mercoledì 1 aprile 2009

TEATRO - Il marchese Del Grillo

di Michele Miglionico


Cerchiamo di dimenticare "Il Marchese del Grillo" interpretato da Alberto Sordi e diretto da Mario Monicelli. Non è una provocazione che fa torto alla trasposizione teatrale pensata da Pippo Franco, anzi: è proprio per far vivere di luce propria questo spettacolo, concepito nella piena consapevolezza delle differenze tra schermo e palcoscenico. A giudicare dal comunicato di presentazione, l'adattamento ad opera di Pippo Franco, Massimiliano Giovanetti e Claudio Pallottini ha avuto il placet degli autori originali, il che non stupisce. Il cuore del quasi-storico protagonista c'è tutto. Onofrio del Grillo è e rimane l'emblema della volontà di rompere gli schemi e superare la morale comune, echeggiando (inconsapevolmente?) il super-uomo e lo spirito dionisiaco di Nietsche. Il nobile può permetterselo facendo leva sul suo potere aristocratico ed economico e sulla sua paradossale amicizia con papa Pio VII (un ottimo Ciro Ruoppo). Ciò che cambia è la connotazione dei personaggi di contorno e, in un circolo virtuoso, la trama a sostegno della messinscena. Le figure della madre, dello zio, della sorella, della cugina di Onofrio vengono qui ridisegnate sulla moglie Ortensia del Lezzo (Monica Guazzino), il figlio Leopoldino, artista sensibile e malinconico (Marco de Francesca) e il fratello Oronzo, aspirante Cardinale (Pino Michienzi). Sono loro, insieme all'amministratore Fiorone (Roberto Attias), gli artefici della congiura che si dipana per oltre due ore e che arriva a coinvolgere Gaspare il carbonaio, il sosia del Marchese (una migliore interpretazione di Franco) fino a livelli non previsti dalla sceneggiatura originale. Un complotto forse troppo amaro per i toni di una commedia, che si riscatta in un lieto fine in cui risplende la superiorità morale del Marchese sul parentame. Alcuni degli episodi più memorabili transitano indenni oltre il sipario: p.e. le beffe ai danni del falegname ebreo Aronne Piperno o del rigattiere (suo gemello immaginato per esigenze sceniche), entrambi impersonati da Andrea Perolli. I caratteri, in soldoni, sono al servizio della drammaturgia, resa il più coerente e coesa possibile. Per il giusto timore del confronto con Sordi, Pippo Franco rifugge il suo stile e si cuce addosso l'interpretazione. Purtroppo il suo Marchese, pur nella dignità della sua autonomia, non ha la grinta e la veracità che ci si aspetterebbe dal personaggio, e non è neanche abbastanza "romano", a differenza dei servitori Ricciotto (Francesco Biolchini) e Faustina (Francesca Ceci). La scenografia richiama paesaggi della città eterna, ma si affida molto alla fantasia dello spettatore; ciò non toglie che sia abbastanza mobile e versatile da far passare indenni i cambi di ambientazione, anche tra interni ed esterni. La vita come uno scherzo Cerchiamo di dimenticare "Il Marchese del Grillo" interpretato da Alberto Sordi e diretto da Mario Monicelli. Non è una provocazione che fa torto alla trasposizione teatrale pensata da Pippo Franco, anzi: è proprio per far vivere di luce propria questo spettacolo, concepito nella piena consapevolezza delle differenze tra schermo e palcoscenico. A giudicare dal comunicato di presentazione, l'adattamento ad opera di Pippo Franco, Massimiliano Giovanetti e Claudio Pallottini ha avuto il placet degli autori originali, il che non stupisce. Il cuore del quasi-storico protagonista c'è tutto. Onofrio del Grillo è e rimane l'emblema della volontà di rompere gli schemi e superare la morale comune, echeggiando (inconsapevolmente?) il super-uomo e lo spirito dionisiaco di Nietsche. Il nobile può permetterselo facendo leva sul suo potere aristocratico ed economico e sulla sua paradossale amicizia con papa Pio VII (un ottimo Ciro Ruoppo). Ciò che cambia è la connotazione dei personaggi di contorno e, in un circolo virtuoso, la trama a sostegno della messinscena. Le figure della madre, dello zio, della sorella, della cugina di Onofrio vengono qui ridisegnate sulla moglie Ortensia del Lezzo (Monica Guazzino), il figlio Leopoldino, artista sensibile e malinconico (Marco de Francesca) e il fratello Oronzo, aspirante Cardinale (Pino Michienzi). Sono loro, insieme all'amministratore Fiorone (Roberto Attias), gli artefici della congiura che si dipana per oltre due ore e che arriva a coinvolgere Gaspare il carbonaio, il sosia del Marchese (una migliore interpretazione di Franco) fino a livelli non previsti dalla sceneggiatura originale. Un complotto forse troppo amaro per i toni di una commedia, che si riscatta in un lieto fine in cui risplende la superiorità morale del Marchese sul parentame. Alcuni degli episodi più memorabili transitano indenni oltre il sipario: p.e. le beffe ai danni del falegname ebreo Aronne Piperno o del rigattiere (suo gemello immaginato per esigenze sceniche), entrambi impersonati da Andrea Perolli. I caratteri, in soldoni, sono al servizio della drammaturgia, resa il più coerente e coesa possibile. Per il giusto timore del confronto con Sordi, Pippo Franco rifugge il suo stile e si cuce addosso l'interpretazione. Purtroppo il suo Marchese, pur nella dignità della sua autonomia, non ha la grinta e la veracità che ci si aspetterebbe dal personaggio, e non è neanche abbastanza "romano", a differenza dei servitori Ricciotto (Francesco Biolchini) e Faustina (Francesca Ceci). La scenografia richiama paesaggi della città eterna, ma si affida molto alla fantasia dello spettatore; ciò non toglie che sia abbastanza mobile e versatile da far passare indenni i cambi di ambientazione, anche tra interni ed esterni.

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