso nell’ultimo foglio di carta di quaderno che fotografo (per memorizzare come una spia): “Come dice Aristotele ‘Dove una neces(s)ità  [con una esse] del mondo ed i talenti si incrociano, lì starà la tua vocazione”. Questa è la Spiegazione.  Frasi appese solo a punes che altrove suonerebbero enfatiche, retoriche o persino banali ed irritanti. Perché irritano le coscienze? Le persone troppo buone, siano esse missionari o papi, sono irritanti; quelle cattive sconfortanti.

Che Uomo è mai questo?   Il Path to Peace Foundation  ha assegnato nel 1999 a Br. Giuseppe Argese il titolo di  “Servitor Pacis” - Servant of Peace. Nessuno però lo propone per il Nobel della Pace. Perché non è famoso; perché è cattolico (e tutti i cattolici sono pedofili); perché non è Arafat (che portava il kalashnikov con sé anche a letto, tanto da irritare l’alleato egiziano Nasser); perché non è Obama (che è il comandante in capo delle forze armate USA, pronto a bombardare la Siria); perché non è Internet (parimenti proposta al Nobel); perché non l’UE (che si è premiata da sola con il Nobel della Pace, per non essere razzista come teme sempre di essere). In una fase storica di detensione etica (come la attuale)abbiamo bisogno di fiammiferi per orientarci nelle “tenebre”, figuriamoci quanto avremmo bisogno di fari veri. (achille miglionico)

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