Sono anni che Serge Latouche, professore emerito di Scienze economiche
all’Università di Paris-sud, nonchè antropologo, porta avanti la sua critica all’ideologia
utilitarista, rivendicando la liberazione della società umana dalla dimensione
universale economicista, predicando il nuovo Verbo globale della decrescita.
Sia chiaro, niente a che fare con Monti ed il suo proverbiale rigore:
il ‘Rigor Montis’, appunto. Latouche
propone un’austerità intelligente, mettendo in evidenza come il modello
economico dominante sinora, quello della crescita infinita, vada assolutamente
abbandonato, non foss’altro per la finitezza delle risorse naturali.
Al paradigma della crescita infinita, il pensatore francese
contrappone un nuovo paradigma di benessere, più intelligente, più socialmente
equo e più rispettoso dell’ambiente, sostenendo, altresì, che vivere con meno è
facile. E persino divertente: «La prima cosa da far decrescere - afferma - sono gli orari di lavoro. Non solo
siamo diventati tossicodipendenti del consumo, ma anche del lavoro. Diminuendo
gli orari di lavoro si risolverebbe anche il problema della disoccupazione. E
poi è necessario ritrovare la gioia di vivere, il tempo dell’ozio per
camminare, per sognare, meditare, anche per giocare, per coltivare le relazioni
sociali. Serve più tempo per l’amicizia, più tempo per la famiglia. Questo non
lo dicono solo i partigiani della decrescita, ma anche illustri economisti e in
particolare i sostenitori della così detta economia della felicità».
Nel suo ultimo pamphlet “Usa e getta. Le follie
dell’obsolescenza programmata”, uscito in
Italia lo scorso 7 marzo per i tipi di Bollati Boringhieri, si scaglia contro
la produzione di massa che - come sostiene - ha abbreviato drasticamente la
durata delle merci e minaccia di coinvolgere gli stessi uomini nel medesimo
vortice di repentina quanto insensata liquidazione.
Fantascienza? Purtroppo no, se pensiamo a quanto sostenuto da Umberto
Veronesi in un suo recente scritto, ossia che: “dopo aver generato i ‘doverosi’
figli e averli allevati, il suo (dell’essere umano, nda) compito è
finito: occupa spazio destinato ad altri, per cui bisognerebbe che le persone a
cinquanta o a sessant’anni sparissero” (Veronesi, “La libertà della
vita”, Edizioni Cortina Raffaello, pag.39).
Insomma, Latouche pare non esser proprio una Cassandra: il “ciclo
breve” sembra effettivamente non dare scampo né alle cose, né alle persone,
avvolgendoci tutti sempre più in una spirale di iperproduzione e turboconsumo,
frutto della logica perversa del consumismo e della razionalità strumentale.
Afferma Latouche che: «Nella nostra vita ha fatto irruzione l’Usa e
Getta, l’obsolescenza programmata dei beni. Una follia. Il trenta per cento
della carne dei supermercati va direttamente nella spazzatura…Un’auto è vecchia
dopo tre anni, un computer peggio ancora…E se non li cambi sei “out”… Viviamo
di acque minerali che vengono da lontanissimo, in mezzo a sprechi energetici
demenziali, con l’Andalusia che mangia pomodori olandesi e l’Olanda che mangia
pomodori andalusi».
Nel corso delle 114 pagine che compongono il pamphlet,
Latouche, dopo aver passato in rassegna gli antecedenti storici dell’«usa e
getta», smascherandone l’ideologia sottesa, indica una via d’uscita: una
prosperità frugale ma non pauperista che ci renda finalmente liberi
dall’imperialismo delle merci, ed abbia come cardini la durevolezza, la
riparabilità e il riciclaggio. ( Giovanni Balducci )
Nessun commento:
Posta un commento