venerdì 20 marzo 2009

TEATRO - La rosa tatuata

di Michele Miglionico


Siamo vicini ai massimi livelli di contaminazione con il fratellastro cinema: Tennessee Williams è più famoso per le trasposizioni filmiche dei suoi testi, ma in questo caso fu il drammaturgo stesso a scrivere il dramma per Anna Magnani e a tradurlo per il grande schermo. Come è sempre auspicabile, è bene evitare i raffronti con la versione nota al grande pubblico. L'autore racconta come Serafina delle Rose (Mariangela D'Abbraccio), piacente italiana emigrata in Louisiana, non riesca a superare la morte dell'amato marito, degenerando in paranoia e agorafobia, finché l'incontro con il siciliano Alvaro Mangiacavallo (Paolo Giovannucci) e la scoperta di vecchi altarini non mette in discussione le sue certezze e la sua ossessione. Intorno a questo, si consuma anche il dramma della figlia Rosa (Dajana Roncione), investita di riflesso dal male materno nella sua vita di relazione, con gli uomini e con l'amato marinaio Jack Hunter (Gabriele Russo), personaggio dalla castità sospetta; il tutto condito dalla difficoltà di integrazione degli immigrati italiani, vittime delle discriminazioni e degli stereotipi degli americani nativi. Nell'adattamento di Masolino D'Amico le origini meridionali della famiglia Delle Rose sono accentuate il più possibile, con numerose battute in vernacolo che però vengono, con scarso equilibrio, concentrate nel primo dei due atti, con il fondato timore che la comprensibilità dei dialoghi potesse essere messa a rischio. Uno squilibrio che nasce forse dallo stesso testo, paradossalmente più cupo nella prima parte. Buono il lavoro del cast, che prevede anche ruoli limitati, come il cameo del regista nelle vesti di Padre De Leo; e ruoli multipli per Jacqueline Ferry e Federica Restani, che dissimulano in pieno quest'esigenza di economia della compagnia. Qualche volta la veracità meridionale e la volontà di smorzamento dei toni drammatici conducono fuori dalle righe gli interpreti, in senso comico per gli uomini e in senso tragico per le donne - ma tutto sommato non rappresenta un problema per la godibilità, anzi. La presenza scenica della rodata Mariangela D'Abbraccio è preponderante, sotto ogni punto di vista. Una scenografia complessa, costituita di più piani verticali e orizzontali, capace di evocare spazialmente un'intera casa e un intero quartiere, grazie anche ai suoni e alle battute fuori scena, e alle luci: si capisce come dietro a questi lavori ci sia l'unica mente del regista Francesco Tavassi.

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