sabato 12 luglio 2014

Leggere GiuseppeTucci aiuta a comprendere la Cina

«Man mano che passa il tempo, comprendiamo sempre meglio quanto sia stata importante l'opera di Giuseppe Tucci. A tanti anni di distanza dalla loro pubblicazione, le pagine di due sue opere fondamentali; Indo-tibetica (1932-1941) e di Tibetan Painted Scrolls (1949) sono fonte continua di insegnamento. Le sue spedizioni nel Tibet e nel Nepal hanno aperto campi di studio del tutto nuovi, hanno creato un collegamento, tra l'Italia e quei lontani Paesi, tuttora vivo. Le campagne di scavo da lui promosse, in Pakistan, in Iran, in Afghanistan, in Nepal hanno segnato delle tappe fondamentali nella storia degli studi e sono sempre feconde di sviluppi (1)



Grande più o meno quanto l’intera Europa, la Cina è il paese più popoloso del pianeta, con 1 miliardo e 300 milioni di abitanti. Con l’introduzione della riforma economica capitalista (chi lo avrebbe mai immaginato?), nel 1978 diventa il paese con lo sviluppo economico più rapido al mondo, sino a divenire nel 2010 il più grande esportatore di merci su scala globale, imponendosi prepotentemente dinanzi alla comunità internazionale come nuova superpotenza economica. Tuttavia la Cina è un paese dalle mille contraddizioni, una realtà che include – in maniera a dir poco stridente – 130 milioni di ricchi e 300 milioni di abitanti sotto la soglia di povertà, milioni di fruitori di elettrodomestici hi-tech nelle città e mancanza di acqua e luce elettrica nei villaggi.

Ma la Cina è anche una delle civiltà più antiche della storia, un paese dalle grandi tradizioni culturali, artistiche e filosofiche, è la patria dei saggi Confucio e Lao Tze, è il paese il cui connaturato fascino colpì i grandi viaggiatori europei a cominciare da Marco Polo e Matteo Ricci, affascinati non solo dalla civiltà, ma anche dalle grandi scoperte ed invenzioni che il paese dei Dragoni aveva realizzato nel corso della sua storia plurimillenaria: come la bussola, la carta, la polvere da sparo e la stampa.
Pari al mercante veneziano del Milione ed al sinologo gesuita – per altro suo concittadino maceratese – un altro folgorato sulla via del Catai fu – senza dubbio – Giuseppe Tucci, a detta di molti il più insigne orientalista italiano del XX secolo, ed in particolare – secondo l’opinione corrente – il maggiore fra i tibetologi.
Tucci cominciò sin da giovanissimo a studiare il cinese, e si appassionò ben presto al pensiero di Confucio, incentrato sul buon governo e sulla ricerca di una saggezza tesa al benessere dello stato e del popolo. Insegnamenti, questi confuciani, che avevano già destato nel XVIII secolo l’interesse di Voltaire, e che susciteranno viva ammirazione in Ezra Pound. Ben presto però, dalla lettura del legista Confucio, l’interesse del Tucci si sposterà sugli aforismi di Lao-tze e Chuang-tze sul Tao. Ma il Nostro non abbandonò mai una strada per l’altra, anzi tenne sempre presente il quadro suggestivo dei due principali indirizzi di pensiero su cui si fonda la visione della vita cinese: il confucianesimo e il taoismo, la via della probità e la via della spontaneità.
Nel 1933, insieme a Giovanni Gentile, Tucci promuove la fondazione dell’Istituto Italiano per il Medio e l’Estremo Oriente (IsMEO), diventato oggi IsIAO, Istituto per l’Africa e l’Oriente, di cui sarà presidente dal 1947 al 1978; e presidente onorario dal 1979, dando un grande impulso allo sviluppo dei rapporti culturali tra l’Italia e l’Oriente, in particolare con la Cina e con l’India. Lo stesso dittatore Mussolini decise di finanziare le molteplici spedizioni asiatiche di Tucci, forse intenzionato a fare di lui un’agente al servizio della politica internazionale italiana. Ma Tucci non fu mai il Lawrence d’Arabia italiano. Amava esplorare, osservare e riportare: può essere considerato un antropologo ante litteram e la sua vita per certi versi ricorda il giovane Claude Levy Strauss, che prima della Seconda Guerra Mondiale esplorava il Brasile. Tucci non amava particolarmente la politica né la politica del tempo, e, destreggiandosi abilmente,  se ne teneva distante quanto possibile, anche se gli vanno riconosciute indubbie doti diplomatiche (molti ritengono che proprio alla sua intercessione si debba la visita in Italia del Mahatma Gandhi nel 1931), che gli valsero il patrocinio e la protezione del Duce durante il Ventennio, e di Andreotti durante gli anni della Democrazia Cristiana.

Giuseppe Tucci (1894-1984) non fu solo un fine erudito, il suo studio delle fonti letterarie si accompagnò sempre ad un fervido interesse per la conoscenza e l’esperienza diretta dei paesi, delle tradizioni e dei popoli d’Oriente (tra le altre cose, fu fra i primi europei a visitare la «città proibita» del Tibet). Ricorda lo scrittore e reporter Stefano Malatesta, che «molto spesso Tucci auspicava il riavvicinamento tra la cultura occidentale e quella orientale. Eppure lui, meglio di chiunque altro, sapeva l’enorme distanza dei due modi di essere: noi pensiamo che l’asceta dell’Oriente dissipi vanamente il tempo che passa correndo dietro a fantasmi e visioni. Loro hanno pietà di noi che andiamo alla ricerca di cose che non sono nostre e mai lo saranno».
Si dirà che il pensiero di Tucci poteva andar bene il secolo scorso, non di certo oggigiorno dinanzi ad una Cina moderna, cosmopolita, irta di grattacieli e aperta agli affari, che sembra aver ormai accantonato il suo passato. Ma provate a farvi un giro nei quartieri più antichi delle metropoli cinesi, o magari recatevi in una delle numerose sale da tè, e ditemi se non intuite il profondo fascino della Cina tradizionale. E se proprio non riuscite a sentire nulla, andate al tempio del Buddha di Giada a Shangai, che sfida il tempo innalzandosi ieratico tra i palazzoni – come un fior di loto nel fango, per usare un’immagine proprio del Buddha – e osserva fiero le orde di turisti profani e le ancor più profane guide turistiche che quotidianamente lo prendono d’assalto. Se non vi basta, fate un salto alla Città Proibita o alla Grande Muraglia a prendervi una boccata d’arte e di cultura millenaria.
Fatto sta che Giuseppe Tucci, nella sua “Storia della filosofia indiana”, aveva già intravisto la riscossa dell’Oriente, soprattutto dei due giganti Cina ed India: «L’avvenimento maggiore al quale oggi assistiamo – scriverà – è fuori di dubbio l’ingresso dell’Asia nella storia: voglio dire che l’Asia fino a ieri subiva la storia ed oggi ne è fattore di primo piano». 
A Giuseppe Tucci, oramai considerato a livello scientifico uno dei massimi tibetologi, fu assegnato nel 1976 il Premio Jawaharlal Nehru per la Comprensione Internazionale, istituito nel 1966 alla memoria di Martin Luther King Jr.  Un Italiano da ricordare e rileggere. (Giovanni Balducci)

















[1] D.MAZZEO, in M.R.ANTONELLI, M.C.De SANCTIS (a cura di), Giuseppe Tucci: un maceratese nelle terre sacre dell'Oriente, Comune di Macerata, Macerata 2000, p. 3.



Bibliografia, parziale quanto essenziale, di G.TUCCI: Indo-Tibetica I: "mc'od rten" e "ts'a ts'a" nel Tibet indiano ed occidentale, Roma 1932; Indo-Tibetica II: Rin c'en bzan po e la Rinascita del Buddhismo, nel Tibet intorno al mille, Roma 1933; Cronaca della missione scientifica Tucci nel Tibet occidentale (1933), Roma 1934; Indo-Tibetica III: The Temples of Western Tibet and their Artistic Symbolism - The Monasteries of Spiti and Kunavar, New Delhi 1988 (1935); Indo-Tibetica III.2: The Temples of Western Tibet and their Artistic Symbolism-Tsaparang, New Delhi 1989 (1935); Indo-Tibetica IV.1:Gyantse and its Monasteries-General description of the temples, New Delhi 1989 (1941); Indo-Tibetica IV.2:Gyantse and its Monasteries-Inscriptions, New Delhi 1989 (1941); Indo-Tibetica IV.3:Gyantse and its Monasteries-Plates, New Delhi 1989 (1941); Tibetan Painted Scrools, Roma 1949; A Lhasa e oltre: diario della spedizione nel Tibet MCMXLVIII, Roma 1952; Teoria e Pratica del Mandala, Roma 1969 (1961); Il libro tibetano dei morti, Torino 1972; Tibet, Genève 1975; Tibet Ignoto - una spedizione tra santi e briganti, nella millenaria terra del Dalai Lama, Roma 1978; Le Religioni del Tibet, Roma 1980 (1970).

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