di Michele Miglionico
Grazie alle note biobibliografiche finali, si scopre che la famiglia di Gibran era cattolica maronita. Ma né questo né l'autobiografica poesia finale mi chiariscono del tutto le idee: come l'autore considera Gesù? "Figlio dell'uomo" è il criptico titolo che il Cristo più si attribuisce nei quattro Vangeli, e la scelta per la raccolta di monologhi poteva essere interpretata come una dichiarazione d'intenti, un approccio umano alla leggenda. Invece il Gesù che riportano i settantasette testimoni dell'opera, seguaci o avversari che siano, è il Figlio di Dio, uomo e divinità, che incute soggezione per la sua prestanza fisica e il suo carisma superumano. Le contaminazioni new age non mancano, lo dimostrano i richiami ad altri culti o il rapporto tra Gesù e la Terra; non manca neanche il revisionismo contemporaneo che bolla San Paolo come colui che ha rubato l'immagine del Cristo e ne ha abusato per creare una religione che, fondamentalmente, ha tradito il suo ispiratore. Dove collocare l'opera nello spettro tra ortodossia ed eresia, dunque?
Meglio sospendere le elucubrazioni su approccio filosofico e contenuti, per godere solo dello stile suggestivo e mistico dell'autore, tanto nelle poesie propriamente dette, quanto nella prosa poetica dei vari monologhi. Gibran riesce a inventare e re-inventare le parole del Verbo con credibilità, e spesso con maggiore efficacia dell'originale. Di questo talento non gli si può non dare atto.
Consigliata una lettura da comodino, occasionale e casuale.
Meglio sospendere le elucubrazioni su approccio filosofico e contenuti, per godere solo dello stile suggestivo e mistico dell'autore, tanto nelle poesie propriamente dette, quanto nella prosa poetica dei vari monologhi. Gibran riesce a inventare e re-inventare le parole del Verbo con credibilità, e spesso con maggiore efficacia dell'originale. Di questo talento non gli si può non dare atto.
Consigliata una lettura da comodino, occasionale e casuale.
Nessun commento:
Posta un commento