martedì 4 giugno 2013

Serge Latouche: il profeta della decrescita contro il paradigma dell’ “Usa e getta”





Sono anni che Serge Latouche, professore emerito di Scienze economiche all’Università di Paris-sud, nonchè  antropologo, porta avanti la sua critica all’ideologia utilitarista, rivendicando la liberazione della società umana dalla dimensione universale economicista, predicando il nuovo Verbo globale della decrescita.
Sia chiaro, niente a che fare con Monti ed il suo proverbiale rigore: il ‘Rigor Montis’, appunto. Latouche propone un’austerità intelligente, mettendo in evidenza come il modello economico dominante sinora, quello della crescita infinita, vada assolutamente abbandonato, non foss’altro per la finitezza delle risorse naturali.
Al paradigma della crescita infinita, il pensatore francese contrappone un nuovo paradigma di benessere, più intelligente, più socialmente equo e più rispettoso dell’ambiente, sostenendo, altresì, che vivere con meno è facile. E persino divertente: «La prima cosa da far decrescere -  afferma - sono gli orari di lavoro. Non solo siamo diventati tossicodipendenti del consumo, ma anche del lavoro. Diminuendo gli orari di lavoro si risolverebbe anche il problema della disoccupazione. E poi è necessario ritrovare la gioia di vivere, il tempo dell’ozio per camminare, per sognare, meditare, anche per giocare, per coltivare le relazioni sociali. Serve più tempo per l’amicizia, più tempo per la famiglia. Questo non lo dicono solo i partigiani della decrescita, ma anche illustri economisti e in particolare i sostenitori della così detta economia della felicità».
Nel suo ultimo pamphlet “Usa e getta. Le follie dell’obsolescenza programmata, uscito in Italia lo scorso 7 marzo per i tipi di Bollati Boringhieri, si scaglia contro la produzione di massa che - come sostiene - ha abbreviato drasticamente la durata delle merci e minaccia di coinvolgere gli stessi uomini nel medesimo vortice di repentina quanto insensata liquidazione.
Fantascienza? Purtroppo no, se pensiamo a quanto sostenuto da Umberto Veronesi in un suo recente scritto, ossia che: “dopo aver generato i ‘doverosi’ figli e averli allevati, il suo (dell’essere umano, nda) compito è finito: occupa spazio destinato ad altri, per cui bisognerebbe che le persone a cinquanta o a sessant’anni sparissero” (Veronesi, “La libertà della vita”, Edizioni Cortina Raffaello, pag.39).

Insomma, Latouche pare non esser proprio una Cassandra: il “ciclo breve” sembra effettivamente non dare scampo né alle cose, né alle persone, avvolgendoci tutti sempre più in una spirale di iperproduzione e turboconsumo, frutto della logica perversa del consumismo e della razionalità strumentale.
Afferma Latouche che: «Nella nostra vita ha fatto irruzione l’Usa e Getta, l’obsolescenza programmata dei beni. Una follia. Il trenta per cento della carne dei supermercati va direttamente nella spazzatura…Un’auto è vecchia dopo tre anni, un computer peggio ancora…E se non li cambi sei “out”… Viviamo di acque minerali che vengono da lontanissimo, in mezzo a sprechi energetici demenziali, con l’Andalusia che mangia pomodori olandesi e l’Olanda che mangia pomodori andalusi».
Nel corso delle 114 pagine che compongono il pamphlet, Latouche, dopo aver passato in rassegna gli antecedenti storici dell’«usa e getta», smascherandone l’ideologia sottesa, indica una via d’uscita: una prosperità frugale ma non pauperista che ci renda finalmente liberi dall’imperialismo delle merci, ed abbia come cardini la durevolezza, la riparabilità e il riciclaggio. ( Giovanni Balducci )

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